di Andrea Cabassi

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                      NOTIZIE DALLA CICATRICE DEL PARADISO PERDUTO

Recensione al libro di TIFFANY Mc DANIEL, “L’estate che sciolse ogni cosa” (Edizioni di Atlantide)

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Il 1984 è l’anno in cui è ambientato il romanzo distopico di Orwell. Quel romanzo in cui assistiamo alla deroga massiccia della responsabilità individuale, alla trasformazione del mondo in un universo totalitario, alla deriva irreparabile della democrazia.

Ma il 1984 è anche l’anno in cui nel paese immaginario di Breathed, Ohio, si abbatte un caldo anomalo come mai era successo in passato. Un’estate così calda che scioglie ogni cosa: vincoli, tensione etica, il super/io collettivo, se qualcosa del genere esiste. Un’estate che sembra come tante altre, un’estate che sembra quella delle nostre infanzie e delle nostre adolescenze quando scorrazzavamo tra i campi, quando esploravamo  i terrapieni delle ferrovie, quando guardavamo i treni passare e sognavamo le stazioni che avrebbero attraversato e le mete immaginarie che avrebbero raggiunto, mentre eravamo alleggeriti dal peso della scuola. Estati, le nostre, del tutto simili a quelle che i bambini e gli adolescenti di Breathed si apprestano a vivere all’inizio del romanzo di Tiffany McDaniel. side+crop+of+paperback+image+TSTMEPerché, a latitudini diverse e molto lontane, l’estate dei ragazzi, degli adolescenti è sempre uguale. O, almeno, così dovrebbe essere. Perché in quel 1984 l’estate di Breathed sarà molto diversa dalle solite, non solo per i ragazzi, ma per tutti i suoi abitanti. Sarà molto diversa perché il giudice di quella comunità, Autopsy Bliss, con una lettera pubblicata sul quotidiano locale, ha avuto l’impulso morale di invitare il diavolo a Breathed. Si tratta di un vero e proprio impulso morale poiché il desiderio -ma anche una vera e propria necessità-del giudice è quello di essere setaccio che separa il bene dal male senza tentennamenti. Per questo motivo vuole vedere il diavolo con i suoi occhi e magari interrogarlo. Del resto, nomen/omen, il termine autopsia deriva dal greco che significa “vedere con i propri occhi”.

È il figlio di Autopsy, Fielding che incontra colui che si presenta come il diavolo e che, nello svilupparsi delle vicende di questo straordinario romanzo, sarà chiamato Sal (le prime due lettere Sa stanno per Satana, L per Lucifero). Sal è un ragazzino dalla pelle nera e che indossa una salopette. Non ci sarebbe nulla di strano in lui. Se non che, al momento dell’incontro con Fielding, si abbatte su Breathed un caldo improvviso e imprevisto. Un caldo tale da far sudare copiosamente e che rende faticosa la respirazione (nomen/omen e quasi una legge del contrappasso: “Breathed”, in inglese, è il passato di respirare). Un caldo che non lascerà la presa, un caldo che trasformerà paesaggi e persone.

In quel 1984, l’anno in cui verrà isolato e identificato un retrovirus che prenderà il nome di HIV, in cui la Apple lancerà il Macintosh, in cui Michael Jackson si ustionerà nel far pubblicità alla Pepsi, in cui accadranno tante cose belle e brutte, in quel 1984, in quella estate del 1984, a Breathed il caldo, dunque, scioglierà ogni cosa e Breathed dovrà confrontarsi con il diavolo o  supposto tale. E, ad un certo punto del romanzo, e non a caso, sarà evocato, proprio dal giudice Autopsy, quell’altro 1984, quello di Orwell.

Ma di quale romanzo stiamo parlando? Stiamo parlando del romanzo di Tiffany McDaniel “L’estate che sciolse ogni cosa” (Atlantide. 2017).

Tiffany McDaniel, nativa di quell’Ohio i cui paesaggi hanno ispirato i suoi scritti poetici e questo suo primo romanzo, è stata vincitrice con esso di The Guardian’s  2016 “Not-the-Booker Prize”, vincitrice dell’Ohioana Library Readers’ Choice Award e finalista per The Women’s Fiction Writers Association Star Award for Outstanding Debut. Riconoscimenti del tutto meritati perché ci troviamo davanti ad un romanzo di rara bellezza, strano e inquietante. Grandi meriti vanno alla casa editrice “Atlantide”, nota per pubblicare testi importanti e raffinati, non solo di narrativa, ma anche di filosofia. Bisogna esserle grati per aver fatto conoscere questo libro in Italia nell’ottima traduzione di Lucia Olivieri.

Dunque Breathed, dunque il diavolo. Breathed che, prima dell’arrivo del presunto diavolo, “era davvero la cicatrice del paradiso perduto, e sotto quella cadenza impastata di burro e farina, il fischio sibilante della città confluiva nel vento, ti induceva al silenzio e a intuire la presenza dei serpenti”(pag. 17).

Dunque Fielding Bliss, che è il narratore, è il primo ad incontrare il supposto diavolo in quella inquietante calura. La calura il solo segnale inquietante? C’è qualcosa di sospeso, c’è qualcosa di rarefatto e non detto in quell’incontro. C’è qualcosa di perturbante e di spaesante per usare  termini freudiani. Bliss si trova davanti ad uno straniero, un estraneo –unheimlich direbbero i tedeschi- qualcosa di non familiare che, però, era già noto da lungo tempo, ma diventato oggetto di rimozione e sigillato nelle zone più profonde dell’inconscio. uli_nau2Ed allora non può non venire alla mente un altro incontro famoso e altrettanto perturbante: il naufragio di Ulisse all’isola dei Feaci nel VI canto di “Odissea”. Le ancelle di Nausicaa osservano il naufrago impaurite e irretite allo stesso tempo. E’ uno straniero e il suo corpo, completamente coperto di salsedine, non può non turbarle. Eppure in quello straniero c’è qualcosa di affascinante, di conosciuto, ma non consciamente ri/conosciuto.  Del resto il suo arrivo era stato preannunciato a Nausicaa in un sogno inviatele dalla dea. Il sogno come un messaggio in bottiglia dell’inconscio. Le ancelle, Nausicaa, Ulisse: archetipo dell’incontro con lo straniero in cui inquietudine, spaesamento, conosciuto rimosso si incrociano inestricabilmente.

Anche l’incontro tra Fielding e Sal è un sogno che si realizza, un sogno che viene dall’inconscio più remoto. Solo che Ulisse, anche se straniero, non è il diavolo. Perturbanti presenze pur nella loro diversità.

La parola greca “Sunballo” significa “unire”, “mettere insieme, da cui il significato autentico di simbolo, “ciò che mette insieme”. La parola greca Diaballo” significa “dividere”, da cui deriva “diavolo”. Diavolo è colui che divide. coverSu questi opposti termini (ma che si implicano a vicenda) ha scritto pagine bellissime Umberto Galimberti in un suo vecchio testo “La terra senza il male” (Feltrinelli.1984) in cui il filosofo e psicoanalista junghiano compara i due termini, mette in luce le differenze e le somiglianze, ci aiuta a comprendere il senso profondo di queste parole, così lontane, così vicine, ci aiuta a comprendere quel senso autentico che  si è perso nel corso dei secoli.

E il diavolo, se è realmente lui quello che è arrivato a Breathed, divide davvero perché sarà lui la causa della divisione della famiglia Bliss dal resto della comunità. Divide e slatentizza le pulsioni più profonde, quelle che giacciono nelle zone più profonde dell’inconscio, quelle rimosse da chissà quanto tempo. E il ritorno del rimosso sarà violento, spietato. Sarà Elohim, uno dei personaggi più riusciti del romanzo, a farsi carico della responsabilità collettiva che cancella quella individuale. Sarà lui ad approfittare del deserto morale, della caduta della tensione etica, della erosione continua del super/io comunitario. Da tutto questo avrà origine uno scontro drammatico e non privo di colpi di scena. Lascio al lettore il piacere di scoprirli poco alla volta.

La struttura del romanzo è fondamentale per tenere avvinto il lettore: esiste una doppia temporalità. C’è il tempo in cui Fielding narra. E’ un tempo futuro, quasi un tempo anteriore e che ci fa pensare al romanzo come ad un romanzo distopico; poi c’è il tempo passato al quale Fielding guarda e di cui racconta: il tempo dell’ arrivo del diavolo e della divisione della comunità. In questa doppia temporalità l’autrice è abile nel disseminare indizi, nel lasciare in sospeso eventi che saranno ripresi e spiegati meglio in altre parti della narrazione. In questa temporalità che va, viene, ritorna, il testo non si appesantisce mai, anzi, ne guadagna anche in suspense. Suscita nel lettore il desiderio di sapere come andranno a finire le cose.   

Nella narrazione compaiono, improvvise -ma sono luoghi sui quali occorre sostare- riflessioni morali che sfiorano la dimensione teologica. Si respira un’aria dostoevskiana quando i protagonisti si interrogano sul bene e sul male, sul dolore e il suo senso, sul libero arbitrio. Per certi versi, anche se svolte con assoluta originalità, echeggiano quelle del dostoevskiano Grande Inquisitore. Soprattutto quando si parla del dolore, del suo senso e del libero arbitrio. Dice Fielding: “Il dolore è la conoscenza più intima. Vive dentro di noi, nelle nostre viscere, toccando tutto ciò che fa di noi ciò che siamo. Reclama le nostre ossa, impera sui nostri muscoli, s’impenna davanti alla nostra forza poi scompare. L’arte del dolore è nel suo tocco. Come pure il suo orrore”. (Pag. 229).  Dice Sal, a proposito del libero arbitrio: “La gente chiede sempre perché Dio permette che ci sia tanta sofferenza nel mondo. Perché lascia che un bambino venga picchiato, che una donna pianga, che succeda una strage? Che un buon cane muoia soffrendo? La verità è che vuole vedere cosa facciamo noi. E’ lui che ha tirato fuori la candela, ha messo il diavolo allo stoppino, e adesso vuole vedere se noi la spegniamo o aspettiamo che si consumi. Dio è il più grande spettatore della sofferenza” (Pag. 130-31). Dio spettatore, la morale, il libero arbitrio: tematiche affrontate con delicata profondità. Stupenda e dolente, poi, la descrizione che Fielding fa di sé sesso: “ E così mi fa male ogni centimetro della mente, ogni centimetro del corpo. Sono il flagello senza fine, la caduta senza fine, la storia senza fine di ciò che accade a un uomo incapace di dimenticare”. (Pag,230). Un brano che ci lascia ammutoliti per la sua drammatica bellezza.

La potenza del testo sta nel fatto che queste riflessioni non sono mai avulse dalla narrazione perché, come accade anche in Dostoevskij, è la dimensione dialogica a prevalere. Sono i personaggi in prima persona a portare avanti la dimensione etico/teologica del testo. E che la dimensione etico/teologica sia di cruciale importanza nel dramma che essi vivono ce lo dimostra il fatto che, in esergo ad ogni capitolo, siano collocati i versi del capolavoro di Milton, “Il paradiso perduto”. Eserghi che rappresentano un vero e proprio  paratesto.

Va aggiunto che tutti i personaggi della famiglia Bliss e i personaggi della comunità di Breathed sono descritti con grande acume psicologico. Leggiamo e ci sentiamo anche noi abitanti di Breathed. Ci sentiamo anche noi di parteggiare per l’uno o per l’altro.

Mi sia consentita una incursione nell’attualità: il nero, il diverso, lo straniero alla terra e al cielo diventa il capro espiatorio di tutto quanto non funziona nella comunità, di tutte le tensioni latenti e mai dette, di tutti i rancori tenuti dentro, mai esplicitati e che si sono si sono accumulati da qualche parte della nostra psiche. Succede lo stesso oggi con il nero, il migrante, il diverso? Soggetti che assumono su loro stessi e sui loro corpi tutte le contraddizioni economiche e sociali di questo nostro mondo alla deriva? E il diavolo-non diavolo Sal non potrebbe essere interpretato come una figura cristologica che soffre per l’umanità intera e che di questa sofferenza cerca di farsi carico?

Il nero, il migrante, lo straniero. Soggetti che ancora non hanno la forza  o la coscienza di diventare soggetti politici.

Domande che risuonano nelle nostre anime mentre leggiamo.

Quello che è certo è che ci troviamo davanti ad un romanzo struggente, dolente, bellissimo.

Lo scaffale di Andrea: L’estate che sciolse ogni cosa