20993956_1961321770847607_8571757534428105354_n

Questo è un chiacchierando speciale, perché lo sfondo non è immaginario, ma del tutto reale e presenta per me vari intrecci emotivi e sentimentali.

21034213_1961119977534453_4861564711272003129_nLa chiacchierata con Nicola H. Cosentino si è tenuta a s. Nicola Arcella, in una piacevole serata di agosto, in un luogo magico, pieno di atmosfera: la Vineria Il Vicolo di Michele D’Ignazio, generoso padrone di casa e scrittore per bambini dalla matita felice!

Una serata incantevole, tra le più belle della mia estate marina. Sedetevi, dunque, con noi, lasciatevi offrire un calice di vino, e diamo il via alle domande.

20953221_1961322227514228_5890191708975531462_n

Vita e morte delle aragoste” (Voland): romanzo di formazione, romanzo generazionale o né l’uno né l’altro? O meglio, non solo l’uno né solo l’altro?

La vicenda dei due protagonisti, Vincenzo Teapot e Antonio, e la storia della loro amicizia non è “formativa”, loro crescono ma non si formano, tanto che gli adulti sono assenti dal loro orizzonte come figure che possano guidare e dare consigli tali da garantire  una “formazione”; è un romanzo generazionale ma senza voler dare una visione d’insieme, bensì entrando nell’intimità e nella frammentarietà della vita dei singoli. 

“Vita e morte delle aragoste” a me sembra una nuova intuizione: un romanzo di crescita, in cui si abbandona il tempo lineare, nella volontà di tracciare la crescita nella sua immediatezza, con un tempo basato su aneddoti come un album disordinato, in cui sono raccolti in ordine sparso i momenti salienti e fondanti della vita dei personaggi.

Sulla particolare idea di “crescita” in apertura del romanzo tu scrivi una delle riflessioni più illuminanti sull’idea della stessa che è alla base del romanzo:

Per la crescita si usa spesso una metafora imbarazzante, quello sullo spiccare il volo. cresci, quindi stai spiccando il volo. io credo non ci somigi proprio, nè al volo nè al vuoto che sta sotto chi lo pratica. Trovarci adulti, all’improvviso e senza rincorsa, è stato il contrario del burrone, è stato perdersi in una vastità traboccante- Come un imbarazzo della scelta, una crisi davanti al menu, il gesto inaspettato di un cocchiere che ti sfila i paraocchi. Per me, e anche per Vincenzo, crescere ha significato qualcosa come dover lasciare spazio agli orizzonti che si aprono, e liberare, quindi, respirare forte, buttare fuori tutta l’aria che abbiamo trattenuto nel tempo, fin dalle apnee timorose delle prime volte. Per poi capire, anche se fa male, anche se è troppo presto, che di prime volte, tra poco, non ce ne saranno più. E che per non morire devi saper respirare.

Devi prendere aria nuova. Devi imparare a rilasciare. 

Si formano, Vincenzo e Antonio, rappresentano una generazione o semplicemente crescono come le aragoste senza riuscire a smettere?

HfJxT975Si formano, sì, ma senza rendersene conto, come non se ne rende conto (in fondo) chi legge. La propria generazione si riconosce a posteriori, da dettagli futili di cui sentiamo la mancanza in età adulta. La narrazione di Antonio mette in risalto gli aspetti inerziali della crescita, quelli che accadono troppo velocemente e senza il preavviso necessario a suggerire una scelta, un tono, la risposta giusta. Anche per questo non ci sono adulti, o più correttamente – visto che sia Vincenzo che Antonio, per gran parte della vicenda, sono adulti a tutti gli effetti – non ci sono genitori: volevo che questi ragazzi fossero sbrigliati dalle linee direttive, e che le uniche sentenze fossero emesse da Vincenzo, al massimo dalle loro donne. Un genitore avrebbe forato la membrana già tesissima dei personaggi fondamentali, gli unici chiamati sulla scena. A ciascun secondario spetta la stessa razione degli altri, e così nessuno finisce per essere il cespuglio superfluo delle recite all’asilo. Detto questo, visto che parlavi di definizione, vorrei spezzare una lancia a favore del romanzo di formazione. Premetto che non mi trovo a mio agio con il ragionamento per categorie: la narrativa è una, e spaccandosi il cervello sui generi si rischia di inventarne di assurdi e di sottostimarne di meravigliosi, o di usare i colori (giallo, nero, rosa) per operare una sorta di razzismo letterario. Recentemente, però, si è molto criticato il romanzo di formazione, probabilmente confuso (e a volte fuso, perché no?) con alcuni esempi recenti di auto-fiction. Ecco, quasi tutti i romanzi, e prima di ogni cosa i classici di cui in questi giorni si fa un gran parlare*, sono storie di formazione. Non credo che Goethe, Stendhal e Dickens fossero spinti alla scrittura dall’idea di creare un genere. Credo invece che, come molti, come quasi tutti, avessero voglia di raccontare la vita di qualcuno, immaginassero il personaggio prima dei suoi problemi. Poi gli stili, le tematiche, le terze o prime persone e le mode che imperversano nei tempi c’entrano poco: tutto quello di cui parliamo, anche io e te in questo momento, si basa sul desiderio di ascoltare la storia di qualcuno, o di spiare le vite degli altri.  

(*Nicola H. Consentino si riferisce alla polemica innescata sui social da un articolo di Francesco Musolino, in cui un gruppo di scrittori under 40 erano spinti a confessare un classico che non avevano letto: QUI)

cerraduraC’è una profonda e approfondita chiarezza e consapevolezza di intenti in “Vita e morte delle aragoste”. A cominciare dai personaggi, soprattutto il protagonista Vincenzo Teapot e la voce narrante, il suo amico Antonio, che se racconta in prima persona la vita dell’altro, finisce per raccontarsi con intimità e introspezione. 

Pur rimanendo sempre ben presente alle vicende interne ai personaggi, non distogliendo mai lo sguardo da loro, nel romanzo sono disseminati chiare ed evidenti riflessioni metaletterarie.

La vita è sempre come te la vuoi raccontare, non gli dissi mai se era lei o meno, perché tanto non faceva differenza.

non è una precisa definizione sul valore della Letteratura, soprattutto nel rapporto con la finzione?

o ancora

Mentre rientrava in casa pensai all’infinità di cose che faceva senza dirlo a nessuno e senza che io lo vedessi. Mi domandai dove andassero a finire tutti quei momenti in cui era il solo testimone di sé stesso. Che porzione di Teapot conosceva? Quale lui raccontava, quale avrei raccontato io? Certi momenti della vita sono in bilico su una balaustra, a cavalcioni sul vuoto. Esistono per non esistere.

Domande e affermazioni che sono perfettamente incistate nella narrazione esistenziale dei personaggi, ma anche eminentemente e raffinatamente letterarie. Non è il tormento dello scrittore sulla verità da affidare alla narrazione quella che si nasconde nelle interrogative di Antonio? e la letteratura non assolve il compito di far esistere la realtà destinata a non esistere? 

In questi punti della narrazione, per me così fascinosi, fa capolino l’autore? Consapevolmente o inconsapevolmente? C’è oltre il romanzesco, la volontà di analizzare anche i processi letterari?

HfJxT975Il dubbio – passeggero – che ad Antonio stia sfuggendo qualcosa di Vincenzo, e l’accettazione con cui Antonio stesso prosegue il racconto, costituiscono la conferma che si sta leggendo un romanzo, genere che per sua natura è come l’amore: tralascia e “preferisce”, seleziona, taglia e ignora. Che importanza ha, visto che questa storia si sofferma sul Vincenzo visto da Antonio, quello che fa il Vincenzo di cui Antonio non si è mai accorto? O meglio, quello di cui Antonio non vuole accorgersi? La risposta c’è: al racconto di Antonio, quello che Antonio vuole riportare, l’altro Vincenzo non serve. E non serve allo scrittore, perché le pistole che non sparano squilibrano la trama. Amo molto i romanzi che esplorano il potere del racconto, inteso come versione della verità. Storie famosissime, come Espiazione e La versione di Barney, non fanno che rivelare questo processo di selezione che, in fondo, è la letteratura: una cernita personale, autarchica, perlopiù condizionata dall’umore, di alcuni fatti a dispetto di altri: una versione, appunto. Poi sta a chi legge decidere a cosa dare priorità, tra la ricerca del verosimile e l’equilibrio dato da una misurata finzione. Yann Martel ne ha fatto un successo planetario: quando alla fine di Vita di Pi il protagonista racconta l’altra storia, quella vera, quella credibile, la sensazione (del lettore e di chi nel romanzo ascolta il personaggio) è che sia così brutta, così spiacevole, che si preferisce credere a quella con la tigre: perché fa bene al cuore, funziona, è bella. A ben vedere è un esercizio naturale, umano, non prettamente letterario: in politica funziona così per i segreti di stato. Basti pensare all’unico desiderio che accomuna tutti, quello di cancellare alcune porzioni di vissuto e, più che riviverle, riscriverle. Non è un caso che si dica riscrivere, come per le nuove stesure, per i perfezionamenti. La letteratura fa da palliativo al desiderio impossibile di migliorare la forma delle storie, di salvare solo quello che ci pare. Come dice la Briony di McEwan, essere scrittori è l’unico modo per sentirsi Dio, per rimaneggiare la creazione e il destino, per sostenere che la verità non conta niente. 

picassoForse è proprio questo ciò che attira di Vincenzo: il suo essere la versione di Antonio. E dall’altro canto fa risultare Antonio più autentico e vero. Anche se il lettore non smette di chiedersi se sia davvero così, e in questo la finezza del gioco letterario dell’autore.

Amore grondaia, l’amore che addiziona più che compensare, l’amore che ha meno chance dell’amicizia di durare per sempre.

“Vita e morte delle aragoste” è un romanzo di amicizia al maschile, in cui si innesta l’amore di Vincenzo per ragazze diverse, in un percorso di maturazione in cui Paola, Silvia, Ariane, e infine Nicole sono tappe di un’educazione sentimentale che veicola i due protagonista dall’adolescenza con Paola alla maturità con Nicole, per tappe successive e non eludibili, non solo per Vincenzo ma anche (e mi viene da scrivere: soprattutto) per Antonio.

Che cosa rappresentano i due sentimenti nell’economia del romanzo?

c’era qualcosa di inconciliabile tra la nostra amicizia e la vita reale, quella che è venuta dopo i sogni, quella che in un certo senso (un senso tipo quello dell’umorismo) li ha realizzati.

 

HfJxT975È proprio così: il Vincenzo di cui leggiamo è un Vincenzo supposto, e l’intero romanzo – come giustamente dicevi – è la versione, riguardo lui, di Antonio. Ognuno, poi, la legge come vuole, e io stesso non sono sempre d’accordo con le chiavi di lettura che propongo. Ma sulla questione dei sentimenti – le donne, l’amicizia, gli amori-grondaia e le amicizie durevoli – non ho dubbi, perché mi pare la linfa del romanzo. Innanzitutto le donne: garantiscono l’ordine temporale che, nella struttura a “riproduzione casuale” di Antonio, manca. C’è una ragazza per ogni tempo, un amore per ogni fase della vita, tanto che la maturità di tutti i personaggi – non solo di Vincenzo e Antonio ma anche di Marco, il chitarrista – si riconosce in base a come, nel tempo, si comportano con le donne che amano, o viceversa. Non è un caso che il cerchio si apra con Paola, e non è casuale nemmeno il modo in cui si chiude. Paola è l’amore romantico, l’idea che abbiamo delle relazioni a quindici anni: un puro esercizio di fantasia. Vincenzo, abituato a ricevere ed elargire adorazione, non fa altro che sbattere la testa contro l’unica cosa che non riesce a comprendere: l’amore incondizionato, quello privo di meriti particolari. Un miracolo con cui i romantici scendono a patti difficilmente, anche se non si direbbe. Antonio, invece, è uno che non corteggia l’amore immaginato, ma lo vive direttamente. Come nell’amicizia, incondizionata pure quella, con Vincenzo. L’uno insegna all’altro che l’amore è una cordata di gesti che non cogli, e che quasi mai richiede l’applauso. 

B-W-black-and-white-photography-31495908-500-339

L’ordine temporale in “Vita e morte delle aragoste” è sovvertito, imbrogliato, confuso. Non un percorso lineare, ma un girovagare o meglio ancora un tempo che si sfoglia senza un ordine preciso, a ritrarre singoli momenti, fondamentali nella vita dei personaggi. Quei momenti che i personaggi si portano dentro e da cui la vita ha avuto un seguito o preso una direzione. Gli eventi germogliano da questi momenti, ed è poi il lettore a dover rimettere a posto i tasselli temporali, dopo aver conosciuto profondamente i personaggi come la linearità temporale non avrebbe garantito.

Con la maestria che dimostri nel trattare la categoria temporale del romanzo, ottieni forse il risultato più pregevole e originale del romanzo, almeno per me: raccontare il divenire non come un percorso di formazione, ma nella sua immediatezza e subitaneità. I tuoi personaggi si ritrovano adulti, non diventano adulti.

Sui bambini, Vincenzo diceva che non si capisce come ci sei arrivato, a questa storia di essere più oltre che dentro il cortile, e che forse è questione di cammino, di strade, di marciapiedi su cui sei stato in attesa, e di attesa appunto, di pazienza. è la stessa questione dei sì che aspetti al liceo, mangiandoti le unghie davanti ai citofoni su cui temi di prendere il dito, del volantinaggio scontroso che fai per raccongliere quaranta euro, dei divani che trascini in strada con gli amici, delle volte in cui ti siedi perchè sei stanco o ubriaco e di quelle in cui stai immobile a spiare una finestra, o a deciderti sull’attraversare, e della direzione in cui sta andando l’uomo che diventi.

Qual è la percezione del tempo, e qual è il tempo di Antonio e Vincenzo?

 

HfJxT975È quello che Antonio ricorda, come lo ricorda. Il fatto che l’ordine degli aneddoti sia sovvertito si deve al fatto che, quella di Antonio, è per sua stessa ammissione una narrazione privata: racconta di Vincenzo come farebbe con un uditore reale, incasellando episodi che gli sovvengono di volta in volta, in assetto apparentemente casuale. Voleva essere un piccolo esperimento di destrutturazione, ma la verità è che la struttura c’è, e ogni racconto dà vita al successivo con un equilibrio abbastanza studiato, che spero proprio si percepisca. Volevo ricreare la sensazione che avevo da ragazzino, quando capitava di guardare le serie tv trasmesse un po’ a casaccio, con episodi che saltavano da una stagione all’altra senza troppo riguardo per la continuità o la suspense. Così in Friends Rachel Green passava, nel giro di due puntate, dall’essere donna in carriera,  madre di una bambina, corteggiata da Dior e Ralph Lauren, a piangere, cameriera senza finanze, attaccata a un cordless del ’94, mentre prega il padre di mandarle del denaro. Le Torri Gemelle, negli stacchi, apparivano e scomparivano, apparivano e scomparivano. Eppure la cosa non era disturbante. L’attesa per lo sviluppo aumentava, accidentalmente intervallata da queste incursioni nel passato, e diminuiva la prevedibilità. Non sapevi quale fosse il presente, certo, una cosa che a molti show di oggi si richiede (complice l’immediatezza con cui vengono rilasciati e divorati gli episodi), ma la storia di Rachel la percepivi lo stesso, nella sua interezza, con un incedere casuale, lento e vagamente familiare. Non crescevi con lei, certo, ma qualcuno te la stava presentando a posteriori, e tutto sommato l’emozione della storia di formazione restava intatta. Ecco, molto brevemente, volevo scrivere un romanzo che somigliasse a una serie tv pop trasmessa un po’ a casaccio. 

 

9788849847666_16e0040_cosentino_piatto_hr-_1_Quando ho letto “Vita e morte delle aragoste” ho pensato alla freschezza di un esordio, con la capacità di alcuni  esordi felici di sperimentare voci e narrazioni, senza perdere l’autenticità dell’emozione della scrittura e l’entusiasmo di raccontare. Invece ben presto mi accorgo che Nicola Cosentino ha già pubblicato un primo romanzo per Rubbettino, “Cristina d’ingiusta bellezza“.

I tempi di pubblicazione tra l’uno e l’altro sono stretti. Possono essere considerati entrambi degli esordi, o ” Vita e morte delle aragoste” si è giovato dell’esperienza del precedente? Cosa deve l’uno all’altro?

HfJxT975“Vita e morte delle aragoste” è stato scritto in un limbo di consapevolezza, collocato temporalmente fra l’uscita fisica del primo romanzo e il momento in qualcuno se n’è accorto. In quei mesi vivevo a Roma, e il fatto che nella Feltrinelli sotto casa Cristina non si trovasse faceva di me un esordiente privato, che stava scrivendo il secondo romanzo, ok, ma con la furia che si riserva agli esordi. Quindi sì, sono due libri della stessa fase, dello stesso Nicola. Figli, però, di letture diverse e modi opposti di sperimentare il proprio stile. Cristina è traboccante, dalla trama fittissima, pieno di personaggi, a metà fra il noir e il melo. Un film degli anni Quaranta. Era influenzato da qualche classico e da un certa fascinazione sudamericana (quindi siciliana e calabrese, anche) per quei dettagli che combattono o accompagnano la morte, compresi l’erotismo e il chiacchiericcio. Lì ci sono il mio Veronesi preferito, quello allegorico di XY Brucia Troia, e almeno due donne dell’universo di García Márquez: Remedios la Bella di Cent’anni di solitudine, ovviamente, e Sierva María de Todos los Ángeles, sventurata protagonista di Dell’amore e di altri demoni. Al contrario, Vita e morte delle aragoste è figlio di una scuola misurata, quella dei racconti di Carver ed Hemingway che per distrarti dal pathos si concludono con una divagazione. Ha una trama rarefatta, pochi personaggi, un’ambientazione metropolitana. Deve più a Olive Kitteridge di Elizabeth Strout, letto qualche anno fa, che non alle grandi letture formative della mia adolescenza. Probabilmente, soprattutto per quanto riguarda la disciplina dello scrivere, ha tratto benefici dall’esperienza precedente, ma benefici senza vero godimento. Non c’è storia, stile o personaggio che ti basti, quando scrivi. Ogni risultato è un compromesso tra l’aspettativa e le proprie possibilità, fra la tua mente e quello che è venuto fuori. Come nella maggior parte delle cose della vita. Per citare ancora McEwan, è sempre stato un compito impossibile, e si risolve tutto nel tentativo. 

 

Per acquistare i libri, puoi servirti di Goobook.it (scopri QUI il progetto del portale)

Con un semplice click sulla foto, ordini il libro e lo ritiri nella tua libreria di fiducia.
Con un semplice click sulla foto, ordini il libro e lo ritiri nella tua libreria di fiducia.
Con un semplice click sulla foto, ordini il libro e lo ritiri nella tua libreria di fiducia.
Con un semplice click sulla foto, ordini il libro e lo ritiri nella tua libreria di fiducia.
Chiacchierando con… Nicola H. Cosentino