di Andrea Cabassi

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MISURARE IL MONDO

Recensione al libro di TITO PIOLI, “Ho sposato mia nonna” (Del Vecchio editore)

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“La Gazzetta di Parma” è il giornale principale della città: quasi una istituzione. Amato e odiato allo stesso tempo. E molto letto. Non è un caso che i tentativi di pubblicare altri quotidiani o settimanali siano andati  tutti incontro ad un prevedibile fallimento.

Si dice che la pagina più letta de “La Gazzetta di Parma” sia l’ultima: quella dei necrologi, dove sono pubblicate le foto delle persone decedute il giorno prima o quelle degli anniversari. Si compra il giornale e si va subito all’ultima pagina. È un rito rassicurante perché riconferma a chi legge che è ancora vivo. Un modo per esorcizzare la morte che, a Parma, dura da anni, un modo per dire a sé stessi, magari anche attraverso i canali dell’inconscio, “ bene, ancora su quella pagina non ci sono… anche se mi dispiace per quelli che ci sono e che conosco…”

Non è un caso che l’incipit del secondo romanzo di Tito Pioli, “Ho sposato mia nonna”, colga i protagonisti, Tato, giornalista precario e la nonna Norma, insegnante di architettura esodata, intenti a leggere le pagine dei morti e a scrutarne le foto.

Qui, però, non siamo a Parma, ma a Rebibbia, dove gran parte del romanzo è ambientato. Soltanto che Rebibbia è un luogo che potrebbe essere anche Parma perché il rito e l’esorcismo possono funzionare ovunque. Siamo a Rebibbia, a Roma e alla sua periferia, un ambiente scelto per rendere omaggio a Pasolini, che è più volte citato nel testo. Ma i luoghi reali trascendono il reale per collocarsi nelle zone dell’immaginario. Ed è questa una delle caratteristiche principali del romanzo: partire dalla realtà (dei personaggi, dei luoghi, delle situazioni) per trascenderla.

pioliCome si diceva più sopra questo è il secondo romanzo di Tito Pioli. Il primo, “Alfabeto Mondo”, (Diabasis 2015) fu, poco dopo la sua uscita, segnalato al Premio Calvino e rappresentò qualcosa di nuovo e originale nel panorama letterario italiano. Rappresentò qualcosa di nuovo per il suo surrealismo, per il suo stile, per una apparente leggerezza che nascondeva, invece, una impietosa analisi della società italiana e dei suoi vizi. Forse non si trattava di un romanzo, ma di un antiromanzo.

“Ho sposato mia nonna” è in continuità ideale con quel primo libro, ma non è il sequel.

Qui i protagonisti sono Tato e Norma, nipote e nonna che, in una esilarante sequenza diventeranno marito e moglie e che avranno diverse avventure dove le situazioni surreali e grottesche saranno spinte fino all’estremo limite. In quello spingerle all’estremo cadranno le maschere perbeniste della società e il lettore si troverà davanti all’autentico, alla vita autentica, la nuda vita fatta di sogni, illusioni, dolori, miserie, ma fatta anche di poesia, una poesia che si può cogliere ai margini e nei fatti marginali dell’esistenza.

Nonna Norma ha il vezzo e il vizio di misurare ogni cosa, quasi che nel misurare si possa contenere il mondo intero, quasi che in quel misurare si nasconda il desiderio di controllarlo questo mondo così complesso. Nonna Norma ha un illustre predecessore letterario: è l’Ulrich de “L’uomo senza qualità” di Musil, che vive nell’utopia di conciliare anima ed esattezza in un mondo in sfacelo, dove l’impero absburgico si sta dissolvendo, quell’impero absburgico a cui ha dedicato pagine indimenticabili Claudio Magris. Il tentativo di Robert Musil (che, tra l’altro, era ingegnere), attraverso l’interposta persona di Ulrich, di conciliare anima ed esattezza è, naturalmente, destinato al fallimento. Lo dimostra il fatto che “L’uomo senza qualità” è un romanzo non terminato. Un romanzo non terminabile. Forse un antiromanzo.

Nonna e nipote si aggirano per un mondo che è per nulla esatto, che è per nulla giusto. Sono alla ricerca di una loro collocazione esistenziale e lavorativa. In questo loro aggirarsi il narratore cita personaggi noti e meno noti. Provoca una grande emozione imbattersi in persone, citate con i loro nomi e cognomi reali, che si conoscono e che si frequentano abitualmente. Sono Antonello, Simona,  Elide e tanti altri. battilani3-02-1956-giardini-di-Reggio-Emilia-300x199Ma, oltre a questi, c’è anche Manlio Battilani (“In giardino sui grilli”. Pag. 65-67)  che, nato in un paesino del reggiano vicino a Vetto d’Enza e deceduto a 96 anni nel 2013 sempre a Vetto, inventò i grilli su cui noi bambini di Parma facevamo le nostre folli corse al Parco Ducale. Per parafrasare il Roberto Vecchioni di “Luci a S. Siro” verrebbe da dire “che c’è di strano, siamo stati tutti là”  perché, spesso, al mattino, ma ancora più spesso nelle luci dei tramonti estivi eravamo tutti là a compiere le nostre spericolate gesta. E, a volte, c’era un fotografo a immortalarle.

Chi si aggirasse, oggi, in uno dei viali del Parco Ducale di Parma potrebbe trovare uno sparuto gruppo di grilli e vedere ancora bambini imbarcarsi in qualche folle corsa lungo quel viale.

Ma c’è un personaggio che desta una emozione particolare e a cui Tito Pioli dedica uno struggente episodio intitolato “Igino dagli occhiali appannati” ( pag. 105-108). Igino: un amico che ci ha lasciato troppo presto per intraprendere il suo viaggio verso l’Altrove. Igino: un amico che Tito Pioli fa rivivere in pagine leggere, poetiche, struggenti allo stesso tempo, come solo un scrittore di grande talento sa fare.

Come per  i luoghi, anche i personaggi, quelli reali soprattutto, subiscono delle metamorfosi. Sono loro e li si riconosce non solo grazie ai nomi, ma anche grazie ai caratteri, eppure si oltrepassano per diventare una poetica. Come è giusto che sia in un opera letteraria di qualità, qual è quella di Tito Pioli.

In pagine surreali e grottesche nonna e nipote, senza dirlo esplicitamente, urlano “il re è nudo”. Sono gli smascheratori della società dello spettacolo, quella società che, con inquietante preveggenza, descrisse Guy Debord nel suo indimenticabile libro “La società dello spettacolo” (Stampa Alternativa editore. 1970. Più volte rieditato dalla stessa casa editrice, editato anche da Baldini Castoldi nel 2013. Il tutto a testimonianza della sempre grande attualità del testo).  E lo fanno parlando di Meo Petacca, leader del partito della televisione e di tutto quello che sta intorno al partito televisivo. La disperazione dei precari, la disperazione degli esodati, l’arrivo dei migranti, la violenza, tutto è fagocitato dalla società dello spettacolo. Truman showViene alla mente il bel film del 1998 di Peter Weir, con Jim Carrey, “The Truman Show”. Ma, se nel film, alla fine, vi è una speranza perché si può squarciare il velo e trovare una via d’uscita per l’altrove, in “Ho sposato mia nonna” di vie d’uscita ve ne sono poche. E forse sono la poesia, il cinema, l’arte, la comprensione dell’Altro, avere lo spazio per ospitarlo, soprattutto dentro di noi, nella nostra mente, dentro la nostra anima.

Sono pagine originalissime che ricordano il miglior Pasolini, il miglior Fellini e sono percorse da una indignazione mai urlata e da tensione morale che non diventa mai moralismo.

Come già in “Alfabeto Mondo” c’è una colonna sonora che ci accompagna nella lettura. Una pletora di musiche e musicisti: i Carmina Burana, i Rolling Stones, i Beatles,  Guccini,  Celentano e  tanti altri. Perché aveva ragione Eugenio Scalfari quando affermava, in un suo scritto comparso tempo fa  su “L’espresso”, che ogni vita ha la sua colonna sonora e quella colonna sonora sono la musica, le canzoni, le canzonette che abbiamo ascoltato nel fluire delle nostre esistenze (“Non sono solo canzonette” L’espresso. N.48. 2006).

Ma c’è un’altra colonna sonora che è intrinseca al testo: è il ritmo, la punteggiatura che cadenza la frase e la rende musicale. Ci sono pagine che sembrano linguaggio parlato, poi scopri che in questo parlato c’è una grande raffinatezza e una ricerca approfondita del ritmo giusto. Ci sono altre pagine, come quelle di “Se fossi finto”, che sono in forma di ballata, una struggente ballata il cui finale, come nel carnevale rabelaisiano, capovolge tutto rendendola surreale e, in questo capovolgimento,  ancora più efficace. Ci troviamo davanti ad uno stile da cui ci si sentiamo avviluppati. Un romanzo, non-romanzo, antiromanzo che andrebbe letto per intero ad alta voce. E, a proposito di lettura ad alta voce, bisognerebbe almeno una volta ascoltare Tito Pioli leggere i brani dei suoi libri. Una voce strascicata senza nessuna pretesa attoriale, un tono che viene dal profondo e che ricorda il blues, una cadenza originalissima che sembra piatta e senza acuti, ma che poi ti accorgi che ti fa entrare nel testo e assaporarne ogni parola. Quasi che queste letture volessero misurare il mondo come fa Nonna Norma. Ma Tito Pioli sa che questo misurare non è possibile e lo si sente dall’inflessione della sua voce, lo si percepisce da quello che scrive e da come lo scrive. C’è sempre qualcosa che deborda, c’è sempre qualcosa che va oltre il confine del misurabile. E’ in quell’ oltre che sta la vita. Quella vissuta. Quella vera.  

Lo scaffale di Andrea: Ho sposato mia nonna
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