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Se ci fossimo incontrate dal vivo, dove avrebbe potuto essere? – chiedo a Loredana Lipperini, mentre ci accingiamo a chiacchierare tramite mail di “L’arrivo di Saturno”, il nuovo romanzo edito da Bompiani, che mi ha segnato perché contiene tutto ciò che cerco in un libro: scrittura e racconto, visione del mondo e capacità di illuminarne angoli nascosti, sentimenti e visioni, riflessioni e idee.

4043357Ci saremmo incontrate ai piedi della strada che porta al vero santuario. – mi risponde – Io ti avrei detto: vedi, qui sotto c’era Muccia, che era un paese bellissimo, e ora quelle case sfregiate da grandi crepe a forma di X non restituiscono che un paese fantasma. Mi dispiace che tu la scopra ora, in questo modo. Qui venivo a dormire quando ero bambina, perché la casa di famiglia di mio padre a Serravalle di Chienti era stata ceduta alle sorelle, e ogni mattina e ogni sera percorrevamo quei pochi chilometri che separano i due paesi, e ogni mattina e ogni sera, dal sedile posteriore dell’automobile, vedevo il santuario, bianco nella luce del giorno, illuminato dai lampioni nella notte, e ogni volta lo guardavo sognandoci su, e così l’ho messo in una storia, senza sapere che, a storia terminata, la vibrazione ci sarebbe stata sul serio, e avrebbe sbriciolato Muccia.

b08161“L’arrivo di Saturno” è un romanzo stratificato e composito, con infinite suggestioni che si diramano e ramificano dal tronco principale della narrazione, e che con maestria tornano sempre all’alveo principale, senza lasciare che il lettore si perda, ma attraverso l’amplificazione e la moltiplicazione delle sensazioni e delle impressioni di lettura ottiene un’immersione totale del lettore nel mondo, o meglio nei mondi narrati.

Per cercare di spiegare la mia percezione, mi sovviene una similitudine: “L’arrivo di Saturno” è come una tenda parasole, tesa a schermare i raggi del sole e permettere che non abbaglino, così da garantire con la sua ombra una visuale e visione della realtà più nitide e chiare. Una tenda che il vento gonfia e dispiega, facendole assumere bozzi e rigonfiamenti, che poi si sgonfiano nell’aria, con schiocchi e rumori che creano l’impressione di essere in mare aperto, mentre invece si è sulla terra ferma; di solcare le onde mentre si è fermi.

Il tema dell’illusione, della finzione, dell’inganno, dell’incredulità, dell’invenzione, riuniti nel mantra, Abracadabra, che si rincorre e ricorre nelle pagine, mi sembra un nodo essenziale e dirimente del romanzo. Un guazzabuglio, alla maniera manzoniana e poi gaddiana, che diviene strumento di indagine e di conoscenza, della realtà e della letteratura.

Due storie, con le infinite intersezioni che creano, scorrono parallele nel romanzo: quella che fa capo al falsario Han Van Meegeren e l’altra che fa capo a Graziella De Palo, e in fondo a entrambe una questione portante:

“Quale delle due è vera?” Che la storia vera sia quella del Giudizio universale dipinto da Van Meegeren come se fosse Vermeer, e quella di Graziella, la giovane giornalista scomparsa a Beirut il 2 settembre 1980 con l’ex fidanzato Italo Toni, “l’invenzione di una scrittrice con troppa fantasia?”

Non è questo l’assunto fascinoso, che regge gli innumerevoli fili del romanzo: “Se i piani (delle due storie) fossero sul serio ribaltati?”

Cogli esattamente quello che intendevo fare. Ho maneggiato questa storia (maneggiato, come si fa quando si vuole incastrare un tassello con l’altro nei puzzle, o come quando vuoi a tutti i costi travasare margherite in un vaso troppo basso, e allora provi a guadagnare uno spazio che non c’è) da anni. Ne saranno passati due o tre dalla scomparsa di Graziella e io, in vacanza con un’amica a Venezia, riempivo pagine di quaderno provando a metterla su carta. Ne sono passati dieci, poi venti, e ancora compravo quaderni e scrivevo. Ogni volta la storia mi sfuggiva. Una volta, erano gli anni Novanta, avevo provato a raccontarla a due amici editori. “Non funzionerebbe”, mi avevano risposto. Non funzionerebbe, mi sono ripetuta.
2035573Così avevo accantonato non Graziella, certo, ma l’idea di metterla in un romanzo. Non so neanche io il come, ma so il luogo e le circostanze da cui è emerso Han van Meegeren. Era l’agosto del 2012. Da pochi giorni era morta Chiara Palazzolo, grande scrittrice, amica della maturità. Da pochi mesi era stato svelato, in malissimo modo e con perfidia, il mio eteronimo Lara Manni. Ero in vacanza nelle Marche, ho fatto una gita al santuario di Col de’ Venti e ho pensato di dover scrivere una storia di falsari.
Così ho cominciato, ma ancora non avevo connesso le due strade. È avvenuto tre anni dopo, quando ho incontrato, sempre nelle Marche, il cugino di Italo, Alvaro Rossi. È  in quel momento che mi sono detta: è così che devo fare. Una vicenda illumina l’altra. Il falso può svelare una verità nascosta dalle menzogne. Quale delle due è plausibile? Impossibile dirlo. O meglio: sarà il lettore a dirlo. All’inizio di “F for fake”, Orson Welles fa un gioco di prestigio davanti a due bambini: si fa dare una tasca e la trasforma in una moneta. E cita un grande illusionista, Robert Houdin: “Un mago è solo un attore: solo un attore che recita la parte di un mago”. Ho provato a seguire questa via. A recitare la parte del mago.

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“L’arrivo di Saturno” è la storia di un’amicizia tra due ragazze, Dora e Graziella, che si apre a diventare la storia di una generazione. Ho una particolare attenzione e predisposizione di lettrice per le storie generazionali. Quello che mi ha affascinato è che tu hai voluto che l’amicizia fosse una chiave di lettura fondamentale sia per indagare una generazione che per il caso della scomparsa di Graziella De Palo. Tu stessa in più parti del romanzo affermi l’autenticità della tua Graziella: una rivendicazione forte, perché quella che viene fuori dalle pagine del romanzo non è la protagonista di uno dei molteplici casi irrisolti di cui l’Italia è piena, ma una persona viva e vera, nonostante e oltre la morte. Ed ecco che Dora e Graziella diventano due facce della stessa generazione, con tutto il dolore lancinante perché alla seconda è toccato di essere iconizzata in un’eterna, fissa giovinezza.

“Appartiene alla generazione che ha scoperto le sigarette come gesto di emancipazione, e con il gesto morbido e compiaciuto di chi vuol far notare che è una ragazza di sessant’anni fuma. Una  generazione che è stata sul punto di cambiare il mondo. Che era convinta di averlo già fatto, di aver ottenuto tutto quello che nei millenni non era riuscito a nessuno. Poi è andata in un altro modo. Rimbocchiamoci le maniche e cerchiamo di fare il possibile per le nostre sporche vite. Quanto al mondo, sarà per la prossima volta. Non è forse vero? Non avevano tutti la testa più leggera, non avevano voglia di pensare a cose allegre, di ballare, persino, invece che di scendere in strada contro i mali dell’universo?

Graziella non l’aveva fatto, però. Per Dora era stato così facile.”

Ti interessava, Loredana, tracciare un affresco generazionale nel romanzo o invece l’idea di generazione, così presente, si è imposta da sé? “L’arrivo di Saturno” contiene un messaggio in bottiglia per le nuove generazioni, così lontane da quei tempi per memoria storica e abitudini? I coetanei odierni di Graziella e Dora sono dei lettori ideali del tuo romanzo, o invece pensavi a lettori coetanei alla Dora di oggi, oppure il libro ha entrambi nel suo orizzonte? Con due messaggi diversi o con lo stesso obiettivo?

Dunque, l’idea di generazione si è in effetti autoimposta. Confesso di aver temuto l’etichetta di romanzo generazionale: la mia generazione ha parlato fin troppo, eppure ancora non ha parlato, o scritto, degli anni Settanta in modo esaustivo. Scrivono, più che legittimamente, coloro che sono stati resi orfani dalla lotta armata, o i reduci della medesima, o i figli, per cercare di capire i padri e le madri. Però quell’enorme “in mezzo” che c’era fra le zone d’ombra non è ancora stato restituito, e forse non lo sarà mai. Ho provato a evocare quegli anni per pennellate e per atmosfera, senza farne il centro della narrazione, e nemmeno relegandoli al ruolo di fondale. Quel che volevo provare a raccontare era il rapporto fra due amiche che cercano quasi ossessivamente di migliorarsi a vicenda, in un tempo in cui viene detto che sono loro, le adolescenti e ragazze, che miglioreranno il mondo. Una responsabilità gigantesca, ma anche una gigantesca felicità. Imparagonabile a quanto ai ragazzi di oggi si ribadisce, definendoli con termini sprezzanti: gli sdraiati, gli schizzinosi, i viziati, i senza speranza, quelli che non hanno altra scelta che andarsene. Esisteva un altro modo di essere giovani, questa è la storia che si legge, fra le righe, nel romanzo: più che un messaggio nella bottiglia, un dato di fatto.

Quanto ai lettori, credo che giocoforza saranno due interpretazioni diverse: chi ha la mia stessa età si riconoscerà immediatamente, i più giovani forse saranno incuriositi da un’altra idea di giovinezza, appunto. Non di amicizia, però. Credo che l’amicizia femminile non cambi poi tanto di tratto, col passare del tempo. Cambiano magari i supporti, ci si scriveranno lunghi messaggi su whatsapp e le chat vocali sostituiranno le telefonate, ma lo spirito è identico, così come immutato, mi sembra, è il valore che si dà all’amicizia stessa. Qualcuna in cui specchiarsi, e crescere insieme, sognando di essere vicine tutta la vita.

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La felice intuizione di rendere “romanzesco” il rovello letterario tra finzione e realtà, facendo diventare finzione un tragico fatto di cronaca come la scomparsa di Graziella De Palo, e rendendo con forti tratti di realtà la vicenda inventata di Han van Meegeren, si interseca con due personaggi, riuscitissimi, di “L’arrivo di Saturno”: Dora e Dennis Delmond, funzionario della polizia inglese. Il secondo vive in uno straordinario equilibrio tra l’essere un personaggio storico e le caratteristiche letterarie, quasi di genere, che a tratti sembrano contraddistinguerlo. Ma Dora è in assoluto la mia preferita. 

Nell’amarla durante la lettura, forte è stato il richiamo a Annie Ernaux, tanto alla donna con cui si racconta in “Gli anni” tanto alla protagonista di “Memoria di ragazza”.

Può Dora essere considerata un semplice personaggio? Quanta cura, attenzione, maestria ci vuole nel creare una figura come quella a cui affidi di fatto la narrazione, con una focalizzazione interna, appena stemperata nelle parti riguardanti il falsario, e una terza persona, intima vera bruciante, che si mette dalla parte del lettore per renderlo partecipe e testimone, integrato nelle vicende e mai estraneo. Fiction e no-fiction sono impastati nel suo carattere, dati biografici e finzione narrativa strettamente a braccetto, resi ancora più complessi e strutturati dal sapiente gioco dei pronomi personali:

“Dora sei tu. Non ti chiami così. Ma Dora è un nome da romanzo e questo è un romanzo: dunque ti chiamerai Dora per raccontare la lunga vibrazione durata quasi una vita, e rimasta silenziosa prima di esplodere.”

Che differenza passa tra una possibile narrazione in prima persona che avrebbe reso “L’arrivo di Saturno” più vicino a un memoir e la narrazione in terza che fascinosamente hai deciso di usare?

Ah, Dora, che rovello è stata. È  nata subito come alter ego, di getto, e naturalmente come trasfigurazione dell’alter ego e come elemento di depistaggio del lettore. Sono davvero io, Dora? I suoi ricordi, le sue esperienze, i suoi stessi dubbi coincidono con i miei, e se sì in quanta parte? Dora è un nome da romanzo, e questo romanzo ha iniziato a prendere forma, come ti dicevo, nell’agosto del 2012. Da pochi giorni era morta appunto Chiara Palazzolo, autrice dei romanzi gotici più belli del nostro presente. In primavera, Chiara mi aveva detto una cosa strana, durante una delle nostre interminabili telefonate: disse, cioè, che avrei dovuto scrivere un romanzo alla raymondDerek Raymond, in particolare qualcosa di simile a  “Il mio nome era Dora Suarez”. In quei giorni di lutto, pensavo che non sarei stata capace di scrivere come Derek Raymond, ma che avrei tenuto il nome per omaggiare l’amica scomparsa. Dora, appunto. Ma una Dora con un ruolo particolare:  hai ragione quando citi Annie Ernaux, perché nel mio molto piccolo desideravo fare la stessa cosa che lei poi ha messo magistralmente in pratica ne “Gli anni”, ovvero forzare il genere dell’autofiction catapultando un personaggio terzo (ma in realtà non così terzo) nella storia. La storia grande e quella personale, che non possono che intrecciarsi. Così come si intrecciano vero e falso: Dennis Delmond si ispira al vero Denis Sefton Delmer. Che non è mai stato illusionista, o figlio di illusionista: era un giornalista inglese arruolato dai servizi segreti per la “Black propaganda” contro Hitler, e che nelle sue mille azioni di depistaggio interpretava il ruolo di un finto nazista pentito, Der Chef,  che trasmetteva, denigrando il regime, da una finta radio tedesca. Anche Georgia Wonder, la madre di Dennis Delmond, è realmente esistita, a proposito: si chiamava Lulu Hurst e alla fine dell’Ottocento si esibiva proprio con il nome di Georgia Wonder in palcoscenici dove, con un sistema ingegnoso di leve, si opponeva a uomini forzutissimi. La realtà, insomma, si mescola sempre alla fantasia, in questo romanzo: che romanzo è e resta, perché il mio tentativo è quello di capovolgerla, quella realtà. E dunque, non potevo raccontarla se non in terza persona.

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Odio la definizione di “romanzo mondo” ma non riesco a trovarne un’altra che possa dare idea della ricchezza, accumulazione, estensione, sovrapposizione di temi, tempi, ambienti, sentimenti, contenuti, storie e sensazioni. Un ordigno perfetto il tuo, in continua vibrazione, sempre sul punto di deflagrazione narrativa, che tiene avvinto il lettore, e capace di distendersi in digressioni che valgono come illuminazioni di senso e di portata universale. 

Impareggiabile il ritratto di Romain Gary, che serve a spiegare con raffinatezza l’escatologia che sostiene tutta l’impalcatura narrativa del romanzo:

“È lui e non è lui al tempo stesso. Al medesimo modo in cui quando dipingi un falso Vermeer sei molto più Vermeer che Van Meegeren. Quando si crea un eteronimo si è sinceramente altro da quel che si è stati, e allo stesso tempo si è se stessi, ma una parte di se stessi cui non si è mai dato ascolto, o che si è seppellita. Non è così per te?”

Non è questa l’idea di Letteratura che viene prepotentemente fuori da un romanzo strabiliante come “L’arrivo di Saturno”: la letteratura non è creare un eteronimo per la realtà? O spingendo ancora più a fondo il pedale, un eteronimo della verità? 

In particolare, la vicenda reale di Graziella De Palo che ruolo ha all’interno del romanzo? E la verità su quella vicenda?

Ti confesso che ho avuto più volte paura di venire sopraffatta dall’abbondanza di materiali: ma proprio con l’abbondanza intendevo cimentarmi, per sfuggire alla trappola del memoir, e al tempo stesso per tentare quel gioco di specchi tra falso e verità che mi ero proposta fin dal primo momento. La questione del falso è per me una questione chiave: molti anni fa ho partecipato a un’antologia che si chiamava proprio F come falso, ideata da una piccola ma nobile casa editrice, Aaa. È  irreperibile, ma fu interessante provare a cimentarsi con un concetto sottile quanto determinante nell’arte.

Quando Leonardo Sciascia scrisse Il consiglio d’Egitto, aveva fra i suoi scopi quello di dimostrare come la verità sia sfumata, e il falso possa apparire più vero del reale. Per chi non lo avesse letto (fatelo, è fra i romanzi più belli di Sciascia), si narra dunque la storia dell’abate Vella, che ingannò gli intellettuali del suo tempo falsificando la traduzione di un codice arabo. Anzi, reinventandolo.

Quando Orson Welles, una decina di anni dopo, diresse F for fake, raccontò il difficile confine tra verità e menzogna nell’arte. Ben esemplificato così: “Un amico di un altro amico una volta mostrò a Picasso un Picasso. “No, è un falso” rispose il pittore. Lo stesso amico si procurò un altro presunto Picasso e Picasso disse che anche questo era un falso. Se ne procurò un altro ma anche questo era falso, disse Picasso. “Ma Pablo”, replicò l’amico “ti ho visto con i miei occhi mentre lo dipingevi.” “Posso dipingere un Picasso falso al pari di chiunque altro”, rispose Picasso”.

La letteratura è un eteronimo della verità, certo, anche quando la racconta: la storia di Graziella era già nota, è stata raccontata decine di volte e non è stata creduta o, peggio, è stata dimenticata. Per questo l’ho narrata come se fosse falsa. Per renderla, infine, reale.

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“Sarebbe un fallimento scrivere di Graziella? Risolverebbe qualcosa? Magicamente qualcuno confesserebbe dove si trova il suo corpo, verrebbe tolto il segreto di stato sugli incartamenti che riguardano la sua scomparsa? La letteratura vincerebbe? O non sarebbe l’ennesima illusione, il gioco di prestigio che incanta per un istante e poi lascia tutto identico a prima?”

Grazie, Loredana, per averci dimostrato, con un grande gioco di prestigio narrativo che la letteratura vince sempre, anche e soprattutto quando non può risolvere il mistero.

Per l’ultima domanda, darei spazio a un’altra donna che compare e scompare nelle pagine del romanzo, vittima della crudeltà umana e dei tempi con le sue capricciose coincidenze: Rosa, “la pittrice, la strega, la ragazza gettata nel dirupo… una delle tante donne uccise per il proprio sapere e il proprio talento. Perché questo faceva, la ragazza morta. Dipingeva, e viveva sola in un paese di animali che non la comprendevano e che per questo la odiavano.”

Nel sapiente gioco di specchi che tu crei tra le storie e i personaggi che si affastellano in “L’arrivo di Saturno” Rosa sta a Graziella come… oppure è una mia illusione?

Grazie, anzitutto, per l’accuratezza della lettura, e per le bellissime parole che hai usato per Saturno. Rosa è anche Graziella, è Dora, è, in una, tutte le donne che hanno cercato bellezza e verità, e che per questo sono state uccise, o hanno taciuto, soffrendo per quelle morti, finché qualcun altro ha preso la parola e ha cominciato a cantarle. La letteratura può vincere, se crediamo in lei.

 

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Loredana Lipperini sarà al Women’s Fiction Festival di Matera il 30 settembre

19.00 Museo Archeologico Nazionale Domenico Ridola
Isabella Fava, giornalista di Donna Moderna, dialoga con Loredana Lipperini, autrice di L’arrivo di Saturno (Bompiani)
Un memoir generazionale che offre una riflessione sulla letteratura e la finzione, il racconto di una doppia vicenda fatta di ibrida realtà e fantasia

 

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Chiacchierando con… Loredana Lipperini