di Alice Pisu

Libraia e giornalista, al timone con Antonello Saiz dei Diari di bordo, libreria indipendente a Parma, con la rubrica "I libri di Alice"
Libraia e giornalista, al timone con Antonello Saiz dei Diari di bordo, libreria indipendente a Parma, con la rubrica “I libri di Alice”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Requiem per un’ombra. Mario Pistacchio e Laura Toffanello

Letture di Alice Pisu (Libreria Diari di bordo). Prosegue il viaggio di Alice Pisu nell’editoria indipendente per raccontare l’atteso nuovo romanzo di Mario Pistacchio e Laura Toffanello, dopo il successo de L’estate del cane bambino, 66thand2nd. (QUI il link)

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Nel migliore dei mondi possibili si trova sempre ciò che si cerca. È un’ombra nera che si aggira nella notte con il suo trench con il gabardine verde, la sigaretta sulle labbra e il cappello sugli occhi a celare le rughe che segnano occhi di cotone, Sal Puglise. Il protagonista di Requiem per un’ombra, di Mario Pistacchio e Laura Toffanello, 66thand2nd, è un investigatore privato alla deriva, solo, e forse chi fa quel mestiere, chi è un’ombra, non può che vivere in solitudine, nessuna famiglia, nessun affetto vero, nessuna casa oltre le quattro mura che ne accolgono i pensieri, nessuno da perdere. Si era trasferito a Torino al momento giusto, quando era ancora la Shangri-La del jazz, ogni pezzo da novanta era passato per quei club, da Bosso, a Ornette Coleman, Don Byas e Chet Baker, e dove i dischi si compravano nei posti storici per gli appassionati, come Maschio in piazza Castello, per ritrovare quelle musiche suonate allo Swing club, o a Le Ginestre in Barriera di Milano. È la Torino del jazz e dei criminali che si aggirano nella notte, dove esiste un mondo sotterraneo dominato dalla legge della strada, dove un boss chiamato Dio decide sulle vite degli altri muovendone i fili come un marionettista, dal fondo di un bunker dove c’è poco altro da fare oltre a dormire, mangiare e procreare. Passa le giornate come un’ombra, Sal Puglise, “ad ascoltare senza essere ascoltato, a guardare senza che nessuno dovesse vederlo, scomparendo giorno dopo giorno, nei giorni che si susseguivano sempre uguali”. Sono ormai lontani quegli anni Ottanta che si annunciavano leggeri e peccaminosi, carichi di speranze per Sal e il suo nuovo socio, Milos Safrakis, in quel novembre quando “anche i morti festeggiavano all’inferno” e due riciclati come loro, una guardia giurata e un cassiere, si mettevano in società per dare vita all’agenzia investigativa più promettente di Torino. Come tutti i sogni, anche quello sarà destinato a finire, spegnendosi con casi di poco conto, tra scomparsi e storie di infedeltà coniugali. Deve trovare un caso per risollevarsi anche economicamente, Sal, e una rapina finita male in una tabaccheria sembra fare al caso suo.

downloadÈ una riflessione a tratti amara e a tratti ironica sulla vita, quella della seconda prova di Pistacchio e Toffanello dopo il successo de L’estate del cane bambino, da cui occorreva tracciare un netto margine nelle storie e nell’ambientazione. Dal paesino degli anni Sessanta alle porte di Chioggia alla metropoli del jazz e della criminalità: il protagonista di Requiem, un po’ goffo nel cercare di fare il duro, si sente come Charles Mingus nel lavorare come nel vivere, ma in fondo vive perseguendo la necessità di fare giustizia per chi non può ottenerla da solo,  lo stesso sapore lasciato da L’estate del cane bambino.

“Quello che osserva e aspetta, quello che attacca per paura, e quello che ha voglia di fidarsi e di amare e si ritira ogni volta che si scopre tradito. Quale immagine vuoi far vedere al mondo? Che m’importa di cosa vede il mondo, sto solo cercando di capire come mi sento dentro”. Sono le riflessioni del grande contrabbassista, simbolo della controcultura giovanile, raccolte nella sua autobiografia Peggio di un bastardo, Sur. È in fondo lo stesso eterno dilemma che domina i pensieri dell’uomo ombra, che scandisce i suoi passi nella notte alla ricerca di risposte, anche quando un diluvio sembra poter lavare ogni peccato. Quante vite aveva vissuto Sal Puglise senza che nessuna fosse la sua? Il passato, anche quando si cerca di lasciarlo alle spalle, non se ne va mai davvero, rimane addosso. La musica accompagna i pensieri, quella musica che è il filo rosso di tutta la narrazione e che si fa voce di sentimenti e stati d’animo che non potrebbero avere nome migliore di quello richiamato dalle strofe di un pezzo jazz. Come mentre ascolta Blues for sale che gira sul piatto mentre pensa a quella figlia di cui ignorava l’esistenza. Una figlia conosciuta solo per immagini, scatti visti di soppiatto di un viso sorridente, in altri pensieroso, istantanee di autunni che si fingevano estati, la recita di fine anno, un treno preso a Natale per tornare a casa, i baci con il professore. Quando non rimane che parlare da soli immaginando di rivolgersi alla persona amata, come una figlia mai conosciuta, quelle parole possono fermarsi in gola e restare lì, perché a volte le parole giuste non ci sono, quelle per non fare del male, per spiegare ciò che non si può spiegare. Allora si infila le cuffie e si rifugia nella musica, I’ll Be Around, “spiegando al mondo cosa significhi amare veramente qualcuno, restare nei paraggi nonostante gli addii, continuare a tenersi d’occhio e accorgersi, alla fine, di quanto si sia stati amati. Valeva per tutti tranne che per le ombre, pensò, lui semplicemente non esisteva”.

E se i contorni del giallo sono ben definiti, con storie che si incastrano tra loro dal finale incerto, la cifra della fine narrazione di Requiem per un’ombra risiede nella profonda connotazione psicologica dei personaggi, nel modo di plasmarne sapientemente i tratti fisici e psicologici in ogni dettaglio, ancor prima di porre l’accento sulla trama. È nella costruzione accurata delle peculiarità dei personaggi secondari che emerge la cura che gli autori riversano nella storia, rendendo quelle figure secondarie mai realmente tali perché cesellate anche attraverso i dettagli. Un mazzo di rose non a caso bianche, un giubbotto verde smeraldo sostituito di soppiatto, o un pappagallo di nome Rico dall’umorismo spiazzante possono rendere unica una storia.

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È un romanzo sulla precarietà dello stare sul filo, dei piccoli e grandi avvenimenti della vita di un uomo, Requiem per un’ombra, che riporta in superficie le parole celate in ognuno, la totale assenza di certezze e la profonda solitudine. Un evento, anche minimo, può mettere in discussione una vita e cercare nel passato degli altri porta, prima o poi, a fermarsi a guardare il proprio e scoprirsi fragili cercando, con tentativi tardivi, di recuperare ciò che non è mai recuperabile: il tempo.

Allora può capitare che arrivi una donna, con una foto sbiadita di un fratello visto per l’ultima volta trent’anni prima, a sconvolgere i piani di quell’uomo alla deriva. Può accadere anche di finire all’altro capo del mondo per una promessa e stupirsi ancora della vita, ascoltando in quei tanghi nella notte di Buenos Aires le storie di uomini e donne che si incontrano e si separano, per incontrarsi di nuovo. Può accadere anche di prendere carta e penna e scrivere una lettera a quella figlia mai conosciuta e raccontarle una vita lontana da lei, iniziata tra le speranze che provava quando era appena un giovane investigatore della sua stessa età e non sapeva ancora che la vita “è quella cosa che stai vivendo mentre aspetti qualcosa che non succederà mai”. Quando penserà di essere riuscito a risolvere i casi per cui è stato pagato, si renderà conto di non essersi mai veramente soffermato sull’unico caso realmente importante, la sua vita.

Nessuno è veramente un fallito davanti a un fiume, pensa. Inizia a riannodare i fili proprio a Buenos Aires, in quella città che come la vita e come il jazz era più bella di notte, cercando di capire quale sia il senso, se esiste, di quelle giornate cariche di speranze poi sgonfiate dalla realtà, nella solitudine di una vita trascorsa come un’ombra in una Torino mai così malinconica. Si sofferma a guardare quella chiesa, Sal, chiamata Santa Felicitas ma che di santa non aveva nulla, in onore della donna più bella di Buenos Aires, giovane vedova desiderio di ogni uomo, uccisa dal suo amante. Troppo infausta la sua storia per vedere celebrati matrimoni tra quelle sacre mura che racchiudono l’anima di quel luogo, come racconta Chico, il tassista mezzo argentino e mezzo pugliese di Manfredonia: “Amore, passione e morte, il biglietto da visita dell’Argentina”.

Gli era successo di tutto nella sua vita, casi da risolvere, pestaggi, amori sofferti e amori mancati, una figlia mai conosciuta, morti che perseguitano la coscienza e, come Candido, anche lui ora si trova a mangiare cedri canditi e pistacchi. Perché, come diceva Voltaire per voce di Pangloss, se non si fosse inabissato nel fondo dell’inferno, non ce l’avrebbe mai fatta. Smette ormai di cercare le risposte, Sal, mentre in lontananza sente il canto malinconico di un vecchio all’angolo, seduto su una sedia di vimini, che intona Malena “cullando i rimpianti una nota alla volta”.

“Che importa che ci sia del male o del bene?”, si chiede il derviscio turco nell’ultimo capitolo di Candido. In fondo, si convince, il male è un effetto di ciò di cui è fatto l’uomo, una condizione da cui non è possibile staccarsi. E anche se in modi e tempi diversi, Sal, come l’eroe di Candido, subisce le violenze degli uomini e degli eventi sulla propria pelle, su quel corpo che soffre e invecchia. Ma è quel suo sguardo a essere fondamentale per riuscire a guardare la deriva di una società dove si perde la compassione per il prossimo, dove non si distingue quasi più il male inferto da quello subìto. Candido viaggia in lungo e in largo senza che i personaggi che incontrerà di volta in volta possano aiutarlo a interpretare il mondo, si limiteranno a confermare quel profondo senso di disillusione. Lo stesso provato dal protagonista di Requiem per un’ombra, che vagherà alla ricerca di risposte che non potranno mai realmente acquietare le sue inquietudini antiche. Non a caso, la scelta di Sal, come quella di Candido, resta quella di smarcarsi dal resto della società, cercare la solitudine, rifugiarsi di nuovo, e irrimediabilmente, in essa.

Non rimangono, allora, che quelle parole mozzate in gola, pensieri che si fanno voce per un’ombra, come monito tardivo di ciò che resta. “Alla fine, quando te ne vai, il senso di tutto è solo questo, aspettare che un amico venga a trovarti, scoprire di aver vissuto perché qualcuno si ricorda di te, come parlavi, cosa ti piaceva, chi saresti voluto diventare”.

 

(Recensione uscita su Repubblica Parma il 21 marzo 2017 Letture di Alice Pisu. Libri. Parole e dintorni)

I Libri di Alice: Requiem per un’ombra