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Solo alla fine, e non voglio essere io a svelarlo, la protagonista di “Trenta per zero” (il Palindromo, raffinata casa editrice siciliana, dal catologo innovativo e dall’accurata e originale manifattura libraia: nello specifico la copertina del libro di Mara Di Tella è strepitosa) rivela con chi si è identificata nel suo vagare per le strade di Roma, in un itinerario quotidiano e familiare, che si rivela un nostos, perché la riporta lì dove l’abbiamo sorpresa alla mezzanotte che apre il giorno del suo trentesimo compleanno: il letto di G., a casa del padre di lui.

Mi identifico in lui perché siamo entrambi senza meta, disoccupati e fuoricorso, persi tra una mattina e un’altra. Come naufraghi in mare, aggrappati con tenacia a un pezzo di legno, sbattuti dai venti andiamo alla deriva, eppure non abbiamo il coraggio di lasciare quell’unico appiglio e inventiamo motivi per continuare a cercare una riva.

Il titolo flirta con la raccolta di racconti “Ti con zero” di Calvino, che vale anche come suggerimento di una possibile derivazione di modelli narrativi di matrice calviniana, pur in un certo senso ribaltato, perchè invece di attingere a “Ti con zero” e alle “Cosmicomiche”, Mara di Tella per la leggerezza della narrazione, per l’ambientazione urbana, e infine per il tema dell’alienazione dei personaggi sembra guardare di sottecchi al “Marcoaldo”.

Sei tempi a scandire i passi del girovagare della protagonista trentenne, sei tappe di una via crucis che raccontano, con vividezza emotiva e un taglio onirico che a tratti trapela a strattonare il lettore e a immergerlo nella narrazione, la rassegnazione e delusione in cui la protagonista annaspa, senza mai arrendersi.

La lezione all’università, la Biblioteca Nazionale, la visita alla nonna paralizzata e rinchiusa in casa, le ripetizioni private in una casa opulenta a un ragazzino viziato e prepotente eppure estremamente fragile e perso, la cena con la famiglia nello striminzito appartamento condominiale nel centro storico di Roma, concesso al padre come portiere dello stabile:

È una maledizione, perché vivere qui significa anche vedere ogni giorno chi saresti potuto essere o cosa avresti potuto fare, se il caso fosse stato più gentile.

e il ritorno a casa di G., con cui fingono una vita matrimoniale occupando ogni notte la camera dello stesso nella casa paterna. Prima di concludere la giornata lì dove era cominciata, una sorpresa che darà un senso al giorno del compleanno, e che nella sua semplicità commuove e intristisce insieme.

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Mara Di Tella, con una scrittura stringata ed essenziale, affidandosi con maestria ai dialoghi che danno alla narrazione un ritmo serrato e cinematografico, in una sola giornata condensa con straordinaria adesione al vero il naufragio di un’intera generazione, naufraghi nell’alto mare delle possibilità negate, senza una riva all’orizzonte che non sia abbandonare i propri lidi e accettare di trasferirsi in un altrove, che se offre più possibilità professionali, aliena definitivamente da ciò che sono.

Non è un racconto realistico “Trenta per zero”, ma un racconto reale, che affonda le sue radici nell’urgenza del vero: di dare voce, con estrema affilata lucidità, ai trentenni e alla loro muta disperazione, senza mai perdere il coraggio.

Mara Di Tella sceglie la strada più difficile, che è quella appunto di narrare, rivisitando la lezione di Joyce,  la quotidianità, senza indulgere al romanticismo, senza scadere nel facile patetismo, senza concedere nulla al romanzesco. In questa adesione scabra al vero, “Trenta per zero” affina la sua forza di indagine e di testimonianza. Nessun eroismo nella protagonista, ma solo il coraggio di sopravvivere e di cercare un senso che possa riempire le giornate, destinate all’errare per le vie di una città che ha perso il suo fascino:

Ferma al semaforo osservo la Fontana del Mosè, le macchine le sfrecciano accanto tutto il giorno, in pochi si fermano ad ammirare i riflessi dell’acqua che danzano sugli altorilievi e sulla faccia severa di Mosè.

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Con forza trascinante, Mara Di Tella ci spinge a pedinare la sua protagonista, e come in ogni pedinamento (rubo la riflessione a Laura Toffanello) ci costringe a metterci nei suoi panni, pur tenendoci a debita distanza, con una scrittura che non cerca l’empatia del lettore, ma la sua immersione nella storia, perché senta e non solo percepisca cosa si prova a essere in bilico, mentre la città scorre indifferente sotto i piedi.

Dov’è la linea di demarcazione? Dov’è il confine tra la certezza di avere una speranza e la consapevolezza di aver fallito?

Mara Di Tella riesce a tracciare questa linea, offrendo con “Trenta per zero” un quadro brulicante di vita vera di un’intera generazione, che deve fare i conti con una insolita fase della vita: l’adultescenza.

 

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Trenta per zero