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Potremmo dire che abbiamo fatto questa chiacchierata su un treno che attraversa un pezzo di Italia non ben precisato. Stiamo parlando di un viaggio e dunque mi pare una soluzione coerente (persino credibile).

E allora si parte: tutti in carrozza! Con me per questo viaggio senza una meta precisa c’è Laura Calosso, autrice di “La stoffa delle donne” (SEM). Prendete posto, mentre io inizio a porre la prima domanda.

lauraLaura Calosso ha scritto un romanzo fresco e pensoso, come un vestito di lino, in cui attraverso quella che in superficie può sembrare una favola, accarezza temi di stringente attualità, come la qualità dei materiali degli abiti che indossiamo e la responsabilità individuale.

“La stoffa delle donne” è un titolo brillante perché da una parte allude al modo di dire: avere la stoffa, per indicare qualcosa in cui si è versati, che si sa fare con maestria; dall’altro, nel plurale, per indicare le donne, mi sembra alludere all’esemplarità della vicenda della protagonista, Teresa Guerrini. 

Potremmo dire, Laura, che Teresa nella particolarità della vicenda che si trova a vivere all’interno del romanzo, riscatti tutte le donne, che come lei si sono assuefatte a una grigia monotonia che le vede indossare abiti di pessima qualità? Di quale stoffa è fatta la tua protagonista? E qual è la stoffa delle donne?

libro_homeTeresa Guerrini, la protagonista de “La stoffa delle donne” è una donna come tante. Non è un’eroina e non è neppure una fuoriclasse. Ha commesso errori nella sua vita e uno di questi sbagli ha generato in lei un senso di colpa profondo che ha influenzato le scelte importanti. Teresa è ciò che non vorrebbe essere e se interrogata al proposito direbbe che non sa neppure che altro tipo di donna desidera diventare. Dunque stiamo parlando di eccezionalità nella normalità, di determinazione al cambiamento che arriva dopo anni di grigiore, una forza inarrestabile che spesso ha chi agisce dopo aver tanto subìto. Teresa riesce a riscattare le donne senza mostrarsi superiore per genio o qualità. Dopo tante traversie sa indicare una via  d’uscita  nell’ambito di ciò che è “possibile”, non propone soluzioni inarrivabili ma usa la sua intelligenza per osservare la realtà e  individuare la strada che può riportarla a se stessa.

Teresa è fatta di una stoffa sfilacciata ma ancora resistente. Molte donne sono fatte di questa stoffa, specie quelle più sensibili, quelle che nel corso del tempo hanno dato molto senza mai ricevere. 
C’è un solo modo per vivere: vivere!  È questo il messaggio di Teresa: non rinunciare all’azione, non smettere di far progetti per colpa di delusioni vissute nel passato.
Come diceva il Mahatma Gandhi:  “Qualsiasi cosa tu faccia potrebbe non fare alcuna differenza ma è molto importante che tu la faccia.”

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Quasi per scherzo, e di sicuro senza aver piena consapevolezza e padronanza del suo gesto (o forse sì?) Teresa Guerrini si ritrova ad Amsterdam, senza neppure le scarpe adatte che ben presto si infradiciano con la pioggia. L’elemento delle calzature non mi sembra secondario: si può andare con i vestiti sbagliati ma non senza le scarpe giuste. Anche se poi, quando ne comprerà un altro paio, Teresa sceglierà delle calzature molto particolari, che sembrano essere metafora della sua nuova, insolita, imprevedibile vita olandese. Perché Laura Calosso ha scelto di far volare la protagonista ad Amsterdam? Cosa nasconde la capitale olandese che le altre città non potevano svelare?

Avevo la sensazione di trovarmi in un posto del tutto improbabile ma già visto, c’era un motivo se ero arrivata fin lì, mi pareva ci fosse. era un’impressione vaga, che sfuggiva non appena tentavo di metterla a fuoco, svaporando come la nebbiolina che saliva dal canale.

 

Morning-glory-scarpe-di-stoffa-stile-cinese-totem-appartamenti-mary-janes-ricamo-delle-donne-scarpe-casualTeresa non sceglie le scarpe adatte con cui partire semplicemente perché, quando esce di casa la sera dell’8 marzo, non ha intenzione di andarsene, è in preda a sentimenti contrastanti che non sa decifrare. Ha inforcato la bici e in pantofole rosse pedala per le vie del quartiere. Deve ragionare su  ciò che le è accaduto in quella giornata avvilente. E non solo …  Ogni tanto guarda il display del cellulare. Anche se sono le 21 nessuno la chiama, né i figli né il marito. È questo – oltre al resto – a metterla sottosopra  fino a farle perdere lucidità.

A un certo punto si ritrova nella hall dell’aeroporto di Linate che è a poca distanza dal condominio in cui abita. Compra un biglietto per un volo low cost e in balia dei suoi pensieri si risveglia due ore dopo all’aeroporto di Amsterdam. Solo là si accorge che il telefono è andato in blocco a causa di un temporale; questo è il motivo per cui nessuna delle tante chiamate ricevute le è arrivata. Purtroppo sembra tardi per rimediare, non ci sono più voli per tornare indietro. Teresa dovrà passare la notte fuori casa ma non ha neppure il denaro per un hotel decente.

Amsterdam è per Teresa una città sconosciuta. Le uniche informazioni di cui dispone sono quelle che fanno parte dello stereotipo. Nel suo giro notturno alla ricerca di un luogo in cui dormire non vede, però,  né prostitute in vetrina né coffee shop dove si fuma marijuana. Teresa vede la vera Amsterdam, la città di cultura con i meravigliosi palazzi secenteschi affacciati sui canali.

La mia scelta di ambientare il romanzo in una città ricca di fascino ma vittima di luoghi comuni nasce proprio dalla volontà di avvicinare il lettore a una verità complessiva. La verità non è mai in superficie ma si nasconde dietro alla facciata di banalità a cui siamo abituati.

Per cercare se stessi bisogna saper andare oltre il visibile, lontano da ciò che distorce la realtà e copre la verità nascosta. Può sembrare banale ma non è facile da mettere in pratica, da qui il mio desiderio di offrire spunti per ragionarci su.

Amsterdam è una città che conosco bene per averci vissuto e il mio romanzo è un omaggio alla sua bellezza, al lato meno conosciuto dai turisti “mordi e fuggi”.

Estacionamento Aeroporto Santiago de Compostela

Quella di Teresa si configura come una fuga, che lei vive anche con dei sensi di colpa, in particolare nei confronti dei figli.

I figli ormai grandi che continuano a contare, assuefatti, sul suo accudimento, che non è più soddisfacente per la madre perché unilaterale, misconosciuto e privo di gratitudine e di gratificazioni.

C’è una riflessione sottile e perdurante nel corso del romanzo, in cui senza impartire lezioni di vita, né consigli didascalici, attraverso il comportamento e le reazioni di Teresa, spingi il lettore a riflettere su stereotipi, preconcetti, abitudini e assuefazioni che finiscono per soffocare la donna, come d’estate una stoffa 100% acrilico. 

Quale lezione impara Teresa ad Amsterdam riguardo ai figli e al loro rapporto? Era nei tuoi piani narrativi indagare anche sui complicati, difficili, contraddittori rapporti tra l’essere donna e l’essere madre?

Una madre è prima di tutto un essere umano e a mio avviso l’essere umano può dirsi tale solo se non smette di imparare, di confrontarsi con gli altri, specie con le persone che gli vivono accanto.

Teresa, prima del viaggio, vede i suoi figli troppo da vicino. I suoi occhi si posano di continuo sui dettagli: il disordine che lasciano in camera da letto, la loro disattenzione, l’egoismo tipico degli adolescenti. I suoi figli, come un quadro osservato senza un margine di distanza, le appaiono entità confuse, quasi estranee. Solo ad Amsterdam i contorni del rapporto si chiariscono: i chilometri di separazione agiscono come una lente che mette a fuoco la complessità. Forse i suoi figli non sono disattenti come crede, forse sono meno irresponsabili rispetto allo stereotipo che lei stessa ha contribuito ad alimentare nei suoi pensieri. 

La distanza cancella le etichette: non esiste più una madre e non ci sono più figli … la storia ci mostra solo esseri umani davanti a una prova difficile da affrontare. La separazione implica un’analisi. Separare non significa solo allontanare ma anche scomporre, scegliere, slegare, valutare. Separarsi è un concetto che implica anche il ritrovarsi e sono convinta che spesso sia importante rivedere le condizioni su cui si fondano i rapporti, anche quello tra una madre e i suoi figli. Solo così si diventa adulti, se per adulti si intende soprattutto “responsabili” delle proprie scelte. 
Questo  rientrava nei miei piani narrativi: mostrare come le relazioni umane, anche quelle più spontanee perché naturali (come il rapporto madre-figlio) vadano sempre analizzate e affrontate abbandonando le proprie idee preconcette. La maggior parte delle nostre idee sul mondo deriva da convenzioni sociali e queste devono sempre poter essere rinegoziate se i risultati che danno non sono buoni. Non esiste un solo modo di essere mamma ma tanti modi diversi. I figli crescono sani solo se comprendono da piccoli  che la vita è zeppa di vincoli e condizioni date ma può essere  cambiata (in meglio) essendo noi in gran parte frutto delle nostre personali decisioni.
 

 

unnamed-1” La stoffa delle donne” è un romanzo sulla separazione o sul ricongiungimento? Non intendo solo di Teresa con gli altri, ma anche e soprattutto con sé. Non mi piace mai entrare nei dettagli della trama. Da lettrice, ho sacro il diritto del lettore a sorprendersi e a trovare la sua strada nelle pagine di un romanzo, che si perde se c’è qualcuno che ti racconta la sua versione della trama. Nella vicenda di Teresa c’è una scelta importante di cui avverte tutta la complessa responsabilità. Non la svelo, ma è soprattutto alla luce di quella decisione che mi sembra si giochi il senso profondo della mia domanda.

Cosa sceglie in definitiva Teresa?

Teresa sceglie la luce. Non si tratta di una svolta mistica ma di una svolta esistenziale.

Per spiegarmi meglio faccio questo esempio: se siamo in una stanza buia in cui non vediamo nulla non sono necessarie grandi lampade per distinguere il contorno delle cose, basta un filo di luce a metterci in condizione di ritrovare l’orientamento. Questo esempio vale per la nostra vita: se la sentiamo opprimente, se l’oscurità del nostro quotidiano ci impedisce di prendere una direzione sensata, non dobbiamo chiedere troppo a noi stessi, non dobbiamo obbligarci a rivoluzionare le cose perché forse non avremmo la sufficiente energia per arrivare a un risultato. Dobbiamo invece concentrarci sulle azioni piccole che sono alla nostra portata. Se non abbiamo la forza di buttar giù le pareti della nostra gabbia, è bene muoversi per gradi. Basta un forellino nel muro per rendere chiara una stanza buia, per ritrovare l’orientamento. In ogni vita, anche la più triste, c’è sempre modo di scavare una minuscola fessura luminosa. Da questa azione minima  si può e si deve ripartire. 

Teresa fa una scelta “possibile”. Come ho detto è una donna normale, non un’eroina romantica. C’è una sola cosa che può fare, la medita a lungo, ne valuta le conseguenze, calcola il rischio e a un certo punto decide di procedere. Sulla base dell’esperienza di Teresa, sta al lettore individuare nella propria vita l’azione “possibile” da compiere per uscire da situazioni opprimenti e senza futuro, tenendo però conto che – come ci insegnano i filosofi – non esiste un bene individuale durevole se non nell’ambito di un bene collettivo da progettare. 

“La stoffa delle donne” non è un libro sulla separazione o sul ricongiungimento è un romanzo che invita a mettere una distanza temporanea tra i nostri pensieri e la nostra quotidianità. Nella realtà dei fatti noi non possiamo mai separarci da noi stessi e sarebbe insensato affermarlo. L’unica cosa che possiamo fare è prendere distanza dai nostri pensieri per un po’, abbandonare i soliti schemi con cui osserviamo le cose. Questo è l’unico modo per dare luce alle stanze in cui abita la nostra mente, incapace spesso di orientarsi nel buio e di trovare soluzioni adeguate ai problemi che ci ossessionano.

 

children-boy-slingshot-outdoors-lifestyle-59739030Siamo giunte a destinazione, e mi appresto all’ultimo domanda.

Non è solo il presente che spinge Teresa alla fuga, ma anche e soprattutto il passato. Un passato che apre in maniera straordinaria il romanzo, con una scena vivida e plastica, e che poi si dipana parallelamente alla narrazione.

Teresa ha cercato di mettere una distanza con il passato, ma poi il destino ha deciso diversamente.

Quanto il passato influisce sulle scelte di Teresa e su quello che lei è diventata? Si può dire che “La stoffa delle donne” ha un finale aperto, che riguarda proprio il dover nuovamente fare i conti con ciò che è stato?

Al proprio passato non si sfugge. Ci si può illudere di accantonarlo, di nasconderlo sotto al presente come polvere sotto a un tappeto ma il passato – se irrisolto – torna sempre.

Nel caso di Teresa c’è un solo grande errore da dimenticare, uno sbaglio che è però talmente grande da influenzare una lunga catena di scelte successive. Teresa ha sofferto molto per le conseguenze del proprio errore e per questo ha cercato di rimuoverlo, di accantonarlo senza affrontarlo. 
Che cosa ha commesso di grave Teresa? In realtà non ha fatto nulla ma è stato proprio questo “non fare nulla quando si poteva fare qualcosa” a trascinarla in un vortice di parole non dette, di situazioni non chiarite, di ombre. 

Teresa vive una vita che non le corrisponde e si ritrova a fare i conti con l’irrisolto. L’occasione si presenta in uno strano modo: la soluzione dei problemi presenti si rivela la chiave di una porta che riapre il passato. E’ a questo punto che la protagonista e il lettore si trovano faccia a faccia. Teresa diventa uno specchio in cui misuriamo il nostro coraggio nel cambiare le cose. Teresa infonde coraggio proprio perché non eccelle, non ha qualità speciali, non è superiore a noi; ha un unico potere: mostrarci il nostro lato migliore, quello che, se valorizzato, potrebbe spingerci a fare un salto in alto verso il blu.

Come scriveva Italo Calvino “l’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”.

Le avventure di Teresa Guerrini ne “La stoffa delle donne” sono un percorso nella direzione di una ritrovata autenticità. A ciascuno la propria. Se volete qualcosa di meglio dalla vostra vita, date spazio alla parte migliore di voi.

Un abbraccio a tutti quelli che sono in cammino e che sapranno usare il mio finale aperto come una pista di decollo per importanti decisioni personali.

Chiacchierando con… Laura Calosso
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