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Ci vediamo a Siena, sugli scalini di Fontebranda, io porto cantucci e vin santo.

crispy-cantucci-vin-santo-old-wooden-table-55257941Cosa si può mai dire a una proposta così invitante? Io e Sabina Minardi a inzuppare i cantucci nel vin santo, mentre chiacchieriamo di “Caterina della notte” (Piemme), il primo romanzo della giornalista dell’Espresso.

Ce n’è per tutti, quindi non esitate a unirvi a noi, mentre io comincio con la prima domanda.

“Caterina della notte” è un libro molto studiato. Non solo per la complessa struttura narrativa che alterna due storie parallele, una nel presente e una nel lontano 1380, con due registri linguistici totalmente diversi, di cui quello della storia attuale scritto con raffinatezza e attenzione, ma quello del passato ha uno stile molto curato e accurato, per ricreare l’atmosfera medioevale in cui la storia si inserisce. Di fatto i romanzi sono due: uno di introspezione psicologica nel cuore e dell’identità di Catherine, donna inquieta di origine italiana ma vissuta a Londra, e uno storico in cui alla protagonista, Giovanna da Fontebranda, si affianca la figura monumentale di santa Caterina. Ma ancora di più il romanzo è accurato nei dettagli, nelle minuzie narrative, nelle indicazioni topografiche, artistiche, e di vita quotidiana, in entrambi i contesti narrativi.

Leggendolo mi sono chiesta: ma quanto avrà studiato Sabina Minardi per scriverlo?

Studiare, documentarmi, consultare inventari e libri dei pellegrini dell’ospedale, fissare affreschi e immaginarli in movimento; addentrarmi nel fraseggio accidentato delle lettere di Caterina da Siena; ma anche andare in giro per la Val d’Orcia, con gli occhi in su per scovare il simbolo della Scala impresso su palazzi e fattorie, ha occupato svariati periodi di questi ultimi anni. Senza fretta: questo libro ha rappresentato il contraltare alla scrittura giornalistica e al ritmo veloce delle mie giornate.

L’ho scritto interamente di notte. Di notte studiavo, immaginavo, entravo in un altro mondo. A partire dall’ultima pagina: il mio vero incipit. Identico nella prima stesura alla versione definitiva.

978885665928HIG_af71796455ec75e56afb342812bea0cbE sulla quale noi caliamo un velo, perché l’ultima pagina per una lettrice è sacra.

Anche Catherine, nel ritmo confuso e inquieto delle sue giornate londinesi, si concede una pausa, organizzando quel viaggio a lungo rimandato nella città d’origine dei genitori, e in particolare della madre, scomparsa in un incidente quando lei era bambina.

Con Catherine passeggiamo senza fretta per Siena, nei luoghi meno noti, centellinando i passi e le emozioni, ammirando e osservando, con gli occhi e con il cuore di questa donna straniera ma indigena nella parte più profonda della sua anima, che è quella dell’identità radicata che ognuno di noi riceve dai genitori, anche quelli assenti e scomparsi.

Mi ha affascinato che tu scelga, in una delle due parti del libro, di raccontare una città “universale” come Siena attraverso gli sguardi di due stranieri: Catherine e uno studioso spagnolo Xavier. Lontananza e vicinanza, ammirazione e incomprensione, conoscenza e sorpresa. Questo gioco prospettico dona al romanzo un fascino in più.

Ci spieghi le motivazioni che ti hanno spinta ad attraversare Siena accompagnata da due stranieri?

Esattamente per le ragioni che indichi tu: in uno sguardo straniero potevo accentuare il senso di stupore, che i nostri occhi spesso anestetizzati da troppa bellezza nelle nostre città non provano più.

Del resto, non siamo forse tutti un po’ stranieri di fronte alla bellezza? Che è sfuggente, e apre varchi verso altri mondi… Lo studioso spagnolo mi ha consentito di ricucire passaggi storici che altrimenti potevano risultare frammentari e ostici.

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Poi c’è lo sguardo da un interno, quello di Giovanna da Fontebranda, chiusa in Santa Maria della Scala. Una storia complessa, a tratti gotica, perfettamente medievale eppure così straordinariamente moderna. La vita nell’ospedale, le regole rigide, i pellegrini: il senso di una città visto attraverso uno dei suoi riferimenti più caratteristici, essere snodo importante della Via Francigena.

Catherine e Giovanna sono due donne simili per tanti elementi, che qui non voglio indicare lasciando al lettore la scoperta dei vari passaggi narrativi, perché “Caterina della notte” è non solo un romanzo di fine introspezione nell’universo femminile in due epoche distanti che tu riesci a rendere comunicanti, ma anche un romanzo di intreccio in cui l’effetto sorpresa, i colpi di scena, le agnizioni e i ritrovamenti sono numerosi e incalzanti.

Le presenti tu le due protagoniste, scegliendo quello che il lettore può sapere senza rovinarsi la sorpresa?

Il romanzo ha due piani. Uno contemporaneo, che ha per protagonista Catherine, una donna di oggi: bella, libera, inquieta, con un lavoro che le piace, un amore ufficiale e qualcuno clandestino. Una donna che vive a Londra, con il padre; che è nata a Siena, ma nella città toscana non ha più fatto ritorno.

Giovanna è invece la protagonista del misterioso manoscritto che approda sulla scrivania di Catherine. È la donna dalla vita negata: reclusa sin da bambina nell’Ospedale di Santa Maria della Scala, trascorre lì gli stessi anni di vita di Caterina da Siena. Tutto le è precluso: anche l’amore di un pellegrino di passaggio. Perché, e che rapporto abbia con la santa, si capirà solo alla fine.

Cos’hanno in comune Catherine e Giovanna? Fame d’amore.

 

oratorio_notte_2_Di_PietroUn’allusione anche nel titolo? Non posso svelare la mia interpretazione, che è scaturita dalla lettura del romanzo; non mi sembra infatti faccia solo riferimento a un luogo, molto suggestivo, all’interno di Santa Maria della Scala, ma sia allusivo e interpretativo della vita e del senso esistenziale dei personaggi del romanzo.

Ma dal titolo non si può che fermare l’attenzione su santa Caterina, figura che incombe, soprattutto con la sua ombra, in ogni parte del romanzo, e che tu usi come collante tra le due storie.

Quale il fascino di una santa in un romanzo moderno? C’è la volontà di creare una dicotomia, oltre alla necessaria verità storica che le vede contemporanee e rivali, tra Caterina e la regina di Napoli, Giovanna?

Ma ancora di più nella dicotomia tra Caterina e Giovanna di Fontebranda, non c’è la volontà di Sabina Minardi, forzando in questa caso la verità storica o illuminandola con l’immaginazione, di presentare una nuova eroina, avvolta dal buio della memoria?

È lo stesso fascino delle storie antiche che allungano la loro ombra sul presente. E la consapevolezza che il cuore batte e palpita allo stesso modo, anche in donne distanti secoli.

C’è un continuo gioco di simmetrie, nel romanzo. L’altra Giovanna, la nipote di Roberto d’Angiò e tra le prime sovrane d’Europa a regnare per diritto proprio, mi è venuta incontro quasi per caso, a partire da  una lettera di fuoco che Caterina le rivolge, accusandola di tramare contro il papa. È una figura per la quale ho istintiva simpatia: fu traditrice ma fu molto tradita, e nonostante ben quattro mariti, fu sempre infinitamente sola. Amava le arti e lettere, e di intellettuali da tutto il mondo si circondò nella sua corte. Donna sensuale, che esibiva la sua femminilità. Il contrario di quella Giovanna, frutto della mia fantasia, condannata al silenzio e al buio. Donna spezzata, perché la Storia si compia. Una nuova eroina? Una donna che si ribella scegliendo il momento della sua fine. Ma scrivendo un’ultima lettera, testamento che ha in sé la verità.

 

Cappella_chigi_(siena),_Ercole_Ferrata,_santa_caterina_da_siena_02Tanti i rimandi e le simmetrie, di cui non parlo perché “Caterina della notte” riserva molte sorprese al lettore, che non voglio svelare e neppure anticipare.

Un romanzo soprattutto al femminile: Caterina, Giovanna di Fontebranda, Catherine e le tante donne che le accompagnano muovendo il quadro d’insieme e rendendolo un affresco dei tempi narrati; anche gli uomini sono tanti: il padre di Catherine, David, Xavier, Kilian, per citare solo quelli di maggiore spessore narrativo, ma non arrivano ad occupare la scena in maniera preponderante. Figure importanti quelle maschili, ma sempre in subordine a quelle femminili. Le vicende si muovono intorno alle donne, ai loro sentimenti e tormenti.

È consapevole il risalto dato alle donne, o hanno preso il sopravvento nella storia senza che tu te ne rendessi conto?

Sì, so che nel mio libro le donne occupano il posto principale. Ma non è un giudizio sugli uomini: se qui non hanno un ruolo preponderante, è solo perché Catherine deve risolvere le sue contraddizioni, prima di poter stabilire relazioni significative con l’universo maschile. Scrivendo del padre, invece, ho vissuto una dinamica imprevista: quest’uomo impeccabile, che per tutta la vita si è dedicato alla figlia, svolgendo il doppio ruolo di padre e madre, ha finito per stufarmi. E alla fine del libro gli ho consegnato una responsabilità, e un giudizio, enormi.

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E per concludere, tornando alle battute iniziali: scrittura giornalistica di giorno, e narrativa di notte. Quale rappresenta la natura più intima di Sabina Minardi? Oppure l’una si alimenta nell’altra?

Non so dire se tra cronaca e narrativa ci sia un genere che mi si attagli di più. Però, quando scrivi da giornalista sai che rappresenti gli occhi altrui: racconti, e intanto fai vedere. Se scrivi un romanzo, sveli te stessa: e magari -ed è una gioia-, scopri che nel tuo sguardo qualcuno si riconosce.

Chiacchierando con… Sabina Minardi
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