di Giovanni Accardo

scrittore, docente, saggista e organizzatore di eventi culturali a Bolzano.
scrittore, docente, saggista e organizzatore di eventi culturali a Bolzano.

 

 

 

 

 

 

 

“L’opera dei pupi offre una chiave tragico-fantastica, che senza esserne consapevole mi sembra ora di avere adottato in tutto quello che ho scritto. Mette al centro della narrazione il personaggio e non la trama: il pubblico sapeva già quello che sarebbe accaduto (la pazzia di Orlando per Angelica, il volo di Astolfo, il tradimento di Gano), eppure tornava sempre. Perché ogni puparo muove il pupo in modo diverso […] Più dell’intreccio, contano le mani che nelle quinte muovono le marionette.”

20170521_084850 (1)Scrive così Fabio Stassi nel libro a quattro mani con Enzo Di Pasquale, I ricordi hanno le gambe lunghe, un epistolario narrativo, come recita il sottotitolo, pubblicato lo scorso febbraio dall’editore siciliano Ernesto Di Lorenzo. Si tratta di uno scambio di lettere tra due scrittori profondamente legati alla Sicilia, terra in cui Di Pasquale è nato e vive e da cui è emigrata la famiglia di Stassi, una rievocazione di immagini e ricordi, di storie e parole – vere, inventate o semplicemente immaginate -, di persone che hanno già un destino di personaggi, affabulatori nati e dalla fantasia incandescente, protagonisti e fonte di future narrazioni. Una Sicilia magica e concreta allo stesso tempo, che ha il suo cuore nell’immaginaria Kalamet, una Macondo di mare collocata in provincia di Trapani, verosimilmente a Castellammare del Golfo, luogo di partenze e ritorni, di transiti e approdi; da questa cittadina che non esiste sulle carte geografiche, Di Pasquale scrive le sue lettere a Fabio Stassi, il quale in questo luogo dell’anima ritorna spesso con la memoria e la scrittura. E a Kalamet all’improvviso arrivavano i pupari e mettevano in scena le avventure dei paladini di Carlo Magno:

“spettacoli che duravano due o tre ore l’uno e ai quali poteva assistere soltanto un pubblico maschile. È andata avanti per un secolo e questa tradizione ha avuto effetti nel linguaggio, nella morale e nei comportamenti, svolgendo la stessa funzione delle telenovele e delle serie tv americane. Ancora oggi si dice un pezzo da novanta per indicare un uomo importante, ma l’espressione in origine si riferiva ai pupi più alti, quelli catanesi, che superavano i novanta centimetri.”

E proprio una compagnia di pupi è il tema del secondo racconto scritto da un giovane Fabio Stassienzo ancora alla ricerca di una voce propria e di un editore che lo pubblichi, e la cui genesi è rivelata in una delle lettere di questo libro. Il racconto, intitolato La tartaruga e le comete, aveva per protagonista un puparo analfabeta che però amava i libri, Lo Spagnolo, un gigante di nome Bruciavento e una donna, Cate, così piccola da poter ballare in scena con le marionette. Si tratta di un racconto a cornice con un narratore di primo grado che parla in prima persona, il giudice Savonà, che in una libreria antiquaria trova un enigmatico libro di suo padre pubblicato durante la guerra e nel quale è narrata la storia dei pupi e di Cate. Inizia così un’altra vicenda, sorta di libro nel libro, con un narratore di secondo grado che in terza persona racconta la storia della compagnia dei pupi guidata dallo Spagnolo. C’è infine una terza parte che conclude la vicenda. Il giovane Fabio Stassi inviò il racconto allo scrittore Gesualdo Bufalino, di cui aveva amato molto Diceria dell’untore, accompagnato dalla richiesta di leggerlo e soprattutto di avere un giudizio sul suo futuro di scrittore, una richiesta radicale, perché nella lettera diceva che se lo scrittore di Comiso gli avesse detto di smettere, lui non avrebbe più scritto nulla. Bufalino per prima cosa gli disse di non fare leggere mai le proprie cose ad un altro scrittore, ma soprattutto non lo esortò a smettere di scrivere.

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Quel racconto e la lettera a Bufalino, a distanza di anni rivivono nel nuovo romanzo di Fabio Stassi, Angelica e le comete, appena pubblicato da Sellerio, ma con due fondamentali novità: il narratore di primo grado non è più il giudice Savonà, si chiama invece Fabio Stassi, e il libro ritrovato in una libreria antiquaria, stampato dalla Tipografia Artom di Roma, s’intitola Angelica e le comete ed è stato scritto da Fabio Stassi. 7757-3Il primo Fabio Stassi, uno scrittore che fa il bibliotecario a Roma e vive a Viterbo, rimane stupito dalla scoperta, l’autore non può essere lui, non ricorda infatti di avere mai pubblicato un libro con quel titolo, sebbene da giovane avesse pensato di scrivere una storia simile. Non gli resta che leggerlo. Il piccolo libretto di appena 108 pagine, con alcune illustrazioni, rilegato di rosso, con la copertina rovinata da bruciature e rosicchiature di tarli, viene presentato come una pantomima in tre chiavi per voce, pupi e piccola orchestra da camera. Protagonista è Lo Spagnolo, che arriva a Kalamet in una sera di pioggia, a bordo di una carrozza guidata dal gigante Spaccavento e tutta una compagnia di pupi che metteranno in scena la vicenda di Orlando diventato pazzo per Angelica, di Astolfo che vuole recuperare il senno del cavaliere franco e degli altri paladini di Carlo Magno in guerra contro i saraceni. Lo Spagnolo, essendo analfabeta, aveva sviluppato un’esperienza «pittorica» della scrittura, per lui, infatti, “le parole avevano la mobilità di una marionetta, un’ossatura invisibile di legno e di fil di ferro, come se fossero sostenute anche loro da chiodi e cordicelle.” Insieme a loro viaggia una bellissima ballerina di cui tutti i pupi s’innamorano; infatti, nonostante siano fatti di legno, provano emozioni e comunicano tra di loro. È lei la vera attrazione dello spettacolo, Cate, figlia del diavolo e della luna, dicevano le donne che l’avevano trovata una notte e l’avevano scambiata per una bambina, tanto era minuta fisicamente; è una ballerina in carne e ossa che suscita desiderio e agitazione nei pupi di legno.

I-pupi

Finché non entrava in scena Cate. Allora si accalcavano uno sull’altro, e si sollevavano sulle punte dei loro stivali di rame o d’argento, e di nuovo tornavano a urtarsi nella foga, gettando intorno un gran rumore di cimieri, e di visiere che si aprivano, e una pioggia di piume colorate.

Kalamet è un villaggio siciliano di pescatori che forse a causa del suo antico isolamento, ha conservato il nome arabo, come arabi sembrano parte dei suoi abitanti, nonostante diversi popoli – normanni, angioini, aragonesi, borbonici – si siano succeduti nel corso del tempo. Siamo nella Sicilia risorgimentale che vede l’arrivo dei Mille di Garibaldi:

le campagne di quell’isola erano state messe sottosopra da una cordata di filibustieri e di pirati. Mille scintille rosse, con un fucile in spalla.

Ma la Storia lambisce appena la narrazione, piuttosto proiettata nella dimensione epica dei poemi cavallereschi con i loro eroismi, le armi e gli amori, gli incantesimi e le magie. Proprio l’elemento magico nella versione di Stassi conferisce originalità alla tradizione dei pupi siciliani che, animati di vita propria, talvolta sfuggono alle mani del puparo, vera e propria metafora della scrittura. Lo scrittore risale alla tradizione delle Chansons de geste, che rappresenta anche uno dei punti di inizio della letteratura italiana, poi continuata dai poemi epico-cavallereschi di Boiardo, Ariosto e Tasso. Ma è evidente il richiamo alla novellistica italiana che ha nel Decameron di Boccaccio un modello di costruzione a cornice. Sicuramente è all’Orlando furioso che guarda la riscrittura di Angelica e le comete, ma da una prospettiva novecentesca, fondendo quella che Berardinelli chiama «epica della trama» con l’«epica dell’esistenza», giacché a dare forza all’intreccio sono le inquietudini dei personaggi, sebbene fatti di legno.

Iniziando il libro e leggendo che il narratore e l’autore hanno il medesimo nome e cognome, il lettore potrebbe pensare di trovarsi di fronte ad un’autofiction, genere letterario che da almeno vent’anni sta segnando la letteratura italiana. Il romanzo di Fabio Stassi, scritto con una lingua elegante e altamente letteraria, invece è un’altra cosa, un grande omaggio alla letteratura, una sorta di libro devozionale di uno scrittore che ha letto tanto quanto ha vissuto e che ha vissuto grazie ai libri che ha letto, e che con i libri ha cercato di curare le proprie ferite o di alimentare i propri sogni.

calvino-italoUn romanzo che probabilmente sarebbe piaciuto a Italo Calvino, che col Cavaliere inesistente aveva scritto una parodia comica dei paladini di Carlo Magno e considerava l’Orlando furioso un testo fondamentale della letteratura italiana, al punto da leggere in chiave ariostesca anche la vana ricerca di Milton, protagonista di Una questione privata di Beppe Fenoglio.

Angelica e le comete