di Antonello Saiz

Libraio a Parma con Alice Pisu di “Libreria Diari di bordo”
Libraio a Parma con Alice Pisu di “Libreria Diari di bordo”

 

 

 

 

 

 

 

18360697_10213493729806294_813435436_n

C’è una differenza importante tra il momento in cui una persona c’è e una persona non c’è più. Quel momento per me ha sempre avuto il nome di: davvero. Il giorno prima le foglie cadono; il giorno dopo le foglie cadono davvero. Il giorno prima la gente ti guarda e sorride; il giorno dopo ti guarda e sorride davvero. Scende su di te una benedizione che si chiama consapevolezza, e quella benedizione e quella consapevolezza le riconoscevo al passato, non il volto di mia madre; e il peso di quella consapevolezza toglie una patina di falsità a tutto ciò che ti aveva circondato fino a quel momento. Come se una catena, che aveva il nome della persona che é morta, e quel none per te lo sai solo tu ( a volte “papà”, a volte “mamma”, a volte “amore” , a volte il suo nome proprio), avesse tenuto avvinte le cose, le persone, le parole, i cieli in aria e i laghi in un solo vincolo sacro. Quando la persona viene a mancare quella catena si infrange e le cose si sparpagliano; ti trovi a raccattarle a terra, guardarle curioso, dover dare loro un nome…
“Io quando morì lei scoprii che una parte mia si era staccata, davvero.” 
Ivano Porpora, “Nudi come siamo stati”.

18360623_10213493730366308_1186088373_n

Togliamo la polvere dalla letteratura o meglio la letteratura dalla polvere in cui è caduta. Come? Noi alla Libreria diari di bordo ci proviamo organizzando serate bellissime piene di simpatia e di letteratura grazie ad autori parecchio fighi. Letteratura indipendente, gente in piedi o fuori nel borghetto di Santa Brigida, copie della presentazione esaurite e soprattutto il calore di un posto pieno di bella Umanità.

Con la mia amica Chiara Lecito, lettrice onnivora e eccellente critico, un giorno chiacchierando in libreria abbiamo convenuto che gli scrittori italiani hanno una grossa pecca: mancano di figaggine. Una sera in un ristorante greco ci siamo messi a discutere animatamente su quelli che sono gli scrittori parecchio fighi, cioè quelli che non spiccano per la loro originalità e freschezza nella scrittura ma che nelle presentazioni e nei reading sanno togliere la polvere dalla letteratura. Scrittori che non fanno sbadigliare quando scrivono, ma neanche quando raccontano il loro romanzo. Chiara, che scrive molto bene, ad esempio, con grande determinazione ha voluto partecipare ad un corso di scrittura creativa tenuto da Ivano Porpora all’interno della nostra libreria, perchè leggendo le sue cose aveva dedotto che lui era uno scrittore pieno di figaggine. 18361829_10213493729446285_1453036436_n

Questo scrittore pieno di figaggine, venerdì 5 maggio ha presentato ai Diari il suo nuovo romanzo “Nudi come siamo stati”, edito da Marsilio in un clima di grande festa e commozione. A cinque anni dal suo esordio con il primo romanzo “La conservazione metodica del dolore”, edito da Einaudi, ha voluto presentarlo in esclusiva da noi e con il suo compare di mille avventure ai Diari, Jacopo Masini. In questi due anni con loro due abbiamo fatto di tutto: ci siamo travestiti da bravi presentatori elgantissini, abbiamo emulato il glamour anni’80 con Donna Summer e l’annunciatore coi lustrini, abbiamo visto gli UFO in cielo ma anche presentato autori di grande spessore come Demetrio Paolin, Alessandro Carlini, Matteo Bussola, Alessandro Raveggi, Luigi Cecchi, Alessandra Minervini e Mirko Volpi. Presentazione sempre parecchio affollate quando ci sono loro due. Jacopo Masini ha definito durante la serata “Martiri della Letteratura” tutti i fedeli Lettori che seguono gli incontri ai Diari.
L’emozione da parte mia nel leggere un piccolo brano di questo romanzo, a inizio serata, è stata tanta, perchè ho scelto una cosa che andava a toccare corde profondissime. Già solo avere tra le mani la copertina di Giulio Rincione, anche questa parecchio figa, è stata una splendida emozione dal momento che il libro è arrivato in libreria. Avevo deciso di leggere il libro solo dopo la Presentazione. Ma é stato più forte di me. Ho cominciato a sfogliare le prime pagine e non ho resistito, catturato e rapito subito da questa scrittura ruvida e delicata allo stesso tempo. Sarà che avevo qualche linea di febbre, sarà che sono parecchio triste in questi primi giorni di questo brutto mese che mi riporta a eventi drammatici, sarà che Ivano é diventato una cara presenza in questi anni… saranno stati tanti fattori messi assieme, fatto sta che ho finito di chiudere quel libro alle 5 della mattina sopraffatto dalla stanchezza e dal sonno ma pure dalla dolcezza di quei personaggi. Ho pianto tanto e riso altrettanto. Mi sono emozionato a leggere “Nudi come siamo stati” e ho capito che sono ancora vivo e che non sono completamente solo in quel lettone grande, la notte.

18386714_10213493729726292_1774815746_n

All’inizio ci sono due bambini, in Provenza, che corrono, metà per gioco e metà no: Bastien, il fratello maggiore, e Arsène, il minore. Bastien da questa corsa rimarrà segnato per la vita, e Arsène non riuscirà mai a perdonarselo.
Molti anni dopo, a Viadana, un paesino in provincia di Mantova, un giovane pittore, Severo, chiede a un affermatissimo pittore francese, Arsène, di accettarlo come suo allievo. Perché Arsène ora vive lì, tra argini e nebbie? Che cos’ha “visto” in Severo, al punto di decidere di prendere su di sé, letteralmente, il suo male? Sono due misteri che solo una morte svelerà parzialmente.
“Nudi come siamo stati” è tre romanzi in uno: la storia di un giovane sordo a se stesso che impara ad ascoltarsi; la storia di un bambino che perde la felicità e la scambia con uno strano cinismo; la storia di un uomo per il quale tutto è compiuto, e morire è come centrare il bersaglio di un’esistenza. Tre storie narrate con una scrittura mirabile nel rappresentare corpi, gesti e paesaggi, sempre esatta ed evocativa.

18361572_10213493730646315_1805340561_nSabato 6 è stata, poi, la volta della Tappa parmigiana di “Arno Camenisch La Cura Tour con Roberta Gado” per la Presentazione del nuovo splendido romanzo “La Cura”, Keller editore.
Dopo Pavia, Trieste, Venezia e Milano un’occasione unica per incontrare lo scrittore svizzero insieme all’editore Roberto Keller e alla traduttrice Roberta Gado. Una serata scoppiettante in cui la geniale traduttrice insieme allo scrittore hanno dato vita ad una magnifica performance. Credetemi, il pubblico dei Lettori è andato via dalla libreria con il sorriso stampato in faccia. E queste sono le vere soddisfazioni per chi fa il mio mestiere di Libraio.

18360589_10213493733766393_186442988_n

“La Cura” è l’ultimo libro di Arno Camenisch pubblicato dall’editore Keller di Rovereto, a cui dobbiamo molte buone scoperte tra cui questo gioiello di uno scrittore dei Grigioni, piccola patria appartata e montana che confina con la nostra e che la nostra ignora. Vi si parla il romancio, e Camenisch, scrive in un tedesco misto di romancio, tradotto genialmente in un italiano misto di tedesco e romancio dalla nostra amica dei Diari, Roberta Gado. Roberta Gado come in tutti i libri che traduce dal tedesco fa una delicata opera di riscrittura per salvare suoni e giustapposizioni di lingua e restituire intatta la magia di racconti da leggere.

Nella Cura un uomo e una donna, nell’autunno della loro vita, vincono un soggiorno in un elegante albergo a cinque stelle nella splendida Engadina.
In quel luogo incantevole la donna sente rivivere ancora una volta desideri e aspirazioni, mentre l’uomo è vittima della paura, dell’insicurezza e affronta tutto come se fosse il suo ultimo viaggio. Per fortuna ha con sé l’inseparabile borsa di plastica dove tiene tutto quello che gli può servire.
18424524_10213493729166278_1532558201_nIn questo libro Camenisch alterna quarantasette miniature nelle quali seguiamo i due anziani, il loro rapporto ma anche le domande fondamentali, che sono poi di tutti: da dove veniamo, che cosa volevamo diventare, dove stiamo andando? L’amore, la vita e la morte, le domande senza tempo che trovano una risposta proprio quando l’esistenza è all’imbrunire. Un’opera profonda e lieve, ironica e arguta, capace di regalarci storie umane, anzi umanissime, talvolta tragicomiche e sempre ridotte a una essenzialità tale da renderle vere agli occhi di ogni lettore.

Arno Camenisch nato nel 1978 e cresciuto a Tavanasa nella comunità svizzera dei Grigioni, vive lì scrivendo libri in tedesco e romancio sursilvano. Ha studiato all’Istituto svizzero di letteratura di Bienne, città in cui vive e lavora. Per l’editore Urs Engeler ha pubblicato nel 2009 il volume Sez Ner, seguito nel 2010 da Hinter dem Bahnhof (Dietro la stazione) e nel 2012 da Ustrinkata (Ultima sera).
I testi di Camenisch sono tradotti in diciotto lingue. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui il Premio Hölderlin (sezione esordienti) nel 2013, il Premio federale di letteratura nel 2012, il Premio bernese di letteratura nel 2011 e nel 2012, nonché il Premio Schiller ZKB nel 2010,il più antico e prestigioso riconoscimento letterario svizzero. La traduzione italiana di Sez Ner è uscita nel 2010 per Casagrande a cura di Roberta Gado mentre Dietro la stazione e Ustrinkata sono inseriti nel catalogo Keller.

Ha esordito con “Sez Ner” (pubblicato in Italia da Casagrande nel 2010), ricevendo molti premi. “Sez Ner” è il nome di un monte su cui passano le stagioni quattro squinternati pastori di animali diversi. La montagna è la vera protagonista del libro, e gli uomini vi confrontano la loro estroversa e simpatica rozzezza con quella degli animali. Interamente ambientato tra le montagne svizzere, in un microcosmo d’alpeggio, tra pascoli, bovari, porcari, contadini. In quel contesto, in cui la tradizione non ha nulla di glamour ma è l’unica, a volte sfinente, modalità di abitare l’esistenza da parte di ciascuno.

Ricordiamo anche altri due libri, sempre pubblicati da Keller editore e tradotti da Roberta Gado e scritti dallo scrittore e performer svizzero, “Dietro la stazione” e “Ultima sera”.

18361298_10213493730086301_472370753_nIn “Dietro la stazione” si racconta di un piccolo mondo e di un’infanzia che sembra consumarsi nell’arco di poche stagioni e l’intera esistenza di un villaggio in una stretta valle montana chiusa solo all’apparenza. Qui il mondo esterno si presenta con i treni, il postale e la tivù, ma soprattutto con una lingua, il tedesco, che si insinua nel romancio locale portandovi i fermenti di un mondo che cambia. Un mondo rimasto antico, dove le tradizioni, il lavoro, i giochi sono quelli di una volta, come pure la caccia al cervo, i conigli da accudire in gabbia, i punch e le sigarette, gli sci, le corse sulla neve e il lago che si ghiaccia. Un anno in un villaggio di quaranta anime che viene raccontato attraverso gli occhi di un ragazzino che con suo fratello vivrà la vita che hanno vissuto altri prima di lui e che altri, forse, vivranno ancora. Lo straordinario testo di Arno Camenisch ci regala una singolare epica alpina in cui l’innocenza e l’incoscienza dell’infanzia incrociano la quotidianità di questo centro popolato da poco più di quaranta anime. Case mai chiuse a chiave perché gli abitanti si conoscono tutti, ciascuno ha un suo ruolo e partecipa alla storia comune con la propria lingua, catturata dall’autore in una scrittura che nasce dall’oralità e ne mantiene forza e melodia. Ci fa ridere, commuovere e incuriosire descrivendo con gli occhi del piccolo protagonista stalle, animali, malattie e avventure in cui il dramma, la tenerezza e l’ironia si alternano. Storie senza tempo ed echi di una lingua, il romancio, che sembra nascere dalla pietra, risuonare nei boschi e sopravvivere al destino degli uomini.

18361055_10213493733726392_1575652362_nCon “Ultima sera” Arno Camenisch realizza un altro romanzo profondamente umano. Siamo sempre in montagna ed è notte: piove. Piove come non pioveva da anni, piove anche se dovrebbe nevicare e l’acqua che scende dal cielo sembra volersi portar via tutto.
Con questo tempo da lupi, l’osteria Helvezia, in procinto di chiudere per sempre, accoglie come un’arca tutti gli abitanti, le loro storie, la loro sete, i loro ricordi. Inizia così un viaggio magico, malinconico e gioioso, pieno di suoni e presenze, di vivi e di morti, di sorti propizie e avverse, destinato a non finire finché c’è un bicchiere pieno e un racconto vola nell’aria. Con “Ultima sera” Camenisch ci riporta alle cose essenziali, agli alti e bassi dello stare al mondo, a ciò che scompare e solo la forza dell’oralità è in grado di far rivivere. Così la notte non è mai notte e non c’è pioggia tanto intensa da cancellare le nostre tracce.

Luigi Reitani ha scritto che “Camenisch si serve nella sua narrazione di una sintassi paratattica, dal ritmo sincopato, e soprattutto di un raffinato impasto linguistico, in cui il tedesco parlato si intreccia a espressioni italiane e al romancio sursilvano. Per la bravissima traduttrice Roberta Gado18361648_10213493732246355_1231798588_n si tratta di una sfida impegnativa, vinta cercando un italiano colloquiale con inserzioni di tedesco e francese, in una strategia di abile rovesciamento della tessitura idiomatica”.

Il 2 maggio scorso è morto uno scrittore parecchio figo Abelardo Castillo. Narratore, drammaturgo, critico e poeta, con oltre sessanta racconti all’attivo, quattro romanzi e quattro pièce teatrali, senza contare gli innumerevoli articoli e prefazioni, Castillo, fin da subito,si è imposto come uno degli scrittori più innovativi del panorama letterario argentino e anche come figura chiave nel dibattito ideologico-culturale dell’epoca. Abelardo Castillo, prima che uno scrittore parecchio figo è stato un attento e appassionato lettore. Giusto proporre una bella recensione di Andrea Cabassi alla raccolta di racconti “I mondi reali ” edita da Del Vecchio e nella traduzione di Elisa Montanelli.
“La semantica dei mondi possibili è un concetto interdisciplinare. Viene utilizzato nelle scienze fisiche e matematiche. Ne ha fatto una elaborazione psicodinamica lo psicoanalista Giampaolo Lai (Cfr. Lai, G.: “L’etica dei mondi possibili”. In “Quaderni di Psicologia, Analisi Transizionale, Scienze Umane”. N. 37. Franco Angeli. Milano 2002). Ma, soprattutto, ne ha scritto, in modo struggente e poetico, Benedetta Tobagi nel suo stupendo libro, dedicato al padre assassinato da un commando di Prima Linea, “Come mi batte forte il tuo cuore” (Cfr. Tobagi, B.: “Come mi batte forte il tuo cuore”. Einaudi, Torino. 2009). Ad un certo punto del libro Benedetta Tobagi si chiede come sarebbe stata la sua vita se il padre non fosse stato ucciso. Avrebbe fatto incontri diversi da quelli che ha fatto? Avrebbe fatto scelte diverse? Quali nodi altri avrebbe dovuto risolvere? E’ qui, quando si pone questi interrogativi, mentre fantastica di un’altra vita possibile, che cita la semantica dei mondi possibili. Un concetto non molto diverso dagli ex/futuros del filosofo spagnolo Unamuno.
Forse a ognuno di noi, una volta nella vita, è capitato di percepire che un’altra vita scorreva parallela a quella che stava vivendo. Forse ne ha colto labili segnali, richiami solo sussurrati, flebili lucine che si accendevano ai crocevia dove le strade si biforcano. Vite parallele con tempi paralleli che si intersecavano anche per un solo istante dando vita a fenomeni come il dejà vu o il jamais veçu. Una vita parallela che, poi, si allontanava per diventare irraggiungibile e lasciare spazio a una saudade per un passato mai vissuto, per un futuro lontano. Quella nostalgia per il futuro che è la cifra che caratterizza le pagine di Fernando Pessoa, come ha ben sottolineato il suo più profondo esegeta, Antonio Tabucchi, in saggi pubblicati pochi mesi fa da Sellerio (Cfr. Tabucchi, A: “L’automobile, la nostalgia e l’infinito”. Sellerio. Palermo. 2015).
Si dirà: “Cosa ha a che fare questa premessa con Abelardo Castillo?” La risposta è: “Molto, moltissimo”.
E’ difficile parlare di Abelardo Castillo perché tante sono le cose che si potrebbero dire su di lui. E allora comincio con il dire che è il più grande scrittore argentino vivente essendo nato a Buenos Aires nel 1935, anche se ha sempre considerato suo luogo di nascita effettivo San Pedro, una città sulla costa bonaerense. Non a caso è stato insignito, lo scorso anno, del Premio Konex Brillante per essere stato considerato lo scrittore più importante della letteratura argentina degli ultimi dieci anni. E questo non è stato l’unico riconoscimento. Tantissimi altri ne ha avuti per la sua attività di narratore, romanziere, saggista, uomo di teatro. Malgrado ciò è un autore quasi sconosciuto in Italia. Fino ad oggi un solo romanzo era stato tradotto in italiano: “Il vangelo secondo Van Hutten”. (Cfr. Castillo, A.: “Il vangelo secondo Van Hutten. Crocetti. Milano 2002). Grandissimi meriti vanno, dunque, alla casa editrice Del Vecchio, sempre molto attenta ai grandi autori poco conosciuti in Italia, per aver pubblicato questa raccolta di bellissimi racconti ottimamente curata da Elisa Montanelli che è, anche, la bravissima traduttrice, autrice di una pregevole post/fazione e di riflessioni di grande interesse nella rubrica “La scatola nera del traduttore” in cui Elisa Montanelli spiega le difficoltà e la vertigine che provoca la traduzione di un autore come Abelardo Castillo a causa dei diversi registri stilistici che egli utilizza: dal linguaggio colloquiale a quello sofisticato ed elegantissimo, il passaggio dalla prima alla terza persona senza preavviso e che può spiazzare il lettore, le citazioni. (Cfr. Castillo, A: “I mondi reali”. Del Vecchio. Bracciano (Roma). 2015. A cura e traduzione di Elisa Montanelli).
Ma chi è Abelardo Castillo? E’ uno scrittore che appartiene alla generazione dei 60, cioè a quella generazione di autori sudamericani che si è formata negli anni sessanta e alla quale ha appartenuto, fra gli altri, Julio Cortàzar. Una generazione che si è confrontata con i Borges, gli Arlt senza avere mai la tentazione di commettere parricidio come , forse, sono tentati di fare gli scrittori dell’ultima generazione argentina, tipo Leopoldo Brizuela o Rodrigo Fresàn. In Abelardo Castillo la tentazione parricida non compare mai. Anzi, egli è stato spesso accusato di plagiare. Castillo si è sempre difeso dicendo che i suoi non sono mai stati plagi, ma omaggi, il più delle volte resi espliciti. Basti pensare all’incipit del racconto contenuto nella raccolta e intitolato: “La creazione di un piccolo fiore è lavoro di ere”, che è un verso del poeta inglese William Blake: “Sono uno scrittore fallito. Non è un inizio molto originale, lo so. E non succede solo a me”. (Op. Cit. pag. 83). Qui l’omaggio ad Arlt e al suo “Scrittore fallito” è evidente e voluto. O pensiamo ancora alla serie di saggi dal titolo “Las Palabras e los dias” dove il saggio più antico porta il titolo di “Otros aguafuertes portenas” e che è un ulteriore omaggio a Arlt e alle sue “Aguafuertes portenas” proprio pubblicato da Del Vecchio con il titolo “Acqueforti di Buenos Aires”. Del resto Castillo ha dedicato un saggio ad Arlt dal titolo “Il barbaro” dove valorizza l’intera opera di Arlt difendendolo dai detrattori e da coloro che non lo hanno compreso ( Il saggio è ora reperibile sul blog della casa editrice Sur).
Agli inizi degli anni sessanta Castillo, insieme a Liliana Heker, fonda la rivista El Escarabajo de Oro a cui collaboreranno autori della generazione dei 60 del calibro di Julio Cortàzar, Carlos Fuentes, Piglia, Miguel Angel Asturias e tanti altri. La rivista cesserà le pubblicazioni nel 1974. E non era stata la prima fondata da Castillo perché prima c’era stato El Grillo de Papel proibita dal governo Frondizi perché dichiaratamente di sinistra. Infine El Ornitorrinco , di cui è co/fondatore insieme Liliana Heker e a Sylvia Iparraguirre, la sua compagna di una vita. La rivista, che nasce nel 1976, sarà considerata la più importante pubblicazione di resistenza culturale alla dittatura di Videla instauratasi il 24 marzo 1976. La rivista chiuderà i battenti nel 1985.
Prima di passare a “I mondi reali” un breve cenno ai romanzi e al teatro. Iniziato nel 1956, nel 1967 viene pubblicato La casa de ceniza, una “nouvelle” fortemente influenzata da Edgar Allan Poe, autore fondamentale nella formazione letteraria di Abelardo Castillo. Nel 1985 esce “El que tien sed”, un romanzo che ha per protagonista Esteban Espòsito, uno scrittore alcoolista che è l’alter ego dello stesso Castillo. L’anno dopo la pubblicazione il romanzo vince El Premio Municipal por la Literatura. Nel 1991 esce “Cronica de un iniciado” dove il protagonista è ancora Esteban Espòsito. Alcuni critici lo considerano il romanzo più importante della letteratura argentina del Novecento. Nel 1999 esce “El evangelio segùn Van Hutten” di cui si è parlato più sopra. Delle pluripremiate rappresentazioni teatrali ricordiamo “El otro Judas”, “A partir de la seite”, “Sobre las portas de Jerico”, “El senor Brecht en el salon dorado”.
In questa sede un auspicio: che la casa editrice Del Vecchio possa pubblicare altre opere di Castillo, magari i romanzi non ancora tradotti.
Veniamo ora a “I mondi reali”, un libro incessante lo definisce Elisa Montanini, riprendendo quanto diceva Castillo dei suoi racconti. In questo libro incessante confluiscono tutti i racconti apparsi in altre raccolte. Quindi” I mondi reali” è anche “Le altre porte”, è anche “Racconti crudeli” , è “Le pantere e il tempio”, “I meccanismi della notte”, per finire con “Lo specchio che trema”. E se, in futuro, ci saranno altri racconti essi confluiranno in quel libro incessante che è “I mondi reali”.
La scelta di Elisa Montanelli ci permette di comprendere l’evoluzione dello stile e delle tematiche dello scrittore. Si parte dai racconti, forse ancora un po’ acerbi, di “Le altre porte” per passare a quelli realistici e politicamente impegnati di “Racconti crudeli” ( uno di essi “Patron” diventerà un soggetto cinematografico), a quelli straordinari di “Le pantere e il tempio” e “I meccanismi della notte”, per concludersi con gli stupendi racconti che fanno parte della raccolta “Lo specchio che trema”.
Si parlava all’inizio della semantica dei mondi possibili, di ex/futuros, di una vita che scorre parallela alla nostra che stiamo vivendo. Castillo va agli estremi, va oltre. In che senso? Cito quattro racconti anche se li si dovrebbe citare quasi tutti. Uno sugli altri: “Triste le Ville” che è, in assoluto, uno dei più bei racconti da me letti negli ultimi anni. Il protagonista trova alla stazione Constituciòn di Buenos Aires un biglietto di solo andata per Triste le Ville, una località che non ha mai sentito nominare. Tutto si decide in due minuti. E questo condensarsi del tempo dà la vertigine. Il treno sta per partire quando vede un uomo dalla faccia triste nascosto in un angolo. E’ sicuramente la persona che ha perduto il biglietto. Poi una donna che non ha mai visto e conosciuto, ma che il protagonista ne è sicuro, sta cercando proprio lui. Infine la stazione, il paese desolato e solitario dove i pochissimi che lo popolano sembrano fantocci o uomini morti. Da lì, da quel luogo/non luogo il protagonista scrive. Ricorda un verso di Rilke “O Signore concedi a ciascuno la sua morte”. Ricorda la ragazza con cui era stato all’Hotel Bao e che gli aveva letto da un libretto che assomigliava al Libro delle Ore questa frase: “… ogni uomo sognerà durante la sua morte il sogno che si è meritato in vita” (Op.cit. pag. 131). Ma allora il protagonista è dal luogo della sua morte che sta sognando il sogno che si è meritato in vita? Al lettore scoprirlo. Qui basti dire che il racconto ha un sapore cortazariano e tabucchiano. Associare Tabucchi a Cortàzar non è gratuita associazione poiché Tabucchi ebbe una lunga frequentazione con l’opera di Cortàzar tanto da essere il prefatore di “Carte inaspettate” (Cfr. Cortàzar, J: “ Carte inaspettate”. Einaudi. Torino 2012. Prefazione di Antonio Tabucchi).
Raccogliere il biglietto, chiave per andare dall’altra parte, per arrivare a un’altra porta, sembra un piccolo equivoco senza importanza (Cfr. Tabucchi, A: “Piccoli equivoci senza importanza”. Feltrinelli. Milano 1985) che, invece, trascina con sé una serie di conseguenze di cui veniamo a conoscenza mentre leggiamo. Il mancato incontro con la ragazza ricorda i mancati incontri di alcuni personaggi di “Si sta facendo sempre più tardi” dove i tempi non sono mai sincroni (Cfr. “Tabucchi, A.: “Si sta facendo sempre più tardi. Feltrinelli. Milano. 2001). Parentele, collegamenti con altri scrittori che non possono farci dimenticare l’assoluta originalità di questo testo, il senso di spaesamento che produce nel lettore, quel perturbante tanto caro a Freud.
A proposito di vite che scorrono parallele si legga “Il decurione” che riprende le tematiche del racconto precedente “Carpe diem”. Moraes scopre di aver vissuto e di vivere in due mondi che paiono non intersecarsi. Sembra, però, che ci sia una vita parallela a quella ufficiale che qualcuno ha scelto, al posto suo, di fargli vivere. Quella vita che lui non aveva scelto di vivere quando si era trovato ad un crocicchio che gli imponeva di percorrere una strada o l’altra. Qui siamo ai limiti del dicibile e solo l’arte, la grande arte di Castillo può dire, nominare l’enigma.
Quella di Moraes è una vita parallela di cui ri/trova tracce e reminiscenze. Nell’incipit è contenuto tutto lo svolgersi della narrazione seguente: “La vita è doppia. Almeno doppia” (Op. cit. pag. 159). Qui il mondo possibile non è solo possibile, fantasticato, rimpianto. E’ o è stato vissuto grazie a tracce, mormorii, spie disseminate sulla vita “ufficiale” dalla zia arteriosclerotica di Moraes. Ancora una volta lascio al lettore il piacere di scoprire il finale in questo spazio/tempo sospeso.
Altro racconto: “Calle Victoria” dove passato e presente si intrecciano, dove esistono fessure per passare da un tempo ad un altro. Quelle fessure di cui il massimo esperto era Kafka e che sapeva che, attraversando i pertugi, ci si può trasformare, passare dall’essere uomini all’essere scarafaggi, probabilmente con un biglietto di solo andata.
Infine il bellissimo “Il tempo di Milena” dove Milena non vive il tempo del narratore e in questa mancata sincronia sta il dramma dell’invecchiare, non invecchiare. O dove si può, anche, presumere che parallela alla vita del narratore scorra un’altra vita con un altro tempo. E ancora una volta questa vita parallela non è solo in potenza, ma è vissuta “realmente” in tutta la sua drammaticità, in tutto il turbamento che produce.
Ancora una volta tempi non sincronici. Forse perché si è fatto sempre più tardi e non siamo riusciti a cogliere le fievoli luci che venivano da un altrove del tempo e dello spazio.
220px-Colin_WilsonChiudiamo questa rassegna di scrittori parecchio fighi con Colin Wilson e il suo “L’Outisider”, pubblicato lo scorso anno da Edizioni di Atlandide. E chiudiamo da dove eravamo partiti con questa magnifica recensione di Chiara Lecito .

Una delle mie scrittrici preferite è Flannery O’Connor, di cui però ho letto solo i racconti e i saggi di “Nel Territorio del Diavolo”. La O’Connor è una figura gigantesca dotata di un’energia devastante, capace come nessuno di dare carne al tema della Grazia Divina e al suo mistero.
Non mi ricordo dove, ma lessi un estratto di una sua lettera in cui la scrittrice racconta un fatto che le è accaduto: durante una festa, un’intellettuale orgogliosamente atea (la O’Connor era una cattolica ferventissima) descrisse l’Eucarestia come una metafora affascinante; la nostra rispose a tale affermazione ringhiando: “Beh, se l’Eucarestia è una metafora che vada all’inferno”.
Ecco, mi chiedo come Colin Wilson, nel suo “L’Outsider” (Edizioni Atlantide), avrebbe inquadrato una risposta del genere, aldilà (ma anche no) del credo della O’Connor.

Scritto nel 1956, questa opera prima è uno di quei libri che hanno la capacità di entrare in contatto diretto con chi lo legge, a prescindere dal passare del tempo; e anzi, se posso avanzare un suggerimento, compratelo e leggetelo, perché soprattutto in questo momento storico di pigro individualismo e di connessione superficiale con tutto tranne che con noi stessi, L’Outsider potrebbe essere il pungolo che cambia la prospettiva e illumina la visione.

Il fatto è che Colin Wilson è un grande scrittore e un pensatore eccellente, di quelli che ti esplicitano quello che nebulosamente già sai; e per me è davvero difficile parlare di questo saggio, perché è immenso e profondissimo, ma soprattutto perché vi ho rivisto ogni mio sentire e ogni mio movimento mentale chiarificato e inserito in un contesto filosofico e psicologico ben preciso. E confortante. Ed era una vita che un libro non mi accoglieva in maniera tanto personale.

Quello che caratterizza l’outsider è un senso di alienazione, di irrealtà. (…) Per il borghese il mondo è fondamentalmente un luogo ordinato, con un elemento inquietante d’irrazionale e di spaventoso che, però, la sua preoccupazione per il presente gli permette di solito di ignorare. Per l’outsider, il mondo non è né razionale, né ordinato. Quando dichiara il proprio senso di anarchia davanti alla compiacente accettazione del borghese, non lo fa semplicemente per il piacere di beffarsi della rispettabilità di questi; è un’angosciosa sensazione che la verità deve essere detta a tutti i costi, perché non può esservi alcuna speranza di una definitiva restaurazione dell’ordine.

Da questo opprimente scherzo percettivo l’autore ci guida un tour del pensare-sentire-vivere diverso, e, tra le righe (a mio parere nella parte più interessante) , arriva a elaborare una metodica per far sì che l’outsider riesca a superare il suo ripiegamento interiore e non soccomba all’insensatezza: quello che Wilson chiama l’andare avanti, o il dire di sì, e che io definisco il far combaciare ciò che si agisce con ciò che si è, o il vivere in piena presenza. Sul serio, riuscire a comunicare il senso di ebbrezza che ho provato leggendo le pagine su Dostoevskij, o su Blake, mi è impossibile: persone e personaggi che vivono contemporaneamente per la vita, nella vita e contro la vita, confini umani che si spandono sempre più avanti, l’essere contemporaneamente corpo, mente e spirito, la capacità di vivificare il percepire e il pensare, e trasportarli (e traspostarsi) al di fuori dello spazio e del tempo.
Una cosa letteralmente magnifica.

E chiuso il libro, il viaggio continua, perché, per ovvie ragioni cronologiche, personaggi non solo come Flannery O’Connor, ma anche come Goliarda Sapienza(*), o Tom Robbins, o Hunter S. Thompson, o Cormac McCarhty (**), o “L’Opera al Nero” della Yourcenar non rientrano nel catalogo, ma di fatto ci sono, e lo arricchiscono; tutta gente che scava dolorosamente nelle proprie profondità per guardare in faccia le cose, che se l’eucarestia è una (rassicurante?) metafora, ebbene, che si fotta, e se la libertà è terrore immergiamoci con entusiasmo nel terrore; e cavalchiamolo.
Per quel che mi riguarda, “L’Outsider” ha acceso una miccia, e spero di non liberarmi mai di questa intensità.

(*) In una nota Colin Wilson scrive che lo ha sempre colpito la mancanza di un Ritratto d’artista al femminile o di un personaggio femminile convincente (anche scritto da uomini); secondo me Goliarda Sapienza (oltre alla già nominata Flannery O’Connor) risolve a pieno la prima mancanza, esattamente come la protagonista senza nome di “Accoppiamenti” di Norman Rush e le donne scritte da Tom Robbins (su tutte “Suor Domino” in “Feroci Invalidi di Ritorno dai Paesi Caldi”) colmano la seconda.

(**) Ci sarebbe anche l’opera di Thomas Ligotti, ma lui è un caso a parte; personalmente, mi sembra che la sua sia un’elegante e spaventosa rielaborazione dell’uomo-scarafaggio del primo Dostoevskij, ma magari ne parlerò in seguito. Attacco un’ultima nota personale: ho trovato curiosa la mancanza di personaggi come Max Stirner (che, uccidetemi, preferisco a Nietzsche) ed Eraclito. Verrebbe voglia di fare una seduta spiritica per parlarne direttamente con l’autore.

Uno Zainetto parecchio figo questa settimana con dentro :

"Nudi come siamo stati" di Ivano Porpora, Marsilio editore
“Nudi come siamo stati” di Ivano Porpora, Marsilio editore
"La Cura" di Arno Camenisch , Keller editore.
“La Cura” di Arno Camenisch , Keller editore.
“Sez Ner” di Arno Camenisch , Casagrande.
“Sez Ner” di Arno Camenisch , Casagrande.
“Dietro la stazione” di Arno Camenisch , Keller editore.
“Dietro la stazione” di Arno Camenisch , Keller editore.
“Ultima sera” di Arno Camenisch , Keller editore.
“Ultima sera” di Arno Camenisch , Keller editore.
"I mondi reali" di Abelardo Castillo, Del Vecchio Editore.
“I mondi reali” di Abelardo Castillo, Del Vecchio Editore.
"L’Outsider" di Colin Wilson, Edizioni Atlantide.
“L’Outsider” di Colin Wilson, Edizioni Atlantide.
Nello Zaino di Antonello: Scrittori parecchio fighi!