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Leggere un libro della stessa scrittrice, dopo aver amato smisuratamente il precedente, è cosa che mi mette sempre in uno stato d’allerta. Sarà all’altezza delle mie aspettative? Varrà la pena? Continuerò ad amarla?

I-miei-piccoli-dispiaceri“I miei piccoli dispiaceri” (Marcos y Marcos) di Miriam Toews fa parte di quei libri che si sono stampati nel cuore, mi corrispondono in pieno, nonostante la particolarità della vicenda narrata. Un romanzo su un valore in cui io credo tantissimo: il rapporto tra due sorelle, che solo la morte può mettere alla prova, e non è detto che lo vinca. Un libro per me talmente importante che non sono riuscita neppure a parlarne sul blog, perché presa dalla difficoltà di strutturare in parole la complessità dei sentimenti e la pienezza delle riflessioni, la profondità dei riverberi che quella storia aveva sedimentato in me. A volte, si sa, la cosa migliore è il silenzio, che tutto contiene.

È stata Roberta Solari, dell’ufficio stampa di Marcos y Marcos, a convincermi, senza neanche saperlo, a leggere il nuovo libro di Miriam Toews, “Un complicato atto di amore”, tradotto con piena felicità da Monica Pareschi e dato alle stampe a fine marzo, ma che in realtà è uno dei primi romanzi scritti, il terzo per la precisione. download

Nomi è come Yoli, solo che è più giovane e un po’ più incazzata – mi dice, quando ho visitato la bellissima sede della casa editrice, in uno dei miei giri milanesi.

E se pure non tocca le vette di “I miei piccoli dispiaceri” che si pone in una fase di più confermata maturità, anagrafica e professionale, di Miriam Toews, “Un complicato atto d’amore” è un romanzo che proprio nel confronto con l’altro trova un ulteriore piano di sviluppo, una completezza di visione, e larghezza di sguardo. A partire dal rapporto tra le due sorelle, che in questo è accarezzato ed emerge solo a tratti con vivezza, per essere poi lasciato nel non detto, esaminato da uno prospettiva di assenza che lo rende pressante e di sostegno narrativo.

Abito con mio padre, Ray Nickel, in quella casa di mattoni a un piano sulla statale dodici. Persiane azzurre, porta marrone, una finestra rotta. Niente di che. I mobili continuano a sparire, però. È l’unica cosa interessante.

Manca metà della famiglia, la metà più bella.

Leggiamo nelle prime righe del romanzo, e poche pagine dopo:

Trudie non abita più qui. È andata via poco tempo dopo Tash, la mia sorella maggiore. Io e Ray non sappiamo dove sono. Certo, sappiamo che Tash è andata via con Ian, il nipote del professor Quiring. È un tipo dinoccolato e ha un furgone rosso Econoline della Ford. Invece Trudie sembra che se ne sia andata da sola.

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La storia è quella di un padre e una figlia, all’interno di una comunità mennomita con le sue rigidità e regole inderogabili. Un padre ortodosso e mite, che cerca un suo spazio, dopo essere stato abbandonato dalla moglie. Lo trova apparentemente nella sottrazione: vendendo i mobili della casa, nella speranza di fare spazio, di trovare pace, di liberarsi dai ricordi, di immaginarsi un’idea di futuro,  di arginare la disperazione, che sopita e celata gli ruggisce dentro silenziosamente. Accanto a lui Nomi, ribelle e inadeguata alla sua stessa ribellione, infantile e intuitiva, alla ricerca di sé attraverso la mancanza delle due figure femminili di riferimento: la madre e la sorella. Con la responsabilità del padre, che sente ma a cui non riesce a dare risposte adeguate.

“Un complicato atto d’amore” è uno straordinario romanzo di formazione, in cui la limitata e claustrofobica comunità mennonita rende più travagliato e approfondito lo scavo interiore, regalando al lettore personaggi di straordinaria caratura nel bene e nel male, in assenza e in presenza, nelle parole e nei silenzi. Persone fragili, anche quando sembrano essere forti e dalle inamovibili certezze, come la Bocca, lo zio di Nomi e fratello della madre, Trudie, che è il punto di riferimento di East Village, che sembra decidere e stabilire le sorti della comunità, dettarne le regole e le punizioni, ma l’intransigenza che mostra di fronte alle manchevolezze altrui non è che il risultato per essere stato vittima della ferocia dell’amore e del mondo.

Noi siamo mennoniti. Per quel che ne so, è la sottosetta più sfigata a cui si possa appartenere a sedici anni. Cinquecento anni fa, in Europa, un tizio di nome Menno Simons si è messo di buzzo buono per inventarsi una religione tutta sua e lui e i suoi seguaci olandesi polacchi e russi sono stati ammazzati di botte o costretti a conformarsi, finchè alcuni sono venuti a cacciarsi proprio qui dove sono io adesso. Ironia della sorte, hanno chiamato questo posto East Village, il nome del quartiere di New York dove vorrei tanto abitare.

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L’ironia, spiazzante e fulminea, è la caratteristica più notevole di Miriam Toews. Graffiante e affilata, ma ossimoricamente intrecciata a un sorriso pieno di dolcezza e di malinconia per le sventure e per le debolezze umane, per la parte che fallisce ed erra, che deroga dal giusto seguendo le traiettorie del cuore. Trovare e dare un senso alle piccole cose, cambiare il colore al proprio paese, nel quale non si vive bene ed è facile diventare il capro espiatorio di una società che ha fatto delle punizioni e dell’emarginazione un nascondiglio per le frustrazioni e i desideri irraggiungibili, o considerati tali, in cui l’indipendenza e l’autonomia vengono tacciate come peccaminose.

“Un complicato atto d’amore” (A complicated kindness nell’originale) mette in scena la difficoltà di essere felici, quando si vive in un paese in cui non ci si sente accolti per quello che si è, e come in “I miei piccoli dispiaceri” la vera forza e il coraggio più grande è di chi sceglie di andare via, di essere finalmente libero in un senso personale e profondo: sul furgone del proprio ragazzo come Tash, senza passaporto e le proprie cose come Trudie, o sparendo come Ray, dopo aver portato a lavare la Ford Custom 500 a quattro porte, lasciandola alla figlia Nomi come ultimo, struggente incitamento a fare la cosa giusta.002

E con Nomi, senza lasciarci andare alla disperazione che non appartiene alla scrittura di Miriam Toews anche nei momenti più disperanti e disperati, impariamo una lezione che sta lì, all’altezza del cuore e in contatto con il cervello:

ho imparato che quello che conta sono le storie e che se riusciamo a crederci, a crederci davvero, abbiamo una possibilità di redenzione. East Village mi ha dato la fede per credere che un giorno la mia famiglia tornerà unita e felice. È sbagliato credere in una meravigliosa bugia se questo ti aiuta a andare avanti?

In questa domanda, la forza e il portento dei libri di Miriam Toews.

Un complicato atto d’amore