di Maria
“Resta con me” (traduzione di Silvia Castoldi, Fazi) è il secondo romanzo della Strout, che non delude dopo il fortunato esordio di Amy e Isabelle.
Il protagonista è maschile e veste i panni di un giovane e fascinoso reverendo, Tyler, che nella solita ristretta e perbenista provincia americana tenta di scuotere le coscienze e gli animi dei fedeli, scontrandosi invece con l’ottusità e l’ipocrisia generali.
Attraverso un doloroso percorso introspettivo e psicologico, però, si giungerà a un lieto fine che passa anche attraverso la riconquista della fiducia verso il prossimo e l’affrancazione dall’incombente bigotta e soffocante figura della madre di Tyler.
Ancora una volta sembra di essere in un quadro di Edward Hopper, con un sottile velo di malinconia che permea il romanzo e contraddistingue lo stile della scrittrice americana.
Ancora una volta sono narrate vite normali che racchiudono sentimenti e sensazioni in cui ognuno di noi può immedesimarsi.
La storia si dipana a ritroso e diventa sempre più triste, a dispetto delle mirabili descrizioni di paesaggi affascinanti e solari, dipinti con precisione e frasi lapidarie simili a rapide pennellate.
E se il protagonista è il reverendo, il vero simbolo del disagio esistenziale e del riscatto finale – che sono al centro del libro – è la figlioletta Katherine, pian piano etichettata come “diversa” dalla miope collettività a causa dei suoi comportamenti che denotano, invece, solo sofferenza e desiderio di attenzione.
Ben delineati anche i caratteri degli altri personaggi, soprattutto Connie, la domestica, anche lei sfortunata e oggetto di aspre critiche dai benpensanti, che: “Nella sua mente si vedeva come una debole linea tracciata a matita su un foglio di carta; tutti gli altri erano tracciati con l’inchiostro e alcuni, come il reverendo, con un grosso pennarello.”.
“Resta con me” è il romanzo meno noto di Elizabeth Strout, ma forse il migliore.