Libraio a Parma con Alice Pisu di “Libreria Diari di bordo”
Libraio a Parma con Alice Pisu di “Libreria Diari di bordo”

 

 

 

 

 

 

 

Riconciliarsi con la Letteratura.
“C’è di che riconciliarsi con I promessi sposi. Quel signore era forse poco simpatico, malgrado i buoni uffici di Natalia Ginzburg. Ma il libro di quel signore, che bello! Leggetelo e rileggetelo, ragazzi, sotto il banco, mentre il professore parla d’altro. Vi invito a una lettura clandestina di Manzoni, come se fosse un libro proibito”.
(Umberto Eco, 1985)

17842507_10213206358302186_2088079832_nMercoledì 5 aprile in Libreria abbiamo fatto uno strano esperimento: grazie a Fabio Mendolicchio della casa editrice Miraggi, ma anche Chef in valigia, ovvero cuoco con una valigia che contiene una intera cucina. Insieme a lui abbiamo presentato il libro di Marco Giacosa “Il pranzo di nozze di Renzo e Lucia”.
Abbiamo ripassato tutti assieme i trentotto capitoli dell’opera del Manzoni, contestualizzando il periodo con cenni storici, richiami ai personaggi e alle situazioni e aneddoti del libro. Siamo nell’anno 1630, sul finire de “I Promessi Sposi”, seduti al banchetto di nozze della coppia letteraria più famosa d’Italia. Abbiamo mangiato un menù dell’epoca, preparato da Fabio Mendolicchio che ci ha fatto riassaporare piatti semplici provenienti dal passato, riuscendo alla fine a capire cosa intende: “per me è un onore poter cucinare la storia per capire meglio il presente”. Fabio Mendolicchio è uno chef torinese che da oltre vent’anni cucina, sperimenta e dà prova del proprio modo di intendere il cibo, l’alimentazione e gli accostamenti e realizza dei veri e propri show cooking in tutta Italia. 17857673_10213206360742247_1812490448_n
Nel libro di Giacosa si ripercorre cosa è successo nel prosieguo, riscoprendo i momenti più importanti della vicenda che ha tenuto col fiato sospeso intere generazioni. È facile innamorarsi dei Promessi sposi se sai come farlo. Non c’è nulla di più concreto che ripartire, a distanza di circa 400 anni, da ciò che all’epoca si mangiava. Il cibo, la tavola, il bisogno di sfamarsi tra carestie e povertà. Gli alimenti che erano facilmente recuperabili ci raccontano molto di quell’epoca, narrano meglio le storie delle famiglie, inquadrano bene le esigenze dei diversi ceti sociali. È stato proprio il format del cooking show di Fabio Mendolicchio, popolarmente conosciuto con L’IBRIdaCENA, che ha curato con il suo CHEFinVALIGIA indietro nel tempo, la preparazione delle portate che riportano i commensali in un’epoca lontana, attraverso il gusto. Lo scrittore Marco Giacosa ha invece condotto il gioco dell’immaginazione, stuzzicando il nostro appetito narrativo con un racconto incantevole e coinvolgente de I Promessi Sposi e del tanto atteso finale.

17857345_10213206360702246_15868464_nMarco Giacosa è autore anche di “Disaster Chef”, sempre edito da Miraggi. “Sul finire dell’anno passato ho visto una puntata di MasterChef e da quel momento la mia vita non è stata più la stessa. E che cosa succede quando un format televisivo di cucina diventa un delirio, un incubo a occhi aperti, un’ossessione da cui il nostro povero protagonista è “posseduto”? Succede che ci si diverte, intanto…”

Marco Giacosa, blogger-narratore-giornalista, è nato nel 1974 e vive a Torino. Oltre al Pranzo di nozze di Renzo e Lucia ha pubblicato il saggio di attualità «L’Italia dei sindaci» (add editore, 2015), il romanzo ibrido «DisasterChef» (Miraggi, 2015) e la raccolta di racconti «L’occhio della mucca» (MarcoValerio, 2014). Collabora con il quotidiano La Stampa. Il suo blog: www.lastampa.it/giacosa

17821302_10213206359342212_1135019781_nI lettori/commensali sono venuti via da quel pranzo di nozze felici e nel finale tutti abbiamo accompagnato, per le stradine del centro di Parma, lo scrittore e lo Chef per caricare sul furgoncino cibo, attrezzi e strumenti da lavoro. Per avvicinare il pubblico di non lettori o di lettori distratti alla lettura ogni metodo è buono. Purtroppo a sbirciare i banchi di certe librerie, molto simili all’accozzaglia di titoli che si trovano in supermercati e autogrill, le indicazioni continuano a essere sempre le stesse: pile e pile consistenti dei vari best-seller del momento, quelli che allontanano dalla lettura.
17888192_10213206359582218_126014421_nDovremmo trovare i giusti metodi per cominciare a ragionare un pò contro corrente e proporre titoli di qualità di giovani autori o anche ripescare vecchi classici per riscoprire alcuni autori oggi dimenticati come proviamo a fare in questo spazio di Giuditta Legge.

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Cosa può riconciliarci con la Lettura, mi chiedo sempre. E la risposta è sempre quella: la buona scrittura.
17888402_10213206360942252_1251466246_nTra i nuovi Autori capaci di riconciliarci con la buona scrittura non possiamo non citare lo scrittore cremonese Andrea Cisi e l’ultimo romanzo “La Piena”, edito da Minimum Fax. Anche lui ospite ai Diari Sabato 8 Aprile in compagnia, durante la presentazione, di un musico insidioso come Lorenzo Colace e di un lettorattore barbuto parecchio parecchio bravo, Michele Lanzi. Proprio l’attore ha iniziato la serata grattando una macchia ipotetica con una ramazza… così è cominciata una lettura molto partecipata e poi tutti assieme a raccontare genesi e retroscena di questo libro denso di significati. 17821520_10213206361422264_1755043772_nCon “La Piena” siamo in una piccola cittadina nebbiosa di provincia, Cremona, che fa da sfondo alla vita di Umberto. Il protagonista è appunto un trentenne operaio in una fabbrica in crisi con i suoi problemi, con le sue pile di scatolette da assemblare, e le sue poche certezze tra i campi e quel fiume Po e la sua piena che incombe. Andrea Cisi il metalmeccanico lo fa davvero e quelle zone le conosce e le vive dal di dentro. Come già in “Cronache da una ditta”, uscito per Mondadori qualche anno fa, Cisi racconta la sua realtà e qualche personaggio non a caso ritorna, il gattone Fulvia in primis, che questa volta però non parla. Lavoro a parte, le giornate di Umberto sono scandite da musica rock, uscite notturne nei locali della zona e tornei di calcio amatoriale sul terreno gelido dei campi periferici. Il fatto è che Umberto ha anche una famiglia: Lisa, sua moglie da cui si sta allontanando piano piano e Ale, il figlioletto adorato che cresce rapidamente; e Fulvia, un gatto capace di lunghe conversazioni telepatiche. Una gravidanza inattesa arriva a peggiorare il rapporto con la moglie tanto che a un certo punto ha paura di non appartenere più a questo nucleo. Anche la sua famiglia d’origine non è una sponda solida e la malattia del padre non fa che aumentare e problemi e acuire le assenze e gli egoismi. Con “La piena” ci viene raccontata una storia di gente comune con la sua quotidianità, una storia come tante senza troppi colpi di scena o grossi capovolgimenti. Una storia, però, di grande coinvolgimento ed emozioni, scritta con sapiente maestria. Una storia da leggere per quella ricerca di senso che ci riguarda tutti, per quella ricerca di identità in un luogo e un tempo che sembrano negarli a ogni passo, rappresentando vividamente un microcosmo che ci appare familiare eppure incredibilmente ricco, eccentrico e imprevedibile. La piena è quella pericolosa del fiume che poi si ritira e permette alla vita di scorrere nella sua quotidianità.

uid_141bb3dd928.640.0Esce questa settimana per Voland un libro di racconti che ho letto in anteprima e che ho trovato stupefacenti. Si tratta del libro di Dulce Maria Cardoso, “Sono tutte storie d’amore”, tradotto da Daniele Petruccioli. Dulce Maria Cardoso è nata in Portogallo ma ha trascorso parte della sua infanzia in Angola. Tornata in Portogallo si è stabilita a Lisbona dove ha iniziato a scrivere soggetti cinematografici e racconti. Il suo primo romanzo, “Campo di sangue” (Voland 2007), ha ricevuto il prestigioso Grande Prémio Acontece de Romance. Nel 2009 le è stato assegnato il Premio letterario dell’Unione Europea per il romanzo “Le mie condoglianze”. “Il ritorno” pubblicato da Voland ha fatto parte di uno strano esperimento che secondo me sarebbe dovuto continuare. Si chiamava Indies ed era un laboratorio permanente di ricerca letteraria per fare emergere le voci più nuove e più interessanti della narrativa contemporanea italiana e internazionale. Indies univa le competenze nel campo di ricerca e sperimentazione degli editori indipendenti all’esperienza e alla forza di Feltrinelli. L’obiettivo era semplice: pubblicare romanzi di grande qualità, presentare autori di pregio in una veste raffinata e moderna, parlare ai lettori più forti e più curiosi, ma al tempo stesso offrire le proposte editoriali degli indipendenti al più vasto pubblico possibile. Nel 2013 uscì proprio “Il ritorno” della Cardoso, un romanzo sui retornados dalle ex colonie dopo la Rivoluzione dei garofani. Con precisione narrativa e chiarezza di stile ammirabili, l’autrice ci svela un Portogallo in piena “restaurazione” post-dittatura. Una vicenda intensa, drammatica, raccontata attraverso gli occhi di un bambino di “ritorno” in patria, che traccia una radiografia, anche linguistica, di un paese ancora intorpidito e forse frustrato dal recente capovolgimento storico. In Portogallo un colpo di stato non cruento nel 1975, la ‘Rivoluzione dei Garofani’ mette fine alla dittatura di Salazar e alla colonizzazione. Angola e Mozambico vengono dichiarati indipendenti dopo secoli di sfruttamento portoghese. È la fine di un’epoca per i bianchi che si sono stabiliti in Angola creandosi una fortuna, per i loro figli che sono cresciuti senza conoscere altro che questa realtà – per loro il Portogallo è la madrepatria dei racconti dei genitori, a volte una terra mitizzata dove tutto è bello e ragazze sempre sorridenti si mettono le ciliegie come orecchini, a volte un paese arretrato dalla cui miseria si è fuggiti. Un gigantesco ponte aereo permetterà ai portoghesi dell’Angola di far ritorno alla madrepatria: è concessa una valigia a testa, cinquemila escudos a persona. Il protagonista del romanzo è Rui, un quindicenne che non capisce perché sono dovuti partire così tardi. L’arrivo a Lisbona è come un risveglio con una secchiata d’acqua gelata. È l’ultimo aereo che lascia l’Angola prima dell’indipendenza e c’è una confusione tremenda, gli ex coloni portoghesi quasi fanno a botte per andare via. Rui non sa come fare, con la madre e la sorella. E papà non arriva. Rui non ha mai visto la madrepatria. Quando scendono dall’aereo fa freddo. In Angola il freddo non esisteva. L’albergo di lusso dove li sistemano insieme a una massa di profughi dalle ex colonie è strano, sono tutti gentili ma distanti, sembrano in imbarazzo di fronte a loro. E papà non arriva. Rui non sa come fare. Non sa come fare con la madre malata, con le medicine che non si trovano, con le crisi che incombono. Non sa come fare con la sorella che per integrarsi dimentica la vita di prima. Non sa come fare con la moglie del portiere che lo guarda con quegli occhi. Non sa come fare con la professoressa nuova che tratta lui e i suoi compagni “angolani” da deficienti. Rui pensa che tutto quello che hanno imparato sulla madrepatria è stato un imbroglio. E questa parola ricorrente, madrepatria, assume sempre più una sfumatura di disprezzo, come quella dei negri, una patria che non è affatto madre e i cui abitanti vedono i retornados quasi come ‘negri’ bianchi, inferiori, come gente che prima si è arricchita sfruttando la colonia e poi è tornata per rubare posti di lavoro. E intanto i mesi passano e il padre di Rui non dà notizie.

94382da750b057d6172a4f945635ba46-bpfullUn paio di anni fa ero rimasto molto colpito dalla semplicità di una storia romantica e commovente, ma soprattutto ben scritta. Il titolo era “Oltre le parole” dello scrittore e musicista romano Luca Giachi. Sono le storie senza grandi pretese quelle che mi colpiscono e sia ben chiaro qui non manca una certa complessità sul piano temporale. Tutto ha inizio quando una 500 gialla, come quella raffigurata magnificamente in copertina, cade dal cielo in una calda giornata estiva a Roma. Ed è qui che conosciamo la prima protagonista, Alessia, una trentenne che vive un momento delicato della sua vita in cui vorrebbe cambiare tutto ma le manca il coraggio e la forza e si lega ad un fidanzato che neanche ama, con un lavoro che non la soddisfa e gli studi che non riesce a portare a termire. Il primo protagonista maschile invece è Matteo, un neolaureato che lavora in polizia grazie ad una raccomandazione. La seconda protagonista è Nadia, l’autrice delle lettere trovate nel cruscotto della 500 caduta dalle nuvole, mentre il secondo è il destinatario delle lettere, Federico, un uomo di cui non sappiamo quasi nulla fino a quando non sarà Nadia stessa a parlarci di lui. Storie d’amore che si intrecciano con i due ragazzi che riusciranno a rintracciare Nadia e a fare chiarezza su tutta la storia. Un libro d’amore che va oltre la morte, che continua a vivere grazie a parole scritte molti anni prima, da due ragazzi innamorati e destinati a rimanere legati per sempre. Bisogna aspettare le ultime pagine per sapere come la 500 sia potuta precipitare dal cielo, per scoprire se sia accaduto veramente oppure no.
Luca Giachi, l’autore di questa particolarissima favola sarà ai Diari di bordo il prossimo 20 maggio per presentare la sua seconda prova d’Autore: “Come una canzone” .
Questa storia comincia quando Mattia, che lavora in una agenzia immobiliare ha trentacinque anni e ha lo sguardo perennemente rivolto oltre la finestra per vedere quando smetterà di piovere, decide di ricominciare a suonare. Suonare musica indipendente, o, come la chiama lui, musica per disadattati. Nel romanzo c’è poi Letizia, che escogita piani per fuggire. Fuggire da Roma, dalla sua famiglia. Dal mondo. Dietro questa voglia di uscire dall’Italia nasconde ovviamente altri problemi ben più complessi e poco chiari. Roma fa da sfondo a questa storia con la vivacità di città eterna e ombelico d’Italia, ultimo approdo di una gioventù che fatica a realizzarsi, e dopo il quale non resta che espatriare. E poi c’è un gruppo musicale che fa le prove all’istituto “Peni infranti e vagine complessate” creato dalla mitica “Strabusso”, basagliana e sessantottina. “Come una canzone” è una fabbrica di sogni, che si fanno fatica a realizzare, che si rimpiangono, o che semplicemente ci tolgono il fiato.

“Come una canzone” è un romanzo piacevole, che si legge tutto d’un fiato. In un attimo ci si ritrova immersi nell’aria allegra e frizzante di Roma, immortalata magnificamente. È tutto credibile, tutto plausibile. E, soprattutto, è facile riconoscersi e immedesimarsi in questi giovani trentenni ancora divisi tra ciò che vogliono essere e ciò che devono essere, che ancora non si rassegnano a mettere da parte le proprie attitudini e i propri sogni per abbracciare la vita reale.

“Era come realizzare che non stavamo più solo guardando avanti, ma cominciavamo a guardare indietro per capire che eravamo davvero diventati da quello che volevamo essere.”

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A proposito di scritture belle e sperimentali che riconciliano con la Lettura e in questo caso la Letteratura c’è un libro uscito per la casa Editrice Del Vecchio dal titolo “Kruso” di Lutz Sailer.
Di questo meraviglioso libro lo scrittore Andrea Cabassi aveva fatto una recensione accurata un paio di anni fa. Oggi ne ha fatto una versione aggiornata di Hiddensee con citata sia l’Ostalgie, sia “Eravamo dei grandissimi”.

HIDDENSEE: L’SOLA NASCOSTA CHE NASCONDE
Hiddensee: l’isola che si nasconde, che nasconde. Cosa? Chi?
Hiddensee è un’isola tedesca sul Baltico appartenente al Land Mecleburgo-Pomerania anteriore e che faceva parte della DDR prima della riunificazione della Germania. Non distante dalla Danimarca, è sempre stato un luogo molto amato da artisti e scrittori. Vi villeggiarono Einstein e Freud, il premio Nobel per la letteratura 1929 Thomas Mann e il premio Nobel per la letteratura 1912 Gerhard Hauptmann. Hauptmann vi possedeva una casa ed è sepolto sull’isola.
Hiddensee è il luogo in cui è ambientato il romanzo di Lutz Seiler “Kruso”. Si tratta di un grande romanzo e che ha ricevuto numerosi riconoscimenti in Germania tra cui il Premio Uwe Johnson e il Buchpreis 2014. Questo è il primo romanzo di Seiler che è conosciuto più come saggista e poeta, attività per le quali ha avuto tantissimi riconoscimenti. Già dalle prime pagine si comprende di essere davanti ad un’opera di grandissimo spessore e va dato merito alla casa editrice Del Vecchio, che non sbaglia un colpo sul mercato editoriale, di averlo pubblicato in italiano nella traduzione molto bella e suggestiva di Paola del Zoppo di cui è assolutamente da leggere “la scatola nera del traduttore alla fine del libro (Cfr. Seiler, L: “Kruso” . Trad. it. Paola del Zoppo. Del Vecchio Editore. Bracciano (Roma) 2015).
L’isola che nasconde, che si nasconde, che è nascondiglio, è l’isola in cui arriva Ed, uno dei protagonisti del romanzo, dopo essere fuggito da Berlino. Una fuga dalla Berlino opprimente capitale della DDR? Un fuga dal suo passato dopo la tragica morte della fidanzata? Quando Ed arriva a Hiddensee si ha come l’impressione che ci sia stata una frattura con la sua vita precedente. Il suo approdo fa pensare alla semantica dei mondi possibili: forse ognuno di noi ha una vita che gli scorre parallela a quella che sta vivendo. Ne può avere sentore, possono arrivargli segnali che può o non può, vuole o non vuole decodificare. A volte basta un piccolo passaggio laterale per trovarsi in quella nuova vita. Altre volte occorre un salto. La fuga di Ed è questo scarto laterale in cui si trova in un tempo Altro, in una dimensione Altra e alle prese con una serie di paradossi di cui parlerò più avanti. In questo tempo e dimensione altre Ed incontra Kruso un personaggio enigmatico, forte, sensibile, una specie di capo carismatico che coltiva grandi utopie, un uomo che accoglie e organizza le attività di coloro che arrivano sull’isola, non come villeggianti, ma come “naufraghi”, come lui stesso li chiama. Tra Kruso e Ed si instaura un rapporto molto forte e complesso che ricorda quello tra il Crusoe e il Venerdì di Daniel De Foe.
Chi sono i naufraghi? Quali sono i paradossi? I naufraghi sono coloro che fuggono da Berlino e da altre parti della DDR ,forse per proseguire verso la Danimarca, forse per fermarsi lì. Il paradosso è che a Hiddensee si è contemporaneamente dentro e fuori. Si è fuori dalla DDR pur essendovi dentro. Si è ai margini e alla sua periferia e in questa periferia si possono conquistare maggiori spazi di libertà. Questo paradosso percorre tutte le pagine del libro. Viene descritto magistralmente un mondo di relativa libertà circondato da una ottusa dittatura. L’utopia di Kruso è quella di realizzare la libertà lì, a Hiddensee: “… si era gente dell’isola e si sarebbe rimasti gente dell’isola. Si trattava della difesa di questa singolare, sì, unica enclave contro le resistenze del resto del mondo con i suoi errori e smarrimenti, le sue minacce e i suoi incantesimi, tutte le pretese, le invadenze, il loro appetito sconfinato per le isole..” (Pag. 392). Egli vagheggia “la libera repubblica di Hiddensee”, un luogo dove c’ libertà dentro alla non libertà, un luogo di ricerca della libertà assoluta dove tutto intorno è dittatura. Ad un certo punto del romanzo Kruso parla di chi se ne è andato dall’isola quando si è avuta la percezione che si stessero aprendo le frontiere. Afferma, nella sua utopia, che molti ritorneranno a Hiddensee quando si accorgeranno che dall’altra parte non sono diventati che consumatori, il che sembra una preveggenza di quello che diventeranno i paesi dell’Est una volta caduto il Muro e il comunismo: baluardi del neoliberismo. Qui è necessaria aprire una parentesi sugli autori della DDR. Molti di loro erano dissidenti e perseguitati, molti di loro non hanno mai abbandonato la speranza che gli ideali di giustizia e libertà potessero realizzarsi. Basti pensare a Heiner Muller, Cristopher Hein a Christa Wolf e al suo straordinario romanzo (se può essere definito romanzo) che è il suo testamento etico e politico “La città degli angeli”. e prima di loro all’ Uwe Johnson di un capolavoro come “Congetture su Jakob” (Cfr. Johnson, U: “Congetture su Jakob” Feltrinelli.Milano.1995) Tutti scrittori e romanzi che sono stati fraintesi al momento della riunificazione. Autori che, a volte, sono stati considerati dei precursori o facenti parte di quel movimento di pensiero, politico, letterario impropriamente chiamato Ostalgie. In realtà la Ostalgie era per un pensiero dell’alterità, un pensiero che, come si diceva più sopra, non si appiattisse sui paradigmi neoliberisti. E qui non si può fare a meno di citare un altro autore, giovane e di grandissimo spessore come Clemens Meyer. Nel suo denso e profondo romanzo “Eravamo dei grandissimi“, ottimamente tradotto da Roberta Gado e Riccardo Cravero (Cfr. Meyer C; “Eravamo dei grandissimi”. Keller Editore Rovereto (Tn). Trad. it. Roberta Gado Riccardo Cravero 2016) Meyer ci parla di giovani che hanno vissuto a cavallo tra l’esperienza del muro e la sua caduta, ci parla del “dopo/muro”, ci parla di questo giovani smarriti e sradicati che hanno vissuto il periodo dell’infanzia e dell’ adolescenza nella DDR, poi nella Germania unificata vivendo il mito dei valori dell’Ovest che, appunto si sono rivelati solo un mito; ci parla di questi giovani i cui padri, o per problemi di alcoolismo, o perché delusi dal comunismo che si rivelava cosa ben diversa da quanto avevano pensato che fosse, palesano la loro assenza; ci parla dei vuoti colmati con la droga e le bevute; ci parla dei drammi individuali sullo sfondo di un grande dramma storico. E lo fa con grande incisività, a partire dal linguaggio utilizzato. Qui non si tratta di Ostalgie perché l’autore è troppo giovane e troppo giovani sono i protagonisti del suo romanzo. Eppure ci sono schegge di esperienze, barlumi che, in qualche, modo possono rimandare ad essa. Soprattutto quando percepiamo un assenza di ideali che vorrebbe essere riempita anche se quei giovani non sanno in che modo. Del resto è dall’assenza che nasce la Ostalgie, che nascondo le nostre più profonde nostalgie.
Sarebbe suggestivo fare una lettura comparata di “Kruso” e “Eravamo dei grandissimi” e vedere differenze e analogie su quanto i due romanzieri pensano del Muro. Non si tratterebbe di mero esercizio letterario, ma darebbe lo spunto per un confronto su un’epoca storica di grande importanza.
In molte occasioni Seiler ha dichiarato che il suo non è un romanzo sulla caduta del Muro, ma un romanzo sull’amicizia. Io credo che sia entrambi: una bellissima riflessione sulla DDR, sull’occidente, sul significato della libertà e su come sia difficile raggiungerla; un bellissimo affresco di un’amicizia molto profonda, virile, con qualche tratto omoerotico e basata su un non detto: un lutto condiviso e chissà se elaborato. Del lutto di Ed si è detto sopra, di quello di Kruso lascio che sia il lettore che lo scopra.
Nell’epilogo Seiler passa dalla terza alla prima persona. Lo stile cambia, anche se rimane poetico. Seiler affronta il tema degli annegati che hanno attraversato il Baltico e sono stati raccolti dai danesi, spesso pescatori, che li raccoglievano i nelle loro reti da pesca. Come non pensare agli altri annegati dall’altra parte dell’Europa? Come non pensare agli annegati nel Mediterraneo? Che sia Baltico o Mediterraneo gli uomini fuggono alla ricerca di una condizione migliore. Perché ad alcuni che vivevano ad Hiddensee la libertà dell’isola non bastava, perché a coloro che abitano in Siria o in Libia continuare la vita lì è impossibile.
Il libro di Seiler è avvincente, ma anche complesso e si presta a diversi livelli di lettura. Dal punto di vista stilistico si ha spesso l’impressione di trovarsi di fronte ad un ritmo e a una prosa poetica, resa, peraltro, benissimo dalla traduttrice. E’ una prosa, oserei dire, sinestesica che attiva l’olfatto, il gusto, tutto il nostro mondo sensoriale e tattile. Difficile da spiegare. Bisogna leggere per comprendere e per avere le sensazioni che ho descritto. Mi ha ricordato il concetto di “percezione amodale” che un grande psicoanalista infantile, Daniel Stern, ha utilizzato nelle su ricerche: nel bambino i canali percettivi non hanno specializzazioni, gli stimoli sono tradotti da un senso all’altro, si può vedere il gusto, sentire i colori. E’ un tipo di percezione che perdiamo quando diventiamo grandi perché i sensi si specializzano, ma che ritorna quando scriviamo o leggiamo poesia. Una percezione, dunque, che i poeti conoscono benissimo. Per averne conferma basta leggere “Correspondences” di Baudelaire o “Voyelles” di Rimbaud dove ad ogni vocale corrisponde un colore. E non credo che sia un caso che uno dei personaggi del romanzo, abbia il soprannome di Rimbaud. Questo ci permette di affrontare un altro degli elementi importanti del romanzo: le citazioni e l’intertestualità, due elementi che sono strettamente connessi, Ci sono autocitazioni, citazioni che l’autore ha evidenziato nei Ringraziamenti alla fine del romanzo; ci sono citazioni che l’autore non ha evidenziato, ma che il lettore si può divertire a cercare: l’uomo della sabbia ci riporta alla omonima opera di Hoffmann, lo scambio di battute a pag. 95 è una citazione da “C’era una volta in America”, il film di Sergio Leone con Robert De Niro, e così via. In molte parti del romanzo c’è un’atmosfera che ricorda il Kafka de “Il Castello”. A pag. 67 c’è una descrizione delle stanze del Lavaggio, dei corridoi, di altre stanze e labirinti che non ci stupiremmo di trovare ne “Il castello” o ne “Il processo” A questo proposito, in una intervista concessa a Tonia Mastrobuoni e apparsa su “La stampa” nella rubrica Tuttolibri (Cfr “ Seiler: i miei Robinson Crusoe naufraghi del comunismo”, reperibile sul sito della casa editrice Del Vecchio), dopo aver concordato che i suoi personaggi ricordano le figure picaresche dei romanzi barocchi tedeschi, Seiler afferma che si sente molto vicino al grottesco disperato di Kafka, a una sorta di umorismo della caducità. E qui vorrei aprire una piccola parentesi. Uno dei migliori amici di Kafka, Max Brod, e Kafka stesso nei suoi “Diari”, narravano di come la lettura dei racconti di Kafka fosse, molto spesso, accompagnata, da grandi risate di chi ascoltava e dell’autore stesso. Renato Barilli, in un suo vecchio, ma fondamentale testo, ha analizzato e messo in evidenza quanta importanza abbia la comicità nella produzione kafkiana, tema che Seiler riprende nella sua intervista (Cfr. Barilli, R: “Comicità di Kafka”. Bompiani Milano. 1999).
Le citazioni di scrittori non finiscono qui perché ci sono quelle esplicitate nel testo: Artaud in più pagine, Heiner Muller, di cui ho parlato più sopra, a pag. 251, Hauptmann in diverse pagine e una citazione a sorpresa a pag. 360, ma lascio, qui, al lettore il piacere della scoperta.
E il poeta espressionista austriaco Trakl che, non a caso, ho lasciato per ultimo.
L’amicizia tra Ed e Kruso si cementa attraverso Trakl e la lettura delle sue poesie. La presenza di Trakl la si percepisce attraverso tutto il romanzo. E’ Trakl che unisce nel lutto mai esplicitato fino in fondo due uomini così vicini e lontani allo stesso tempo. In particolare la poesia “Sonja”, una delle più pacificate del tormentato poeta austriaco, che riporto qui per intero in originale e poi nella traduzione di Ida Porena , citata nel bel libro dello psichiatra Eugenio Borgna “L’arcipelago delle emozioni” (Cfr. Borgna, E: “L’arcipelago delle emozioni”. Feltrinelli. Milano. 2001). Ma prima di farlo vorrei dire che qualsiasi recensione non riuscirà mai a rendere la bellezza e la complessità del libro di Seiler. Che considero uno dei più belli degli ultimi anni. Che è da leggere e rileggere.
Ecco i testi:

SONJA

Abend kehrt in alten Garten;
Sonjas Leben, blaue Stille.
Wilder Vogel Wanderfahrten;
Kahler Baum in Herbst un Stille.

Sonnenblume, sanftgenerigte
Uber Sonjas weiBes Leben.
Wunde, rote, niegezeigte
LaBt in dunklen Zimmer leben,

Wo die blauen Glocken lauten;
Sonjas Schritt und sanfte Stille.
Sterbend Tier gruBt im Entgleiten,
Kahler Baum in Herbst und Stille.

Sonne alter Tage leuchtet
Uber Sonjas weiB Brauen,
Schnee, der ihre Wangen feuchtet,
Und die Wildnis ihrer Brauen.

SONJA

Torna la sera nel vecchio giardino;
Vita di Sonja, azzurra quiete.

Girasole che mite ricopre
Di Sonja la bianca vita
Piaga rossa, mai mostrata
In stanze buie costringe la vita

Dove risuonano azzurre campane;
Passi di Sonja e dolce quiete
Morente animale saluta e scompare,
Albero spoglio in autunnale quiete,

Soli d’altri giorni rischiara
A Sonja le bianche ciglia,
Neve inumidisce le sue gote
E il groviglio delle sue ciglia.
Nello zainetto a questo giro :

"Il pranzo di nozze di Renzo e Lucia" di Marco Giacosa, Miraggi edizioni.
“Il pranzo di nozze di Renzo e Lucia” di Marco Giacosa, Miraggi edizioni.
"Disaster Chef" di Marco Giacosa , Miraggi edizioni.
“Disaster Chef” di Marco Giacosa , Miraggi edizioni.
"La Piena" di Andrea Cisi, Minimum Fax.
“La Piena” di Andrea Cisi, Minimum Fax.
"Cronache dalla ditta" di Andrea Cisi, Mondadori.
“Cronache dalla ditta” di Andrea Cisi, Mondadori.
"Sono tutte storie d’amore" di Dulce Maria Cardoso,Voland.
“Sono tutte storie d’amore” di Dulce Maria Cardoso,Voland.
"Il Ritorno" di Dulce Maria Cardoso,Voland/Feltrinelli
“Il Ritorno” di Dulce Maria Cardoso,Voland/Feltrinelli
"Oltre le parole" di Luca Giachi. Hacca Edizioni.
“Oltre le parole” di Luca Giachi. Hacca Edizioni.
"Come una Canzone" di Luca Giachi, Hacca Edizioni.
“Come una Canzone” di Luca Giachi, Hacca Edizioni.
"Kruso" di Lutz Sailer, Del Vecchio Editore.
“Kruso” di Lutz Sailer, Del Vecchio Editore.
"Eravamo dei grandissimi" Clemens Meyer, Keller editore.
“Eravamo dei grandissimi” Clemens Meyer, Keller editore.
Nello Zaino di Antonello: Riconciliarsi con la Letteratura.