dialogo-della-nat-e-di-un-islandese

Ponghiamo caso che uno m’invitasse spontaneamente a una sua villa, con grande instanza; e io per compiacerlo vi andassi. Quivi mi fosse dato per dimorare una cella tutta lacera e rovinosa, dove io fossi in continuo pericolo di essere oppresso; umida, fetida, aperta al vento e alla pioggia. Egli, non che si prendesse cura d’intrattenermi in alcun passatempo o di darmi alcuna comodità, per lo contrario appena mi facesse somministrare il bisognevole a sostentarmi; e oltre di ciò mi lasciasse villaneggiare, schernire, minacciare e battere da’ suoi figliuoli e dall’altra famiglia. Se querelandomi io seco di questi mali trattamenti, mi rispondesse: forse che ho fatto io questa villa per te? o mantengo io questi miei figliuoli, e questa mia gente, per tuo servigio? e, bene ho altro a pensare che de’ tuoi sollazzi, e di farti le buone spese; a questo replicherei: vedi, amico, che siccome tu non hai fatto questa villa per uso mio, così fu in tua facoltà di non invitarmici. Ma poiché spontaneamente hai voluto che io ci dimori, non ti si appartiene egli di fare in modo, che io, quanto è in tuo potere, ci viva per lo meno senza travaglio e senza pericolo? Così dico ora. So bene che tu non hai fatto il mondo in servigio degli uomini. Piuttosto crederei che l’avessi fatto e ordinato espressamente per tormentarli. Ora domando: t’ho io forse pregato di pormi in questo universo? o mi vi sono intromesso violentemente, e contro tua voglia? Ma se di tua volontà, e senza mia saputa, e in maniera che io non poteva sconsentirlo né ripugnarlo, tu stessa, colle tue mani, mi vi hai collocato; non è egli dunque ufficio tuo, se non tenermi lieto e contento in questo tuo regno, almeno vietare che io non vi sia tribolato e straziato, e che l’abitarvi non mi noccia?

È la recriminatoria che l’Islandese, in una delle “Operette morali” di Leopardi più nota, rivolge alla Natura matrigna, che tribola e tortura il genere umano, con perfidia e crudeltà.

Anche Teresa Ciabatti invita nella splendida villa di Orbetello, che il padre, Lorenzo Ciabatti, il Professore, ha fatto costruire in spregio a ogni vincolo paesaggistico e che li porta ad assomigliare agli Agnelli. Anche Teresa Ciabatti, come la Natura leopardiana, non ha nessuna cura e attenzione a mettere a proprio agio il lettore, a blandirlo e accarezzarlo, ma è più propensa come i due leoni che sopraggiungono alla fine dell’Operetta a sbranarlo, dopo averlo fatto a brandelli.

download (2)Eppure anche a Teresa Ciabatti, nella doppia veste di narratrice sopraffina e di protagonista viziata e arrogante, si finisce per guardare con l’ammirazione, perversa e spudorata, che l’Islandese riserva alla Natura. Ma soprattutto alla base del romanzo, “La più amata” (Mondadori) con il quale è candidata al Premio Strega, c’è la medesima visione pessimistica che infervora l’Islandese, anzi se quello leopardiano è un pessimismo cosmico, in cui l’uomo non è responsabile né colpevole della propria infelicità, il pessimismo che permea il romanzo della Ciabatti si incrudelisce e inchioda l’uomo, inteso come umanità nelle varie figure di padre, madre, figlia, zie, amiche, nonni, alla dura condizione di carnefice. 3Dnn+9_7B_pic_9788804664529-la-piu-amata_original

Un romanzo che si incista nella biografia della scrittrice, con un Io narrante ipertrofico, eccessivo, smodato, anch’esso leopardiano nel titanismo di Teresa che la spinge a una lotta impari con il Professore, amato odiato temuto misconosciuto. Privilegiata, la preferita, la più amata. Quella a cui tutto è concesso, perché figlia del Professore, luminare nel piccolo ospedale di Orbetello, idolatrato dalle persone semplici e da tutto il personale come benefattore, ma in realtà massone, fascista, subdolo e bugiardo.

In questo modo, mai in tragedia, si risolvono tutti gli eventi della mia infanzia e della prima adolescenza. Come protetta da un mantello che rende invisibili, non ci sono conseguenze per me, sempre salva. Sto per cadere, cado, perdo l’equilibrio, agito le braccia, trattengo il respiro. Adesso cado. Non cado.

Attraverso la figura imponente del padre, Teresa Ciabatti ricostruisce la storia dell’Italia dagli anni Settanta in poi, fatta di connessioni con la Loggia e la P2, tentativi autoritari e poteri occulti, in una visione distorta e strabica, che è quella di chi vede i fatti troppo da vicino e dal di dentro, ed è impedita dalla posizione che le è propria di mettere a fuoco, costretta a osservarla come un’immagine sgranata, sfuocata, annebbiata dai sentimenti e dai risentimenti. Come per Venere, nello strabismo dello sguardo il fascino della narrazione, che irretisce il lettore, lo mette a disagio, come invitato a sedersi su un divano scomodo e spigoloso. Si rimane imbrigliati nella storia di Teresa Ciabatti, in balia di sentimenti contrastanti per la protagonista infelice suo malgrado ma anche per sua colpa, privilegiata e disperata, condannata e danneggiata dalla sua stessa fortuna.

Sono io, gente, la migliore, la privilegiata, la bambina che farà strada perché figlia del Professore, a proposito… dove sei, papà? La luce della scena mi acceca impedendomi di vederti, una luce chiarissima in cui riconosco una specie di segnale segreto per me, solo per me, una promessa – ma di cosa?

Di un futuro diverso. Un futuro speciale, grazie a te. Così, immaginando il tuo sguardo, mi chino a raccogliere il sole. E con gesti lenti, una danza, lo isso in alto, sul gancio di ferro lassù, di fronte al fondale di cartapesta azzurro, e allora ti vedo, ti ho trovato, ti ho riconosciuto, papà, tra le ombre, sei tu, proprio tu, e mamma? Dov’è mamma? Mamma dorme.

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L’infanzia e l’adolescenza di Teresa e del gemello Gianni sono vissute su un fondale di finzioni e falsità costruite dal padre, una prigione dorata, rappresentata dalla Villa megagalattica al Pozzarello. Ed è nella villa che avverrà l’episodio che serve a squarciare il fondale e a mostrare la sua natura di cartapesta: il rapimento per una sola notte del padre. Quanti segreti nasconde? Quante verità dissimula? Chi è veramente Lorenzo Ciabatti? Sono questi gli interrogativi che assillano Teresa e prima di lei la madre, Francesca Fabiani.

È un romanzo soprattutto di donne, “La più amata”, nonostante l’ombra gigantesca del padre e le comparse dei tanti uomini influenti e potenti, che volutamente in un gioco di sipari e dietro le quinte la scrittrice fa rimanere nascosti, visibili solo fulmineamente. La Ferrari gialla di Licio Gelli, i regali di Robert Wood Johnson II, la presenza al matrimonio di Giulio Maceratini.

Sono le donne però a mettere in moto l’azione e a focalizzare l’attenzione della Ciabatti scrittrice, in particolare la madre: Francesca Fabiani, medico brillante creatasi dal nulla, allieva di Valdoni, sessantottina, libera, intraprendente, bella. Innamorata del Professore fino alla fine, nonostante i litigi la separazione i tradimenti. Nonostante il tradimento più grande: lasciarli sul lastrico, moglie e figli, dilapidando il patrimonio, svendendo la villa al Pozzarello, occultando soldi e lingotti. Perché?

d458bed2-fc43-11e6-8717-6cdb036394a5Nella trasformazione della madre da brillante medico a casalinga depressa il nodo gordiano della narrazione. Tanti i punti oscuri delle decisioni del Professore, ma quello più oscuro e che pesa come un macigno, quello che sembra Teresa non possa perdonargli è la cura del sonno, con cui a sei anni privò i figli della loro madre. È quello il momento, sembra adombrare la protagonista, senza avere il coraggio di affermarlo, in cui tutto si è consumato. Irrimediabilmente. Un buco nero, un baratro, un precipizio, su cui Teresa Ciabatti a quarantaquattro anni è ancora in bilico.

Mi chiamo Teresa Ciabatti, ho quarantaquattro anni. Mi chiamo Teresa Ciabatti, ho dieci anni, nove, otto, sette, sei, non mi sono mai mossa da lì. Eccomi laggiù, alla mamma cadavere, mamma dorme. Mamma è stanca, mamma è triste.

A questo inestricabile groviglio psicologico, Teresa Ciabatti sceglie di aderire con una scrittura che si poggia su una visione infantile di sé e della propria storia, nonché della Storia, creando una narrazione straniante in cui il lettore non si riconosce ma con cui è chiamato a fare i conti, piena di bizze e di stranezze, con un tempo che si avvita su stesso a rendere la storia da un lato più intima e personale, dall’altra meno lineare e chiara. Perché il mistero che avvolge Lorenzo Ciabatti è lo stesso che si è posato sulla storia italiana; le velleità spente di Francesca Fabiani sono quelle frustrate della “meglio gioventù” che è dovuta scendere a patti, illusa e poi disillusa; i capricci di Teresa Ciabatti sono quelli di una generazione che credeva di poter avere tutto e poi si è ritrovata a far i conti con un mancato ruolo affettivo, sociale, politico. Un vuoto che ha inghiottito tutti.

 “La più amata” è un romanzo dalla forte personalità, una storia urticante, che ci spinge a dire, contrariamente a qualsiasi intenzione:

Sono Teresa Ciabatti.

La più amata