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Colpo di scena. Questa volta ho incontrato davvero Francesca Scotti, a Milano, e ho le prove.

Un incontro pieno di brio, di chiacchiere letterarie e amenità, che mi ha portato a scoprire una scrittrice consapevole, una donna meravigliosa e una persona talentuosa.

Fermo l’immagine nella memoria: un bar di via Crocetta, tavoli e sedie in legno, ambiente semplice e informale. Io e lei dinnanzi a un caffè.

 

b00074-T182X5RAAnche in “Ellissi” (Bompiani), come già in “Il cuore inesperto” (Elliot), i tuoi protagonisti sono dei ragazzi. Più giovani di Anita del precedente romanzo, ma come lei inesperti e curiosi di esperienze. Erica e Vanessa, come Anita, sentono il bisogno di conoscere il mondo attraverso il corpo, più di Anita vogliono trasformarsi, mutare la loro natura, plasmare gli arti e librarsi in volo.

“Ellissi” è un tenero e crudele romanzo sull’adolescenza, ma non è un romanzo di formazione. Erica e Vanessa rimangono imbozzolate, non si schiudono e rimangono come irrigidite in una velleità senza speranza. Mi è sembrato che tu volessi fermare e sospendere il tempo, in un luogo come “Villa Flora” che di fatto è un non luogo. Rendere l’adolescenza con il suo portato di conflitti e contraddizioni, di tenerezze infinite e di bisogni celati, un momento di vuoti, di assenze, di carenze e di mancanze.CUORE INESPERTO_Layout 1

Che tipo di gioventù rappresentano Erica e Vanessa, e con loro Diego e Lorenza?

Hai ragione, il tema del corpo, dell’esperienza emotiva e fisica sono un po’ un’ossessione, nel senso migliore del termine: territorio di ricerca, pensiero, ascolto.

Le due protagoniste sono colte in un momento di passaggio, quando dall’adolescenza ci si sporge sull’età adulta. Stanno percorrendo quella linea che separa il corpo infantile dal corpo adulto. Forse appaiono irrigidite, in realtà credo sperimentino quella stasi spaventata che prelude ai piccoli grandi sismi della crescita. Vivono l’attesa propria di ogni gioventù e rappresentano il sogno di mutare senza pagare pegno alla pesantezza – effettiva o simbolica – dell’essere adulti. Un sogno, o forse un esercizio di onnipotenza. Anche per Diego e Lorenza è lo stesso: lui è poco più grande e lei, nella gravidanza, torna a sperimentare quella stessa trasformazione.

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Erica e Vanessa. Non una semplice amicizia, ma qualcosa di più morboso e di più dolce. Indefinibile come l’età che vivono. Soglia e confine dell’altro e del sé.
L’una è una pianta dai mille fiori, persistente e tenace, in cui la leggerezza dei minuscoli fiori a campanula si unisce alla resistenza della pianta.
L’altra una farfalla, dai colori caldi e vivaci, l’ultima a migrare e la prima a risvegliarsi.
È ovvio che i due nomi delle protagoniste non sono scelti a caso, ed evidenziano anche aspetti fondamentali della relazione tra le due ragazze. Erica ha una sua indipendenza di visione e di intenti, una forza di volontà a volte perversa che nasconde una grande insicurezza e un vuoto, quello della perdita di una figura materna e accudente. Vanessa ha innato il metamorfismo delle farfalle, una sensibilità leggera e volubile. Vanessa ha bisogno del fiore per sopravvivere.
Cosa adombrano i nomi delle tue protagoniste? Come li hai scelti? Cosa sottolineano del rapporto che le unisce?

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Credo che quello di Erica e Vanessa sia un caso emblematico di nomi parlanti! Ovvero di quei nomi costruiti per suscitare nel lettore determinati sentimenti e riflessioni. I nomi che ho scelto infatti dicono molto di chi li porta, contengano un po’ del loro destino, del percorso che dovranno fare nel mondo. La cosa incredibile è che non c’è stata premeditazione. O meglio, credo che tutto sia avvenuto a un livello più sotterraneo, inconscio e meno ragionato. Non ho cercato un nome di una farfalla e il nome di un fiore. Ho cercato nomi che stessero bene insieme, sia dal punto di vista del suono sia scritti sulla pagina. Nomi che non si portassero dietro storie già molto potenti come Alice o Elena (nomi che mi piacciono moltissimo). Ho cercato i loro nomi e ho trovato questi. Poi, avanzando nella storia, mi sono accorta del loro potere. Mi è successo un’altra volta, con Camilla la protagonista del mio primo racconto, il Numero 1 nella raccolta “Qualcosa di simile”. Lei odiava i dolci eppure sua madre le aveva dato il nome di una torta. Confrontandomi con Alessandra Pescetta (amica e meravigliosa regista) sul tema, lei mi ha suggerito interpretazioni e letture interessanti come quella del testo di Alejandro Jodorowsky e Marianne Costa in “Metagenealogia – La famiglia, un tesoro e un tranello”, dove viene affrontato anche il tema del nome, quello proprio e quelli che si scelgono per figli, e di come questi possano influenzare la vita di chi li porta. Insomma, io sono curiosa e questo libro è stato un interessante approfondimento. Proprio proseguendo in questa direzione, il fatto che si tratti di due nomi “combinabili” dice molto anche del rapporto che le lega: Erica e Vanessa reciprocamente si sostengono e si danneggiano, cercano di individuare la propria unicità sfruttando l’una le potenzialità e le carenze dell’altra, chi più da leader chi più da gregario. La tossicità del legame non significa alleanza una contro l’altra, ma alleanza con quella componente di sé che ancora deve trovare un proprio volume.

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Grazie, Francesca, per la generosità con cui sempre mi conduci nella tua officina letteraria. Credo che per una lettrice non ci sia privilegio più grande.

Un altro tema che serpeggia con una certa insistenza nella tua scrittura è la famiglia, e più in generale i rapporti con gli adulti. In “Ellissi” i genitori, nonostante tentativi e sforzi come quelli del padre di Erica, non riescono ad entrare in sintonia con i figli, che li allontano e se ne distanziano; più che con i padri, è con le madri che la crudeltà della mancanza di un rapporto è più visibile, come se fosse un terreno in cui sei portata a scavare. Il rapporto con la madre era uno dei temi cardini anche del romanzo precedente. Vanessa e la madre vivono uno scontro profondo, che non si sostanzia di fatti e accadimenti, ma di una distanza che è ancora più tragica. Vanessa contesta radicalmente il modello di donna che la madre incarna, senza nessun cedimento e nessuno spiraglio. Per Erica la mancanza della madre è una perdita, che l’ha come irrigidita, resa frigida al mondo esterno, e il suo atteggiamento di indifferenza e insofferenza nei confronti di Lorenza rende icastico il senso di vuoto, che la ragazza prova, più ancora che quello sentimentale della perdita.

Non se la cavano meglio gli adulti che non rappresentano figure parentali, come i medici, gli infermieri e gli addetti di Villa Flora a cui questi giovani sono affidati. Nonostante gli sforzi di diventare dei punti di riferimento, soprattutto di Cecile, mi sembra che i loro tentativi siano destinati al fallimento e che anzi tu volessi sottolineare nella reazione di Erica e Vanessa la finzione, l’artificiosità che le ragazze avvertono nella relazione imposta.

Come ricordavi nei “Dieci Buoni Motivi”, Ellissi vuol dire mancanza. Si riferisce alla mancanza di un’interazione feconda dei ragazzi protagonisti con gli adulti, o invece la causa della Mancanza, forse da scrivere con la maiuscola, va ricercata altrove?

 

Hai colto perfettamente questo livello della storia e le mie intenzioni. È davvero prezioso svelare la stratificazione del lavoro parlando con te. Nell’adolescenza se da un lato è necessario crearsi la propria identità anche al netto della dimensione familiare dall’altro non è raro che le incomprensioni con il mondo adulto si inaspriscano. Anzi, Erica e Vanessa, come tanti adolescenti proprio nello scontro trovano un modo per delineare delle caratteristiche di sé. L’idea era quindi quella di fotografare interni familiari differenti per composizione, storia, status per mostrare da un lato la normalità dell’incomprensione ma anche il dolore e la fatica che questa porta, da ambo le parti. Non sono genitori per forza assenti o distratti, sono anche loro alle prese con l’attraversamento di una linea d’ombra, ci provano, sbagliano, ritentano. La mancanza è certamente una delle chiavi di questa storia, la mancanza come spunto per inventarsi, la mancanza di un’identità che dà inizio alla ricerca, ma anche la mancanza come risposta alla paura di diventare adulti.  

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Villa Flora è un non luogo. Un luogo dell’anima, in cui catturare la propria essenza o lasciarla per sempre lì, prigioniera e in cattività.

Un luogo, che sin dal nome, vuole sembrare altro da ciò che è, o meglio non vuole sembrare ciò che è, né mai tu lo definisci se non in negativo, per quello che appunto non è. Una clinica, un istituto, una scuola speciale?

Metafora perfetta dell’adolescenza, mitica “isola che non c’è”. Perché i protagonisti di “Ellissi” non vogliono crescere, accettano il soggiorno a Villa Flora nel tentativo estremo di non crescere. Persino Lorenza che sta per diventare madre ha dei tratti infantili molto marcati e infatti instaura un rapporto tra pari con Vanessa ed Erica. Fino all’estremo tentativo di Diego, che ricorda molto da vicino il personaggio di Peter Pan.

Cosa sperimentano i tuoi ragazzi all’interno di Villa Flora? 

 

Anche in questo caso le mie intenzioni ti sono arrivate nitidamente e hai saputo restituirmele con altrettanta chiarezza in questa domanda.

Villa Flora in “Ellissi” funziona come uno di quegli spazi sì regolamentati ma diversi dalla casa di famiglia. I ruoli degli abitanti possono rispecchiare quelli noti, già sperimentati. Ma per il fatto di essere persone sconosciute alle protagoniste permettono di rimettere in atto le varie dinamiche relazionali rendendole chiare anche nella storia. Dovrebbe essere un luogo protetto e sicuro, non lo è fino in fondo perché il pericolo è addosso agli abitanti, a tutti quanti, anche a chi dovrebbe essere più solido, adulto e risolto. Ciascuno fa resistenza a suo modo, ma qualcosa si infiltra. Le pareti hanno assorbito le energie di tante battaglie e mi piace immaginare che le restituiscono ai nuovi ospiti. Non ci sono camici ma ci sono tentativi di cura, nel senso più originario del termine. Dalle finestre entra il mondo, nelle stanze ci sono i compagni di avventura, nelle notti il silenzio dei sogni solitari. E poi il cibo assume il chiaro valore di terapia. Villa Flora è un piccolo ecosistema che permette a Erica e Vanessa di avanzare nel loro percorso di sottrazione prima e di crescita poi. 

 

16730319_10212841934552185_584757714350442125_nBisogna aspettare la primavera…

il tuo romanzo si chiude come un punto esclamativo, a cui manchi il puntino in basso. La linea verticale è il percorso di Erica e Vanessa, con gli stupori e i tremori tipici della loro età, e inspessiti dalla loro sensibilità. Una ellissi, anche quel puntino. Suggerisci, suggestioni il lettore, che non può che sperare nella rondine, come Erica, anche se non è stagione, e la neve cade silenziosa sulle ultime pagine del romanzo, scandite dai versi lucreziani, che racchiudono il senso profondo della storia del tuo romanzo.

Poi l’epilogo: Insieme e sole, Erica e Vanessa…

Sappiamo tutto e non sappiamo più niente di loro, questo è il fascino del finale del tuo romanzo. Per te come termina? (ma non fare spoiler!)

Il desiderio era quello di raccontare una delle tante e continue metamorfosi che si attraversano nella vita. Proprio come per le libellule che durante la fase di crescita affrontano diverse mute, che variano da 10 a 15, anche Erica e Vanessa nel corso del libro ne affrontano alcune, profonde, dolorose ma anche liberatorie. Quello del finale non è che un approdo, un punto in cui prendere fiato per poi ricominciare una nuova strada. Il libro termina, ma non la vita che lo percorre. Non mi interessava raccontare un baratro o una caduta. Mi interessava aprire al futuro, a quello che ciascuno può immaginarsi, inventarsi e costruire con le proprie forze e con l’aiuto degli altri. E lo stesso vorrei che fosse per Vanessa ed Erica. L’ultima parola che ho scelto per il romanzo è richiami: quelli da seguire, da far riecheggiare e da ascoltare.

Chiacchierando (di nuovo) con… Francesca Scotti
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