di Alice Pisu

Libraia e giornalista, al timone con Antonello Saiz dei Diari di bordo, libreria indipendente a Parma, con la rubrica "I libri di Alice"
Libraia e giornalista, al timone con Antonello Saiz dei Diari di bordo, libreria indipendente a Parma, con la rubrica “I libri di Alice”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Dei sogni che avevamo non è rimasto nulla”

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L’estate del cane bambino, Mario Pistacchio e Laura Toffanello

“Le immagini nascono per aiutarci a pensare, per dare l’avvio a pensieri di altri, per tentare di capire asprirazioni e pensieri di altri. Per ricordare. Per farsi ricordare. Per chiedere giustizia. Anche una giustizia che non è possibile ottenere. Una giustizia che si potrà avere solo nel ricordo, nella memoria, nell’amore per quelli che verranno. Un’immagine forse conta più dell’invisibile che c’è in essa che per le cose e le persone che fa vedere”. Scrive Tano D’Amico in un bel libro che riflette sulla fotografia, “Anima e memoria”, edito da Postcart. Penso alle sue parole che sembrano perfette per descrivere un romanzo idealmente fatto per immagini, “L’estate del cane bambino”, che vive di una ricerca di senso di giustizia, di un sogno che diventa una storia, e dell’attesa. Nella dedica: “A chi ha atteso, e sperato”, il senso ultimo del romanzo di Mario Pistacchio e Laura Toffanello, edito da 66thand2nd.

Raccontare un sogno su un bambino fatto tempo prima dall’autrice, svilupparlo, immaginare come quella suggestione possa trasformarsi in un romanzo. È l’estate del 1961. Un inganno per il lettore nelle prime pagine, che crede di trovarsi davanti a un romanzo che racconta le avventure di un gruppo di bambini negli anni Sessanta, che si divertono a riunirsi in un fortino dei tempi della guerra, a giocare a pallone e ascoltare le storie di nonno Cestilio, tra le leggende dell’Uomo Sauro, un pesce siluro chiamato coccodrillo di fiume, un suonatore di fisarmonica che appare dal nulla, la valle dei sette morti. Storie di un tempo scandito dalla scuola, il lavoro negli orti di casa, la vita ai margini della mondanità e dei divertimenti per adulti appena qualche chilometro più in là, a Sottomarina.

978880621883MEDE inizialmente il pensiero va a un romanzo breve di Michela Murgia, “L’incontro”, Einaudi, che si svolge in un piccolo paesino della Sardegna negli anni Ottanta, un racconto fatto di cose minime dove i protagonisti sono dei ragazzini, una storia di amicizia e di segreti da nascondere agli adulti. Ciò che racchiude “L’estate del cane bambino” va oltre questa dimensione. È il racconto di due mondi, quello dei bambini e quello degli adulti, lontanissimi e incapaci di comunicare tra loro. Da qui lo scontro e la perdita dell’innocenza, con mostri ben più feroci di quelli evocati dalle storie di nonno Cestilio, perché reali e non confinati alla fantasia. Non è casuale la scelta dell’anno per ambientare la storia, il 1961. Sta avendo luogo una svolta, un cambiamento sociale ed economico dopo l’uscita dalla Grande guerra, che arriva anche nelle piccole realtà di provincia: per la prima volta, in quegli anni, i lavoratori occupati nell’industria e nei servizi superano quelli del settore agricolo, marcando nettamente la trasformazione dell’Italia in paese industrializzato.

Siamo a Brondolo, un paese alle porte di Chioggia, città che in quegli anni gode di una rinascita con il suo “oro”: il radicchio, una varietà particolare ricercata già dai primi decenni del Novecento con tecniche di selezione naturale affinate poi negli anni Cinquanta, portando benessere al territorio e determinando una crescita significativa. Da qui la scelta di raccontare la storia alle porte di quella realtà in crescita, a Brondolo, dove lo sviluppo rappresenta il miraggio, è percepito in differita, immaginato. I luoghi ne “L’estate del cane bambino” sono fondamentali perché permettono di capire l’indole di quel microcosmo. Luoghi portatori di storie, per usare una definizione di Marguerite Duras ne “I miei luoghi”, Clichy. Una comunità fortemente legata alla religione cattolica, intrecciata però a filo doppio con la superstizione, che sembra quasi non contrastare con la fede nella visione del mondo filtrata dalla guida spirituale.

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In quelle giornate tutte uguali a se stesse si insinua il dolore improvviso, la scomparsa di un bambino, il più piccolo del gruppo. Si chiama Narciso, gioca a fare l’illusionista con il mito di Houdini. È un tempo in cui le leggende sono vere. Inizialmente la comunità si mobilita per cercarlo, ma ben presto ci si abitua a tutto, anche a una scomparsa. Da quelle reazioni emergono i tratti di una realtà omertosa dove predominano l’ignoranza e il pregiudizio. Il male risiede nel diverso, nel demonio che può incarnarsi anche in chi sta vicino ai propri cari, ammonisce Don Antonio. E il silenzio ricopre tutto. Si svolge tutto in un’estate. Penso a un racconto di James Poissant, “Il ragazzo che sparisce”, contenuto ne “Il paradiso degli animali”, Nne, una raccolta di racconti in cui attorno alle figure animali si innescano situazioni paradossali. Pagine che dialogano idealmente con “L’estate del cane bambino”, in quell’estate prima di inziare le medie raccontata da Poissant. cover

Due ragazzini sperano di trasformarsi in supereroi, uno di loro sceglie come nome Quicksilver per la sua velocità, l’altro all’inizio voleva chiamarsi ragazzo invisibile ma alla fine ne sceglie un altro: Sparizione. “Era la lunga calda estate dei giochi di guerra e fortini sugli alberi, dei panini con dentro il gelato e delle tende nei cortili, storie di fantasmi e di film vietati ai minori di tredici anni, che la mamma di Jason noleggiava ogni volta che volevamo, anche se avevamo due anni di meno. Era l’estate del quartiere nuovo e del nostro nascondiglio segreto, dove era successo tutto[..]. Non vidi mai più Jason. Dopo quel giorno scomparve. Dopo molto tempo mi imbattei in una definizione di “quicksilver”, che non significa solo veloce ma anche mercuriale, imprevedibile, instabile. Tutti e due eravamo stati all’altezza dei nostri soprannomi”.

Il filo della letteratura accompagna tutta la narrazione rappresentando una costante, come un luogo in cui rifugiarsi, un porto sicuro per il protagonista che vive il dolore in solitudine. “Il conte di Montecristo” di Alexandre Dumas sarà il libro da leggere nei giorni di reclusione forzata in casa, in attesa che fuori si scopra il responsabile della scomparsa. “Vendicarsi, perdonare, essere perdonati”. Un desiderio di vendetta che il protagonista cova per fare giustizia e un senso di profonda solitudine certamente condivisi con il celebre protagonista di Dumas. Tutto il romanzo è costellato da personaggi singolari, apparentemente solo bizzarri ma che il più delle volte celano un lato oscuro. Figure che vivono in totale isolamento, emarginate dalla società, come il cercatore di cadaveri. Il suo soprannome richiama l’alluvione del 1951 nel Polesine, quando dopo aver perso la famiglia sceglie di tatuarsela addosso, assieme ai nomi degli altri cadaveri che continua a trovare grazie a quella dote rara: saper ascoltare la voce dei fiumi.

Tema fondante quello della reincarnazione, lontano però da ogni riferimento ad ambiti culturali o religiosi, come da richiami spirituali di trasmigrazioni dell’anima in altri corpi. La reincarnazione di un bambino in un cane è da intendere piuttosto come l’esito di un’attesa, di una speranza vana, sviluppata in una comunità connaturata da una forte componente di superstizione e al tempo stesso dell’elemento sacro. Diventa una strada, l’unica percorribile, per lenire il dolore ed elaborare una scomparsa. Ecco che allora, quasi come in un corto circuito, L’estate del cane bambino riesce a tenere il filo della magia, della fiaba per certi versi. Pur trattando temi di profondo dolore, porta il lettore a sperare fino all’ultimo che l’assurdo possa essere possibile. E in fondo le prove ci sono: è scheletrico e longilineo come Narciso, quel cane, distingue le figurine dei calciatori Panini e riesce a intonare una canzone di Claudio Villa, la sua preferita. Così quell’illusione nata per lenire il dolore diventa ben presto una certezza: è proprio lui, si chiamerà Houdini. È questo l’incanto del romanzo: accanto a pagine oscure la capacità di narrare una storia irreale, una sorta di fiaba per adulti che fa sembrare tutto possibile.

cover__id373_w800_t1465131609.jpg&Filo della magia nel raccontare un’innocenza perduta e richiamo con l’immagine: un legame costante ne “L’estate del cane bambino”, perché è origine della storia stessa, a partire dal sogno a cui seguiranno i disegni, mai pubblicati, realizzati durante la stesura del romanzo. Disegni che poi riappariranno inaspettatamente sul finire della lettura, in un gioco continuo tra immaginazione e rappresentazione del reale che mi riportano a “Altrove”. Henri Michaux in “Altrove”, edito In Italia da Quodlibet, gioca con queste due dimensioni utilizzando una scrittura che, attraverso la naturalezza dell’artificio, si sofferma a riflettere sulla società, con popoli e paesi di fantasia che raccontano stati d’animo. Sulla condizione del bambino scrive: “A otto anni ha l’età dell’umanità, che risale ad almeno duecentocinquantamila anni. Pochi anni dopo li ha persi tutti, non ha più che trentun anni, è diventato un individuo, vicolo cieco da cui non esce più. Cosa c’è di peggio che l’essere giunto a completezza? Adulto – completo – morto. Ha buttato via le sue carte buone” (Enfants, 1938). L’autore del motto “La volontà, morte dell’Arte” realizza disegni e quadri seguendo quello stesso principio del lasciare fluire che caratterizza la sua scrittura. Una trasformazione continua, cadenzata dalla cerimonia magica dello scrivere che attraverso immagini di fantasia richiama l’ingresso in un’altra dimensione. 

cavallo-pallidoUn equilibrio precario tra due mondi, infanzia e età adulta ma anche tra reale e immaginario che ne “L’estate del cane bambino” è scandito dall’immagine della morte che si affaccia costantemente come uno spettro, il demonio da esorcizzare nel nascondere ciò che sarebbe disdicevole dire: il male, quello nascosto nelle quattro mura domestiche. In questo costante legame tra sogno, morte e immagine penso inevitabilmente a “Il cavallo pallido”, di David B., Coconino, un libro d’illustrazione d’autore interamente incentrato sul lato oscuro dei sogni. Il cavallo pallido è un animale fantastico, associato alla morte e poi iconicamente all’incubo (Johann Heinrich Füssli su tutti), portatore di un demone notturno che pesa sul sonno degli uomini. In uno di quei sogni, dell’11 gennaio 1991, “La recinzione”, il protagonista non riesce a oltrepassare un confine delimitato da filo spinato e scheletri, non c’è speranza. È la stessa condizione che vive la vera vittima de L’estate del cane bambino, Ercole, nel convivere eternamente con il dolore per la scomparsa. Quel dolore sarà tenuto accuratamente chiuso prima tra le mura di casa e poi tra quelle di un manicomio, condannato per sempre all’interno di quella recinzione come nel sogno di David B. Non si darà mai pace nel non poter mai dire la verità, destinato a vivere da recluso per tutta la sua esistenza: a dodici anni fa ingresso nel manicomio di San Servolo, alle porte di Venezia. L’orrore raccontato nelle pagine del romanzo richiama il viaggio reale compiuto dagli autori, cercando nomi, visi familiari tra quelle foto in bianco e nero.

Manicomio di San Servolo (Archivio Irsesc)
Manicomio di San Servolo (Archivio Irsesc)

In Italia in quegli anni si contano ancora numerosi manicomi, proprio nel 1961 Basaglia avvia da Gorizia un movimento che mira alla chiusura degli istituti. San Servolo è una realtà particolare, perché è un manicomio confinato in un’isola, l’acqua diventa un’ulteriore barriera, un confine considerato invalicabile, per tenere lontano ciò che non si vuole vedere. E così, in quel viaggio degli autori in ciò che resta oggi della struttura, emergono le storie più disparate dei confinati, da chi era considerato labile psicologicamente e finiva internato a qualche turista americano ubriaco che passava la notte nella struttura prima che si risolvesse il malinteso. La realtà dell’isola, in quanto terra in mezzo al mare che demarca il proprio confine con l’acqua, richiama alla mente ciò che sta accadendo negli stessi anni oltre confine. In Grecia la sede di uno dei più efferati manicomi al mondo: la “colonia di Leros per psicopatici”, arrivato a internare, in condizioni disumane, oltre 2.650 persone dalla sua apertura nel dopoguerra. Si parlerà di deportazione psichiatrica e solo dopo decenni, con le prime denunce e la presa di posizione istituzionale, sarà avviato un programma di deistituzionalizzazione del manicomio. Penso al reportage da Leros di una giovane donna poco più che ventenne che riesce, con i suoi scatti, a denunciare ciò che in quegli anni scorre nell’indifferenza generale della comunità internazionale.

Scatti che rendono quasi un incedere narrativo, l’urgenza di raccontare che si tradurrà in un reportage per lungo tempo censurato con un veto sulla pubblicazione delle foto, per garantire il proseguimento di una riforma senza alimentare lo scandalo. Sono anni delicati anche in Italia, la riforma auspicata da Basaglia già negli anni Settanta tarda ad arrivare e si rende necessario un segnale forte. “Non ci sono parole per descrivere, restano immagini che parlano da sole. Gli odori e le urla rimangono solo nella mia meroria”, scrive Antonella Pizzamiglio in “Leros – anche il nulla ha un nome”. La stessa testimonianza ripresa anche ne “La prima verità”, di Simona Vinci, Einaudi, vincitore del Premio Campiello 2016. Immagini che nascono per chiedere giustizia, per usare le parole del fotografo Tano D’Amico. Chiedere giustizia anche a distanza di quarant’anni, come fa il protagonista di “L’estate del cane bambino” nel tornare a Brondolo e ritrovare irriconoscibili quei luoghi dell’infanzia e dell’orrore, tra il cemento che mette radici negli orti. Vede ciò che non c’è più e di cui si perde tristemente memoria, di quei luoghi rimane solo la chiesetta di San Michele, nella piazzetta con la targa Brondolo vecchia, un luogo perduto nell’oblio. Riflette: “I vecchi dormono poco perché nei loro ricordi c’è troppo”.

 

(Recensione apparsa su Repubblica Parma nella rubrica Letture di Alice Pisu, 28 novembre 2016)

I libri di Alice: L’estate del cane bambino