Dieci Buoni Motivi 

di Alessandro Raveggi

sbxbcesr

per NON leggere “Il grande regno dell’emergenza”

copertina-raveggi-fronte-def

  1. Se siete amanti del catastrofico fantascientifico, apocalittico, cinematografico, e venite attratti dal titolo del libro, non leggete questa raccolta: contiene catastrofi personali, crolli individuali, terremoti dell’io che vi faranno vacillare e non essere semplici spettatori compiaciuti di un naufragio.
  1. Se vi piacciono le raccolte di racconti in cui ogni racconto è una finestra differente sul mondo, non leggetelo: questo libro è stato infatti pensato come un vero e proprio album di catastrofi, un concept album di pezzi scritti in momenti diversi, ma accordati e registrati con gli stessi strumenti (dal 2014 al 2015 circa) a comporre una melodia per quanto dissonante anche solidale. Ogni racconto è una porta o una finestra sull’altro. Inoltre l’auto-antologia non era proprio nelle corde dell’autore (che è vivo e vegeto).
  1. Se vi confortano le storie italiane delimitate in un territorio riconoscibile, magari provinciale, giammai leggete il Grande Regno: nell’intenzione dell’autore, ogni luogo autenticamente italiano presente è quello che conoscete, ma anche un altrove abitato dai personaggi come uno spazio straniero. Firenze non è la Firenze che conosciamo (perché Firenze è indescrivibile, lordata di storia e di turismo), studenti bolognesi vengono inghiottiti dalla realtà messicana, la maggior parte dei protagonisti vivono in latenti o evidenti schizofrenie linguistiche (pensano e sognano in inglese, parlano in italiano o in tedesco, in quanto spesso emigrati, in viaggio, o in aereo, o in fuga.)
  1. Se vi piace l’interpretazione che è stata data di Carver e del minimalismo (e non il vero Carver e il vero minimalismo), non vi azzardate ad entrare nel calderone del Regno: anche se l’autore non ama molto la definizione di massimalista dello stile, è certo che nel libro la lingua viaggia e si ingrossa, a tratti si arriccia e scalpita, danza in America Latina, tra le rovine della Firenze del 1944 o nei piatti parlanti di una trattoria italiana a New York, e non è certo una lingua che si contiene (è eloquentemente toscana, in questo, a pensarci – provate ad andare a cena con un toscano, e vedrete.)
  1. Se avete letto che David Foster Wallace è la stella popolare dell’autore del GRE, non cercatelo ossessivamente nel GRE: sì, c’è un po’ di Pynchon nell’approccio alla storia, di Barthelme nell’approccio alla pagina, e ovvio! Wallace – soprattutto nel tentativo di comunicare sinceramente con il lettore senza artefare la sincerità – ma l’autore ha abbandonato pressoché infante i cosiddetti post-moderni americani (& co.) e si è nutrito di letteratura latinoamericana (Fuentes, Rulfo, Bolaño, Pacheco, F. Hernandez) e in tarda età del più fosco latinoamericano marchigiano esistito: Paolo Volponi (che è forse la vera stella polare latente del libro).
  1. Se amate l’italiano, non leggete (o forse anche sì) il Grande Regno: è stata scritto sotto l’influenza congiunta del toscano, dello spagnolo e dell’inglese, per motivi del tutto personali. Ogni suo termine che apparirà ricercato è apparso invece alla mente del povero autore da un contatto neuronale con vocabolari misti e senza ricerca dello squisito (il linguaggio del GRE è una condizione del vivere e non del pensare a tavolino). Qualcuno però ha detto che è “un elogio della lingua italiana” come libro, quindi siete salvi.
  1. Se amate la narrativa retorica, politica ed engagé, vade retro: non troverete personaggi memorabilmente afflitti dalla realtà politica, ex-sindacalisti, attivisti No-TAV, militanti, bensì personaggi investiti da un altro tipo di resistenza: resistenza all’emergenza del vivere, donne che lottano in modo picaresco per tornare ad innamorarsi della propria città, ed in generale il tentativo di parlare del catastrofico senza retorica: una forma di militanza anch’essa, però, senza bandiera.
  1. Se pensate che i toscani siano tutti alla stregua di Benigni o peggio Pieraccioni, non ci provate, eh: nel libro certo si ride, ma non ci si sbraca, certo sono presenti arguzie, ma sempre al margine del burrone. La risata è un sospiro di sollievo alla fine di un’avventura che ci troverà forse salvi, è il riso pitturato come una macchia sul muso di un animale.
  1. E, sì, se gli animali vi infastidiscono, vaccinatevi dal regno del GRE: al suo interno ogni personaggio è descritto spesso come un animale impaurito, impaurito di fronte ad un lutto, impaurito di fronte ad un abbandono amoroso, mandato in panico dagli eventi. E poi troverete colibrì, lupi, giraffe, bastardini randagi, nutrie dell’Arno, lepri in salmì, cinghiali, oltre agli animali fantastici di un’artista contemporanea. Ah, Volponi ancora, misto a Morselli (altra influenza.)
  1. Così, se credete infine che pubblicare racconti non abbia senso oggi in Italia (“i racconti non si leggono, i racconti sono troppo difficili, i racconti non prendono il lettore”), lasciate questo libro sullo scaffale (ma magari comprate un altro di LiberAria editrice). Al contrario, per l’autore la forma breve, il racconto e la novella, non è che una caccia differente rispetto al romanzo, ma sempre di caccia si tratta: un andare al buio o all’alba alla ricerca di una preda, magari con un arco e una freccia, una “pesca” come ha descritto l’arte del racconto Paolo Cognetti in A pesca nelle pozze più profonde (minimum fax). Il racconto fa parte della stessa famiglia del romanzo e dà all’autore l’occasione di lavorare in profondità nelle pozze apparentemente meno ampie benché oscurissime.
Dieci Buoni Motivi per NON leggere “Il grande regno dell’emergenza”