Dieci Buoni Motivi

di Giulia Caminito

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per NON leggere “La Grande A”

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1. C’è una madre che non fa la madre, ma scappa nel deserto, va a caccia, alleva piccioni e fuma trenta sigarette al giorno, mentre lustra bottiglie di liquori francesi di contrabbando: un pessimo esempio.
2. È zeppo di parole incomprensibili come: tukul, zighinì, zabagnà, muscarabia, cadrega, tielbodù, aradio e sharab.
3. Non ci sono le virgolette né alte né basse nei dialoghi, e quindi capire chi parla e quando necessita un po’ troppa attenzione, mette il nervoso addosso.
4. Gli italiani non fanno quasi mai una bella figura, se la sgavazzano in terra d’altri ballando e cantando e pensano che il Duce sia ancora vivo e tenuto prigioniero in un sottomarino.
5. C’è una protagonista alta un sacco di bietole, impressionabile, che preferisce in tempo di guerra le uova col pomodoro al salamino e incontra un giovane uomo navigato, infingardo, amante delle favole arabe. Una storia d’amore così si sa, non può finire bene.
6. A proposito di amore e matrimonio: niente sesso, zero, un bacetto smilzo e poco più, interrotto sul più bello, tanto per gradire. Un matrimonio lampo, nessun convenevole, la madre della sposa che usa persino le mani per mangiare al pranzo di nozze e succhiar via il “buono” dai gamberi arrosto.
7. Uno dei personaggi pensa che la verità della vita stia nelle teste marce dei pesci al bancone del mercato di Addis Abeba.
8. La protagonista entra in un circolo vizioso: vince a poker, vive da sola in una stanza con una parete dipinta di nero, frequenta un tipo fissato con le cornici dei quadri e balla con greci, armeni, inglesi e neanche un italiano.
9. Disseminato di nicchie pericolosamente sovversive: viene preso a schiaffoni un prete, non ci si fida dei poliziotti e si prova a far crollare l’Imperatore.
10. Il titolo è ingannevole: c’è più di una Grande A nel libro.

Dieci Buoni Motivi per NON leggere “La Grande A”
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