Martino Sgobba, Un liceo da suicidio, Robin edizioni

di Cecilia

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Il breve libro “Un Liceo da suicidio” ha il pregio della leggerezza e dell’ironia pur trattando di un argomento oggi al centro di accaniti dibattiti: la Scuola Italiana e in particolare la Scuola Pubblica, strattonata e contesa tra indefessi detrattori e appassionati sostenitori.

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Il racconto di Martino Sgobba si apre come un classico giallo: tre inspiegabili suicidi avvengono nel giro di soli tre giorni in un fantomatico Liceo Classico della Brianza, durante le lezioni, sotto gli occhi di studenti e professori. Le vittime sono degli “illustri” docenti e il loro gesto estremo lascia esterrefatta la pigra e benestante Cainate, (sic!) cittadina dell’hinterland milanese.

Ad affiancare le indagini di un giovane e aitante commissario di Polizia, viene inviato dal MIUR un esperto Ispettore, Tommaso Vincenti, alle soglie ormai della pensione, ma considerato un’astuta volpe, in grado di scoprire se “le condizioni ambientali abbiano istigato al suicidio gli stimati docenti”.

Si apre così l’inchiesta all’interno dell’Istituto Machiavelli, tra la gelida cortesia della Dirigente, l’omertà dei professori, l’aperta ostilità del personale ATA (mirabile la figura della ciarliera bidella, portinaia e tuttofare della scuola) e degli onnipresenti genitori, ben presto (quasi) tutti coalizzati contro Vincenti, reo di ledere con la sua indagine “il diritto allo studio e la serenità dei ragazzi”, a causa delle sue (assolutamente giuste!) intrusioni nell’apparente routine del Liceo.

Infatti, ben presto, dopo i funerali e il lutto cittadino, tutto rientra nella “solita vita”: in fondo bastano tre supplenti per ricominciare, quasi come se nulla fosse accaduto, sempre “per il bene dei ragazzi”!

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L’ispettore Vincenti, però, non si scoraggia affatto: cortese, ma tenace, espertissimo di regole e procedure, comincia a scoprire “gli altarini” del patinato Istituto, stracciando il velo dietro il quale si celano favoritismi, connivenze, piccoli soprusi del “gruppo dirigenziale” accentratore incarichi e “benefit”, che estromette i colleghi più miti o anche i non allineati alle decisioni di un losco Vicepreside. Emergono, così, meschini sgarbi sull’orario, sul giorno libero, sui permessi d’uscita con un crescendo di angherie che sfuggono di mano anche alla Preside stessa “che si ostina a voler dirigere e gestire da sola” un corpo docente che non riconosce in lei, ex collega, ora divenuta Dirigente, un vero superiore; ogni giorno si instaura una sorda e continua lotta, a colpi di mozioni e delibere ai Collegi docenti e resistenza passiva alle circolari e agli ordini di servizio.

Vi è, insomma, un ritratto ironico, mai sarcastico né malvagio, però, sulla Scuola Italiana, ormai ridotta (ahimè!) ad una guerra tra poveri dove privilegio è avere un giorno libero più vantaggioso (ma sulla base di che!!) rispetto ad un altro collega o un incarico di una manciata di euro in più all’anno piuttosto che il solo misero stipendio.

Ma il vero spasso è il catalogo dei docenti, interrogati sui fatti accaduti e messi sotto la lente di ingrandimento dell’Ispettore (un chiaro alter ego dell’autore, che, da ex docente e ora Dirigente Scolastico, conosce bene l’ambiente che narra!); sfilano, così, davanti a lui una serie di ritratti degni del peripatetico Teofrasto: c’è il docente sonnacchioso, che non è mai in prima linea ai collegi, siede defilato e sembra disinteressarsi di tutto, ma poi, invece sa tutto e su tutto spettegola; c’è la docente infervorata che pensa che la sua professione sia una salvifica missione per studenti derelitti (ma quali! nella ricca Brianza! In un Liceo classico?), c’è lo pseudo – intellettuale che ammanta di belle parole il suo “nulla eterno” e la fashion victim tutt’altro che “oca e ignorante” e poi ci sono loro, i veri professori, onesti e lavoratori… insomma un vero completo campionario!

internoliceoIo, docente di Liceo, punta sul vivo, che pure sono assai permalosa, mi sono  invece molto divertita; leggendo “Un liceo da suicidio” ho iniziato mentalmente  a giocare a quel gioco così famoso della mia infanzia ”Indovina chi”.

“Ma io, chi sarò, tra tutti questi? E i miei colleghi?”

Tale è la verosimiglianza, che, pur convinta che Martino Sgobba non abbia mai varcato le soglie del mio Istituto, sembra proprio che vi si sia direttamente ispirato!!!

Più sfumate, invece, sono le descrizioni dei personaggi degli studenti, che fanno da sfondo indistinto al racconto…e questo l’ho particolarmente apprezzato perché non amo i libri sulla scuola che, anche affettuosamente e in buona fede, ironizzano o deridono i ragazzi!

Vi è una sola parziale eccezione nel libro: l’ex alunno Tommaso, un giovane ultra-ripetente,  un apparente “scarto” del sistema scolastico pubblico, cortesemente indirizzato alle scuole private, ma che si rivelerà un dissimulatore, capace di manipolare docenti e preside. Anche il nostro ispettore rimarrà intrappolato nelle sue trame!

La narrazione, però, a mio giudizio, non riesce a mantenere il ritmo frizzante e la vivace inventiva per tutto il libro: il plot precipita velocemente su improbabili risvolti esistenziali dei docenti suicidi con torbidi coinvolgimenti di inaspettati personaggi.

Lo stile, invece, mi ha piacevolmente colpito: l’autore inventa un pastiche linguistico con un sapiente equilibrio tra la terminologia scolastica (“il didattichese”) e una lingua a tratti lirica, vivida che arditamente definirei “animata”.

Insomma una lettura divertente, anzi catartica per noi docenti!

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