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Spiegare perché si decide di leggere un libro non è mai semplice. Concorrono diverse circostanze, stati d’animo, coincidenze perché quel determinato libro finisca tra le mani o sotto gli occhi per essere scelto, contrariamente a gusti, precedenti letture, desiderata. Questione di istanti. Poi le pagine devono convincere a continuare insieme il viaggio. Ci sono libri che stentano alla partenza, altri che deludono alle prime pagine, e altri, i più rari e preziosi, che convincono con immediatezza e portano con loro.

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foto presa QUI

Per me tornare  nei luoghi significa sempre colmare qualcosa che è a metà tra la curiosità antropologica e lo studio, cercare di capire perché un luogo si è sviluppato in un certo modo e quale significato assume nel presente, ma cerco anche un rapporto profondamente corporale, raccontando ai modi del flâneur, non da esperto.

Con questa professione di intenti, Angelo Ferracuti mi conquista e rapisce in Addio (Chiarelettere), trascinandomi nel Sulcis, tra le miniere di carbone, con uno zaino pieno di libri, da sfogliare al momento opportuno con acribia e precisione di visione: Elio Vittorini, Sergio Atzeni, Dino Buzzati, fino a sconfinare nella letteratura islandese con Andri Snaer Magnason. Incontro che diventa una dichiarazione di poetica e una riflessione sul ruolo dello scrittore oggi, che si riaggancia all’esergo tratto da una citazione di Gore Vidal: noi scrittori siamo canarini.

fn38476Addio è un libro civile, che suona come un atto d’accusa contro un progetto industriale che ha dissipato e sperperato vite, finanziamenti, risorse naturali e voglia di futuro. Non mancano i dati e i tecnicismi in una narrazione che è un reportage dettagliato sulle condizioni dei minatori ieri e oggi, sulle industrie che hanno soppiantato le miniere, sulle ricadute economiche e la crisi ineluttabile dei nostri giorni, ma questi stessi sono rivisti alla luce di uno sguardo e attenzione da scrittore, che sa puntare la torcia sugli elementi, umani emotivi esistenziali, che rendono la storia dei minatori sardi un’epopea venata da un’inguaribile nostalgia.

Perché il minatore è uno in tutto il mondo, gli stessi problemi, le stesse rivendicazioni, quello dei minatori è un popolo

Un popolo di cui Ferracuti si fa cantore, con grande partecipazione emotiva, profonda conoscenza e precisione, ed empatia carica di emotività:

Il piazzale della miniera era deserto, il solito senso di desolazione e di passato che avevo provato tante volte di fronte agli edifici di un mondo lontanissimo, che pure c’è stato, con la sua epica straordinaria, ma che sembra ormai irraggiungibile. In fondo, il cancello sprangato dove iniziava il Pozzo Vittorio Emanuele e la galleria Villamarina, di fianco la scritta in bronzo: “I lavoratori Igea a perenne ricordo di coloro che nella miniera sacrificarono la vita”.

L’intimità e l’emotività che sostanzia la scrittura nulla toglie alla verità dell’indagine, alla chiarezza espositiva e alla volontà di far conoscere elementi sottaciuti o consapevolmente nascosti dalla classe politica e dirigente. Ma Ferracuti si dimostra un osservatore pieno e multiforme: dalle notazioni sull’edilizia che tanto raccontano del clima politico in cui furono costruite; agli interni delle case che descrive con pennellate fiamminghe e attenzione ai particolari che svelano; ai resoconti tecnici e specialistici, con la necessità e il desiderio di scoprire senza ombre; alle notazioni autobiografiche che segnano il passo della narrazione e ne rendono consapevole e lucido il disegno.

Ci ripenso mentre sono di nuovo in treno, lo sferragliare delle rotaie e il movimento del convoglio producono una situazione ideale per lasciarsi andare alle immaginazioni più diverse. Il tempo morto del viaggio è la residenza ideale, cioè quella di vivere in movimento, e anche quella che ti dà maggiore libertà: meno legami  e responsabilità limitate. Forse libri come questo sono anche la risposta corporale all’indolenza della fiction, al massaggio di tutte le postazioni tecnologiche nella vita virtuale di ognuno, che non permettono più l’esperienza, almeno nell’Occidente opulento, quindi l’avventura per chi scrive diventa un atto assolutamente necessario.

Infine ci sono gli incontri: Manlio Massole, Òlafur Pàll Sigurðsson, Andri Snaer Magnason, Hildur Rùna Hauksdòttir, la madre della cantante Bjork, l’entomologa Ilaria Negri, e ancora altri. Ferracuti sfodera un’arte sublime nel ritratto, in cui i particolari, le sfumature, le ombre concorrono a evidenziare l’indole e la passione e la fermezza.

iglesias-miniere-sardegna-sulcisAlla fine di questo lungo viaggio, a tratti aspro e scuro, stemperato da un’ironia intelligente, attraverso le cittadine minerarie del Sulcis, Fluminimaggiore, Buggerru, Piscinas, Ingurtosu, Montevecchio, Nebida, Masua, Sant’Antioco, fino in Islanda, si prova una sensazione simile a chi rivede la luce, dopo la permanenza nell’oscurità e nei meandri delle miniere, con la consapevolezza di essere cresciuti in conoscenze e sensibilità. Verso la guida, che Angelo Ferracuti è stato, si prova un’insolita confidenza, tanto che saremmo tentati di dargli del tu:

Questo avviene quasi sempre quando si condivide una storia, specie se è intrigante ma allo stesso tempo perturbante e tragica come questa.

Addio
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