Breve diario

Migrante, confine, frontiera: sono queste le parole chiave su cui ruota “Breve diario di frontiera” di Gazmend Kapllani (traduzione di Maurizio De Rosa, che come consuetudine nelle edizioni, eleganti accurate di infinita qualità, dell’editore Del Vecchio, firma anche una nota finale, dal titolo suggestivo: La scatola nera del traduttore).

Gazmend Kapllani  è figlio della dittatura albanese di Enver Hoxha, nel 1991 emigra in Grecia, con il fardello delle speranze suscitate dal mondo-oltre-i-confini.

Gazmend Kapllani
Gazmend Kapllani

Quella che ci racconta è apparentemente una storia lontana: l’emigrazione degli anni Novanta dai paesi comunisti nel luccicante Occidente. Di questo pezzo di storia, “Breve diario di frontiera” rimane una testimonianza accorata e lucida. I delatori, la chiusura al mondo esterno, la povertà, la frustrazione, il senso amaro della dittatura:

In un regime totalitario essere felici è un dovere e non una questione di scelta o di fortuna.

albanesi-brindisi

Nella motivazione che lo origina, però, “Breve diario di frontiera”, conserva tutta la carica di attualità e di urgenza:

perché prima di comprendere un migrante bisogna conoscerne la storia.

Kapllani ci racconta la sua storia, la sua fuga, il suo destino, ma all’interno di essi ricerca l’essenza del migrante, al di là di ogni nazionalità. La speranza di una nuova vita, frustrata dal “non essere stato invitato”. Il senso di estraneità che diventa più acuto, paradossalmente, a mano a mano in cui il migrante si integra nella comunità di arrivo. Perché è la somiglianza a fare più paura della diversità.

Uno straniero, mio caro, è ben accetto soltanto quando si accontenta del ruolo di ospite, mentre comincia a diventare scomodo e a fare paura quando si confonde con tutti quanti gli altri.

Due piani narrativi, quello del passato, in Albania durante e sul finire del regime comunista, raccontato in prima persona e arricchito da storie di seconda mano, soprattutto di chi non è riuscito a diventare un migrante ed è stato schiacciato dal regime, e quello della migrazione, in seconda persona. Una seconda persona che abbatte le frontiere, che include tutti e costringe con dolcezza il lettore a mettersi nei panni del migrante, a indossare il punto di vista di chi arriva, pur, e tanto più dolorosamente, dalla posizione privilegiata data da un “passaporto buono”. Perché è chiaro che più che ai migranti, questa storia è rivolta ai cittadini del mondo-oltre-i-confini, con l’invito appassionato e partecipato a guardare alla migrazione se non come una ricchezza, almeno come un’affermazione.

Tirana
Tirana

Non grida, Gazmend Kapllani, ed è la cifra più autentica del libro. Racconta la condizione di migrante, con tutta la carica esplosiva che innesta in chi la vive e in chi la ospita, con straordinaria pienezza. La partecipazione sentimentale palpabile nella narrazione, e che ne costituisce l’elemento romanzesco, si congiunge strettamente con una visione intellettuale chiara e distinta della condizione del migrante, dei paradossi e delle criticità che l’accompagnano.

Al di sotto c’è il desiderio, che mi piacerebbe non considerare utopia, che sia possibile e realizzabile un altro tipo di convivenza, in cui i confini e le frontiere non abbiano ragion d’essere. Un umanesimo, carico di ottimismo, che ci aiuti a comprendere che gli altri siamo noi e che in fin dei conti siamo tutti migranti su questa terra, con un passaporto provvisorio.

grecia-economiaI fatti recenti della Grecia, che è il mondo-oltre-i-confini in cui giunge il migrante del libro, con la crisi economica e il default, rendono ancora più vivido il messaggio di comunanza che promana da “Breve diario di frontiera”: noi e gli altri nella buona e nella cattiva sorte.

“Breve diario di frontiera” è un libro verso il quale si prova una gratitudine infinita, perché con chiarezza espositiva disarmante e un filo disperato di ironia riesce ad abbattere i muri degli stereotipi e dei pregiudizi; perché tratta l’appartenenza come una condizione dell’anima e non della geografia; perché riscatta il senso dell’umanità che troppo spesso perdiamo, confondendolo nella paura della folla; e infine e soprattutto perché, pur maneggiando una materia incandescente, riesce a portare alla luce temi, sensazioni, sentimenti, problemi e criticità, fino alla tragedia umana ed esistenziale, senza la necessità di sprigionare scintille che provochino fuochi e incendi.

Di questo abbiamo più che mai bisogno per capire: abbassare i toni e scegliere la colloquialità, la calma, la pazienza, non parlare alla pancia ma al cuore e al cervello. In quel “tu” così pressante e amorevole del libro c’è un invito, il più necessario. Spetta a noi coglierlo e raccoglierlo.

stele funeraria attica del V-IV sec. a.C.
stele funeraria attica del V-IV sec. a.C.

“Breve diario di frontiera”  è un libro politico, non perché si rivolga  alla classe dirigente, anzi le motivazioni politiche, sia della dittatura che dell’emigrazione sono accantonate per una visione e una interpretazione interamente umana e collettiva. È un libro politico nella sua piena istanza civile, nel senso etimologico più profondo ed ellenico di polis, da cui possa scaturire come nell’ellenismo l’idea di un cittadino del mondo, da cui è nato il senso profondo della nostra humanitas.

Breve diario di frontiera