Una storia quasi solo d'amore

A destare curiosità è il “quasi” del titolo, che è presa di distanza e poi diviene per il lettore attento aggancio alla tradizione letteraria più pura.

“Una storia quasi solo d’amore” di Paolo Di Paolo (Feltrinelli) è un racconto raffinato ed eminentemente letterario come solo un cultore di gran classe della Letteratura poteva condurre. Una voce narrante difficilissima, che è la grande felicità del romanzo, in cui è il come si racconta una semplice storia d’amore (ecco forse il senso del secondo avverbio pregnante del titolo: solo, nella sua accezione limitativa di semplice) a divenire punto centrale e focale della narrazione.

La voce narrante è quella di Grazia, un’attrice di teatro nella seconda metà della vita e della carriera, che per dare senso e anche sostentamento a una professione mai del tutto decollata, istituisce un corso di teatro. Tra gli allievi, Nino, poco più che ventenne, a cui per le insistenze della madre affiderà un corso di teatro per anziani. È così che Nino incontra Teresa, la nipote trentenne della maestra. Quella di Nino e Teresa è la storia d’amore, più meditata e dibattuta che non vissuta e narrata, di cui il romanzo si sostanzia. Oltre la storia d’amore, tra le pagine prende corpo uno dei temi più cari, a mio avviso, a Paolo Di Paolo: le differenze e le relazioni generazionali. Non solo facilmente intuibili ed espressamente dibattute nel rapporto, conflittuale e polemico, distante e diffidente, tra Nino e i suoi anziani allievi, di cui si sottolineano gli atteggiamenti più infantili e compromessi, ma ancora di più nella voce narrante, attraverso la quale vengono filtrate tutte le reazioni e gli eventi  raccontati. Un io che osserva in disparte, che  guida a distanza come un maestro, che commenta e interpreta quello che vede accadere.

“Una storia quasi solo d’amore” è un esperimento  consapevolmente e lucidamente letterario, in cui sono gli espedienti narrativi a sostanziare la narrazione: l’obliquità della voce narrante, che si rivolge a un voi, in cui spesso sentimentalmente e affettivamente si nasconde un tu, che è la nipote Teresa; il monologo che si trasforma in dialogo (la parte centrale del romanzo è, a mio avviso, la più felice), in cui Teresa e Nino prendono la scena, come a una prima teatrale, rispetto alla quale  tutto quello che precede e che segue si configurano come le prove seguendo le indicazioni della regista;  l’uso dei tempi verbali, con l’imperfetto e il condizionale a segnare il passo soggettivo della narrazione e a indicare una traccia del tempo del racconto svelata solo nel finale.

Eminentemente letterario anche il porsi in ascolto e a confronto con la grande tradizione letteraria, da una parte ponendosi sulla scia di Dante e Petrarca, in cui l’amore (quel “quasi” del titolo che torna a sostanziarsi) è un viaggio dell’intelletto prima ancora che del sentimento. Non a caso, “la dichiarazione d’amore” di Teresa a Nino è davanti alla statua del Bernini di Santa Teresa D’Avila, al suo rapimento mistico-teologico, come mistico-teologico è l’amore di Dante per Beatrice. Mi viene persino da pensare che come nella “Vita Nova” Dante decide di scrivere un prosimetro, così nel romanzo Paolo Di Paolo decide di intervallare monologo e dialogo. L’altro elemento di confronto letterario, sotteso al testo, è il teatro come forma di vita, come specchio dell’esistenza, come riflesso metaforico e analogico del senso del percorso esistenziale.

Ancora come in Dante, l’amore per Teresa, così come quello per Beatrice, rappresenta un percorso di formazione e di crescita. Nino da spavaldo e superficiale ragazzo qualunque deve confrontarsi, grazie a Teresa, con ciò che vuole essere, in un divenire, a tratti arzigogolato, certo complesso, ma ricco e pieno. Riflettere su temi che credeva estranei, primo tra tutti, il rapporto con la religione e il senso della spiritualità. Come Dante, Nino si è “smarrito” in senso moderno e contemporaneo. Come Dante, sarà grazie all’amore che potrà ritrovare se stesso.  Come nella “Vita Nova” si accennava a qualcosa da venire, così Paolo Di Paolo lascia i due amanti, e con loro il lettore, con una visione, concreta e reale, che può essere preludio o termine di quel “quasi” che dal titolo mi aveva spinta e incuriosita a leggere il romanzo. 

Una storia quasi solo d’amore