La vita – riprese Andre, – non è quella che tu hai deciso che sia. La vita è la vita e un’isola è un’isola.

Ma l’isola può divenire metafora della vita, e dell’amore, e della morte, e infine della crescita, soprattutto se è descritta con toni montaliani e poetici:

C’erano soltanto i grilli come dei fischietti lontani, la carta secca delle foglie delle palme che si agitavano l’una sull’altra e la risacca che sbriciolava tutto. Il cuore le andava da solo.

In “Tina” (Minimum fax) Alessio Torino lascia la provincia di Urbino (che rimane come orizzonte lontano di una quotidianità usurata dal tradimento) e si allontana nell’isola di Pantelleria, selvaggia esuberante pericolosa. Deriva di naufraghi della vita, consumati dal dolore o frustrati nei sentimenti, guardati con sospetto dalla gente del luogo, in particolare Pagliaro, marinaio e negoziante, pettegolo e malevolo.

Tina è una bambina, e nonostante il racconto in terza persona è attraverso il suo sguardo che filtriamo la comunità isolana. Guarda e cerca di capire il mondo intorno a lei, si avvicina alla diversa umanità dei gitanti, sfiora con ingenuità la nascente sessualità, sente la propria diversità e la confronta con la spudoratezza timida della gemella, Bea.

Però, mentre alla sorella intrecciavano fili colorati nei capelli, a lei la scambiavano per maschio e a nessuno importava quanto fosse crudele.

Tina cammina sugli scogli della vita, nei suoi otto anni che le permettono agilità e spavalderia, ma che cominciano a darle il sentore del pericolo e la necessità di impostare il corpo a superare le difficoltà del cammino.

Sapeva muoversi velocemente, usando come appoggio anche una mano sola. Abbassava il bacino quando rischiava di perdere l’equilibrio, tirava in dentro le dita nelle scarpe per aumentare l’aderenza della gomma.

Tina non sa bene cosa è e cosa vuole essere. Si riconosce nella definizione di Andre di pesce. Non si sente femmina, ma trova crudele essere scambiata per un maschio. Nell’estate sospesa ed elettrica  a Pantelleria, che per il maestrale si trasforma in una gabbia ricca di opportunità, cattura meduse, le lascia sciogliere al sole, ne percepisce l’odore di mare e marciume.

Le bambine sono sull’isola con la mamma, il papà è un fantasma lontano ma onnipresente nei loro pensieri e nei loro desideri:

La suoneria si attivò con una puntualità che era tutto tranne un segno di affetto.

Alessio Torino già in “Tetano” aveva dimostrato di saper indossare i panni degli adolescenti, di osservarli con partecipazione e di saper raccontare quanto possa essere dolorosa e tragicamente felice l’adolescenza. Lo ripete in “Tina”:

Se ci pensi, la felicità dei bambini è la cosa più crudele che esiste.

Salvarsi dal dolore non è semplice, né per gli adulti e tantomeno per i bambini. “Tina” è un romanzo felicemente crudele, metaforico, esistenziale. Nella concretezza delle immagini, nell’atmosfera perturbante dell’estate, l’adolescenza di Tina deflagra, non solo per quello che comprende, trattata da piccola adulta, ma soprattutto per quello che percepisce.

Charles, l’unico che l’ha subito riconosciuta al femminile mentre tutti gli altri la scambiano al primo incontro per maschio, con il suo spaventoso dolore per la perdita di Angela; Andre con i suoi modi di burbera schiettezza e un fare bonariamente losco; Stefano e Parì con lo strabordante erotismo del loro soggiorno sull’isola; e altre figure di contorno come il Decano o Yvonne riescono a far risaltare la carica dinamitarda dell’adolescenza, il ticchettio a orologeria proprio di un momento della vita in cui l’infanzia si sfilaccia e tutto acquista un senso incompreso ed equivoco.

Sullo sfondo l’isola e i suoi nomi pirateschi, l’Orca, l’Alta Marea, la Cala, che sprigionano un senso di avventura, e in effetti i personaggi che si muovono sull’isola altro non sono che una ciurma di vecchi e giovani pirati, segnati dalla vita, ora in modo effervescente ora in modo tragico.

La felicità di “Tina” è nel connubio strettissimo tra vita, morte e crescita, sospinti dalla forza prepotente dell’amore. Un romanzo implicito e metaforico, in cui il lettore è imbrigliato nelle reti sottili ma tenaci della scrittura, invischiato nel senso di incompiutezza che aleggia nelle vite dei personaggi, irretito dall’aspetto indomito della natura dell’isola, in cui bisogna stare attenti al proprio equilibrio, per non cadere nei precipizi e nei dirupi.

Ancora una volta Alessio Torino ci regala una figura di adolescente, Tina, sfiorata dalla perdita, distinta dalla diversità, in bilico tormentoso tra la vita di bambina e quella degli adulti, strattonata talvolta a entrare violentemente nel mondo dei grandi, in cui rischia di perdersi, ma da cui è affascinata e attratta. Lo sguardo fanciullesco sul sé e sul mondo degli adulti è carico di sottintesi, si rafforza nel non detto, si sostanzia di percezioni sensoriali. Nella chiarezza di un dettato sempre elegante e letterario, Alessio Torino dà corpo all’implicito, alla vaghezza, all’indefinito. “Tina” è un romanzo senza contorni, spazialmente infinito, quanto claustrofobico, in cui Torino conferma la grande versatilità e pienezza della scrittura, che non è mai artificiosa, pur essendo sorvegliata e colta.

Le meduse, che Tina fieramente cattura con il retino, sono la metafora piena della sua età: gioco e trastullo, trasparenza e bellezza, ma anche causa di bruciore e dolore, e tolte dal loro ambiente naturale destinate a liquefarsi con un pungente odore di mare e di putrefazione. Ogni immagine del romanzo può essere deformata in una metafora esistenziale, e in questa ricchezza di rimandi dal dato reale a quello universale, dal particolare al generale, dalle vite alla Vita, Alessio Torino dà corpo e voce al passaggio e alla crescita, che assomigliano spudoratamente a un bagno in una mare cristallino pieno di meduse, in cui bisogna avere il coraggio di tuffarsi:

Tina salì su uno scoglio per mettersi di vedetta. Si concentrò su un punto per non lasciarsi tradire dalla trasparenza. Subito una medusa viola entrò nel suo sguardo, si muoveva a scatti come quei mascheroni nel carnevale cinese. Poi un’altra, a una profondità incerta, e questa aveva delle venature gialle. […] Tina si tappò il naso e si lasciò cadere.

Tina