Una lettura “spaziale, “La collina” di Assaf Gavron (traduzione di Shira Katz, Giuntina), non solo in senso proprio, perché come si comprende sin dal titolo è lo spazio una delle componenti narrative di maggiore importanza: dal deserto a Tel Aviv e da questa a New York, passando per una serie infinita di luoghi piccoli, grandi, immensi, claustrofobici, prima fra tutti i caravan fondamentali per i coloni ebrei; ma anche in senso figurato, perché la scrittura di Gavron, con una miriade di intrecci, vicende e  personaggi, scenari sociali, politici, economici,  emozioni e sensazioni, ha del portentoso.

A tenere unita  l’infinità dei temi due elementi: i protagonisti principali, Gabi e Roni, due fratelli dal destino tragico, e l’ironia, modulata su una grande varietà di toni. Gavron apre scenari, scopre spiragli nel dietro le quinte, traccia rapporti e interconnessioni tra Washington e un remoto, sperduto, spaurito insediamento su una collina in mezzo al deserto. Disegna con arguzia la vita di un avamposto, con gli animi e le speranze, le illusioni e le delusioni, persino i tradimenti che gli infondono vita e calore.

Grazie all’ironia, Gavron tocca con leggerezza ed equilibrio nervi scoperti della politica israeliana: la sudditanza all’America, la colonizzazione, i rapporti con gli arabi, il terrorismo, i muri di separazione. Un’ironia dal respiro utopico, in cui nel caos emerge una movimentata speranza di solidarietà:

I soldati gli corsero dietro, ma i tre erano più veloci, due uomini e una donna, lei in copricapo arancione e gonna lunga, un uomo in kefia e pantaloni larghi, il terzo con una maglietta Lacoste e dei pantaloni eleganti. I fotografi della televisione saltellarono tra gli ulivi sui ciottoli e la terra; donne arabe strillarono, adolescenti religiosi imprecarono e pregarono il loro Padre nei cieli; coloni corrugarono la fronte e strinsero gli occhi e chiesero: “Ma che diavolo…”.

Il ritmo è incalzante, con un lingua vivace e scoppiettante, che sa zittirsi dinnanzi alla meraviglia del deserto, immalinconirsi dinnanzi alla fragilità umana, commuoversi dinnanzi ai sentimenti spontanei e solidali che uniscono i cuori, siano quelli dei due fratelli, a lungo separati e lontani, siano quelli di un uomo e una donna che si riscoprono ad amare dopo aver incenerito le vite precedenti.

Non tento neppure di tracciare i contorni della trama, perché infiniti sono i fili che si dovrebbero seguire, senza mai venirne a capo, al contrario di Gavron che riesce a tenere saldamente le redini di una narrazione, che come un cavallo imbizzarrito sorprende ed emoziona con le sue acrobazie, ma non riesce mai a sbalzare il fantino dalla sella.

Scrittore “spaziale”, Assaf Gavron , dal talento strabiliante!  

 

A questo libro è stato dedicato anche uno spazio nella nuova rubrica “A tavola con…”

La collina
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