Tommaso Pincio “Autoritratto con le spalle rivolte all’arte e alla fantascienza (incompiuto)” 2012, olio, matita e carboncino su tavola cm. 65 x 60
Tommaso Pincio “Autoritratto con le spalle rivolte all’arte e alla fantascienza (incompiuto)” 2012, olio, matita e carboncino su tavola cm. 65 x 60

Ci siamo incontrati in rete con Tommaso Pincio, in un social più aperto e meno claustrofobico di quello descritto in “Panorama” (NNEditore) e se nel Chiacchierando è ormai tradizione che si scelga un luogo reale, in cui si finga che sia avvenuto il dialogo, questa volta invece è la realtà a prendere il sopravvento, con tutta la sua aura di virtualità che è lo sfondo ideale per chiacchierare del nuovo romanzo dello scrittore.

“Panorama” può essere considerato un romanzo d’amore, dove però la storia d’amore “virtuale” tra Ottavio Tondi e Ligeia Tissot è solo una metafora, perfetta e letteraria, piena zeppa di riecheggiamenti, che sul finire ha l’andamento a sorpresa di un mistero da svelare (non poteva essere diversamente dato il forte richiamo a Poe, ma che proprio per la trasformazione in indagine mi ha ricordato la Ligheia di Tomasi di Lampedusa), metafora dicevo di un amore più travolgente e appassionato che è quello per i libri, anzi per la lettura.

Ottavio Tondi è un antieroe, depresso e sfigato, in cui ogni lettore, vero, può riconoscere il proprio eroe e trovarsi nell’inebriante definizione flaubertiana: Ottavio Tondi c’est moi. 

Qual era l’intenzione dello scrittore di “Panorama”: raccontare una storia d’amore moderna e attuale, nata e finita su un social claustrofobico come Panorama, oppure raccontare l’amore per i libri, tanto da renderli oggetto di appagamento erotico?

Ma Ottavio Tondi non ama solo Ligeia, ma anche Maddalena: c’è tra queste due figure femminili la volontà di una contrapposizione tra l’amore reale, difficile da riconoscere e doloroso nei suoi esiti, e l’amore virtuale, che si ammanta di idealità ma poi finisce per far soffrire alla stessa maniera di quello reale? Sono entrambe due storie d’amore mancate, in cui i libri hanno un ruolo importante, quasi a voler dire che, se si amano i libri, si finisce per soffrire nei rapporti sentimentali?

La tua prima domanda contiene in realtà più di un quesito e, tendendo io alla prolissità, al fine di evitare un lungo monologo preferisco concentrami sull’origine del libro, rimandando a dopo le altre questioni.

All’origine di ogni mio libro c’è una domanda oppure un senso di mancanza, un vuoto che vorrei colmare, una sparizione. Non che ci sia un gran differenza tra le due cose. Ogni domanda nasce dal bisogno di una risposta, il che  implica una forma, un’assenza, qualcosa che ci sfugge. Perfino il punto interrogativo, con quella sua linea che si alza torcendosi in un cerchio aperto, evoca uno spazio vuoto. In effetti, sarebbe più corretto da dire che ogni mio libro nasce dalla scoperta di una scomparsa. Nel caso di specie, una persona scomparsa dalla mia vita dopo quattro anni di alterna corrispondenza. Non credo di essere mai stato innamorato di questa persona, nondimeno la sua improvvisa sparizione mi ha lasciato con un vuoto inaspettato. Dico «inaspettato» perché non credevo che ne avrei sentito la mancanza. L’eventuale scomparsa di persone vicine genera di un dolore prevedibile, al quale siamo preparati e che cerchiamo di elaborare con la paura di perderle. Naturalmente quando una persona cara scompare davvero, il fatto di esserci preparati, di avere a volte pensato a quanto sarebbe stato tremendo non averle più con noi, lenisce poco o nulla il dolore e non lo rende più accettabile. Il dolore ha questa tremenda particolarità: lo si conosce soltanto quando lo si prova. Un po’ come la morte: tutti noi sappiamo che è un destino comune ma nessuno può parlarne per esperienza diretta. Ecco, volendo insistere su questa metafora, nel caso della mia Ligeia, potremmo dire che la morte è sopraggiunta quando ancora pensavo di essere immortale. Panorama ha preso forma da questo vuoto inaspettato e il personaggio di Ligeia è ispirato in tutto e per tutto alla persona con la quale corrispondevo. Il richiamo a Poe è sopraggiunto soltanto in un secondo momento quando si è presentata la necessità di trasformare la mia Ligeia nel personaggio di un romanzo, in una figura immaginaria. A ben guardare, poi, il richiamo è scaturito più dal personaggio di Panorama, Mario Esquilino, il quale si serve di Poe per la diffamazione postuma patita da quest’ultimo. Non è un fatto molto noto ma all’indomani della morte di Poe, un suo nemico scrisse sotto pseudonimo un necrologio denigratorio. Questa stessa persona si spacciò anche per suo esecutore testamentario, falsificò lettere e diede alle stampe un memoriale; il tutto per darne un’immagine spregevole. I motivi di tanto accanimento non sono del tutto chiari, ma è una storia che mi ha sempre dato da pensare e non soltanto perché buona parte dell’immagine di uomo oscuro e maledetto che ha fatto la fortuna di Poe si deve proprio a questo calunniatore. Non posso tuttavia negare che la qualità spettrale e ambigua delle donne di Poe abbia avuto una sua importanza nel mettere a fuoco il personaggio di Ligeia. Quand’ero ancora molto giovane lessi, raccolti in un unico volume e con traduzione a fronte, tre racconti di Poe centrati su un personaggio femminile più o meno inquietante, oltre che più o meno ultramondano. Parliamo dei racconti intitolati Berenice, Morella e ovviamente Ligeia. Ne restai impressionato, per non dire traumatizzato, anche se lo shock dal quale non mi sono mai davvero ripreso resta l’incontro con Nastàs’ja Filippovna, ma va detto che ebbi l’incoscienza di leggere L’idiota a soli dodici anni. Quanto alla Ligheia di Tomasi di Lampedusa che tu citi, a volere essere franchi, non ha mai occupato il mio orizzonte, sebbene vi siano alcune coincidenze di non poco conto, non ultimo il fatto che Lampedusa conosceva Torino (città in cui è ambientato quel racconto) per averci assolto il servizio di leva, esattamente come me. Ma se proprio dovessi indicare una fonte di ispirazione per Panorama, grande spazio hanno occupato nei miei pensieri le lettere di Kafka a Felice, che infatti cito diffusamente. Non citato è invece un libro di Roberto Bolaño, Chiamate telefoniche, sebbene abbia avuto anch’esso un grosso peso mentre cercavo di capire quale fosse il modo migliore per raccontare la storia che avevo in testa. Come ho detto però, tutti questi riferimenti letterari sono emersi successivamente. Il motivo scatenante è stata la scomparsa della mia Ligeia. Nel cominciare a scrivere Panorama, non avevo altra intenzione se non quella di gestire la mancanza di un fantasma. È pur vero che questa mia lunga premessa è in fin dei conti irrilevante per il lettore, il quale è chiamato a misurarsi effettivamente con una storia d’amore virtuale vissuta (o non vissuta) sotto il segno della passione per la lettura. 

 

La tendenza alla prolissità (che mai avrei riconosciuta allo scrittore di Panorama) e la felicità della condensazione che si riscontra nella tua risposta mi incuriosiscono e stuzzicano. In Panorama non c’è alcuna prolissità, ma al contrario una condensazione ben definita di ogni elemento letterario e narrativo, dove a “definito” attribuisco il significato di delimitare, arginare, con l’intento di conservare e la volontà di non disperdere. Panorama sarebbe potuto essere un romanzone di numerose pagine per la trama che proponi, al contrario è un romanzo di elegante agilità, ricchissimo e pregnante.

C’è questa cura alla condensazione nella tua scrittura o la prolissità riguarda solo Tommaso Pincio e non lo scrittore?

La prolissità è un’inclinazione, una tendenza della mia natura. Dipende inoltre dall’umore e dai contesti. È una prolissità intermittente cioè. Non di rado mi capita anche di essere una statua oppure spietatamente laconico. In ogni caso, per quel che mi riguarda, il punto non è tanto la condensazione. La sintesi è un obiettivo dei filosofi, non degli scrittori. Più della sintesi, mi interessa il non detto. Cerco di spiegarmi meglio. Quando disegno un quadrato, in cosa consiste realmente questo quadrato? Nelle quattro rette che ho disegnato o nello spazio vuoto che esse racchiudono? Credo di poter affermare con una  buona dose di certezza che il quadrato sia lo spazio vuoto, altrimenti a scuola non ci avrebbero fatto calcolare l’area. Le rette sono lì soltanto per permetterci di vederlo e valutarlo, ma in realtà sono astrazioni. Le parole funzionano alla stessa maniera di quelle linee, delimitano uno spazio affinché divenga percepibile alla nostra coscienza, ma lo spazio interno deve restare vuoto perché le parole devono restare al loro posto, e il loro posto non è quello delle cose. In Panorama c’è un immenso non detto. Si manifesta infatti come un prologo, l’introduzione a un mondo che al quale il lettore non ha accesso ma che può comunque intuire.

 

Nel merito di quello che racconti sulla genesi del libro. Panorama non è solo il racconto di UNA storia d’amore virtuale, ma di due storie d’amore, che in comune hanno l’esito doloroso dovuto a una scomparsa e la passione per i libri. Non c’è solo Ligeia, nel tuo romanzo, ma anche Maddalena. Se Ligeia nasce da un dato biografico, da cosa nasce invece Maddalena? E se l’esito sentimentale nelle due storie è lo stesso, vuol dire che ontologicamente per Tommaso Pincio l’amore è una scomparsa, oppure la duplice scomparsa delle donne amate è solo un accidente che riguarda la vita di Ottavio Tondi, come la volevi raccontare?

Nulla è davvero accidentale quando si racconta una storia. Maddalena nasce dalle necessità del romanzo. Ne avevo bisogno per ragioni  narrative e non ha legami rilevanti col mio mondo reale. Stranamente però alcune persone l’hanno pensata in modo diverso. Un mio amico, dopo aver letto il libro, mi ha mandato un messaggio per dirmi: «Non sapevo che avessi una storia con Melissa P». Un’altra mia amica, senza nemmeno chiedermi conferma, ha dato per scontato che Maddalena fosse lei. Naturalmente non ho una storia con Melissa né ho pensato di ritrarre l’altra mia amica. Ho soltanto usato il nome e i tratti fisici di una persona che conosco ma non frequento, e l’ho fatto per un’unica ragione: perché ho bisogno di vedere concretamente i personaggi. Scegliere una persona reale è la maniera più semplice e sicura perché il personaggio resti sempre a fuoco nei miei pensieri. Nel caso di Maddalena, poi, la concretezza era molto importante perché è il personaggio più sano della storia, quello più aderente alle cose, alla vita vera, nonché il solo capace di un sincera apertura all’altro. Tondi, Esquilino e Ligeia conducono un’esistenza interiore e distaccata, vivono e si alimentano della propria vanità. Nonostante il suo mestiere, pur offrendo un amore mercenario, Maddalena cerca di stabilire un contatto autentico. Capisce quale importanza abbiano i libri per Ottavio e si inventa una relazione erotica centrata sulla lettura. È un dono che fa Ottavio, si sforza di parlare la sua stessa lingua. Non so quale sia la tua impressione, ma io credo che Ottavio ci metta poco del suo. Accetta il dono passivamente, com’è nella sua natura. Sceglie la strada più facile: ha davanti una escort e la paga. Il pensiero di ricambiare quei gesti di affetto ed empatia non lo sfiora, se non quando ormai è troppo tardi. Fatico a vedere in tutto ciò una storia di amore. Diciamo che Maddalena gli ha offerto una possibilità e lui non ha saputo coglierla. Ma per venire al nocciolo della tua domanda, Maddalena è anche la sola a non scomparire. Scompare Esquilino, scompare Ligeia e scompare nel modo più definitivo anche Ottavio Tondi. Maddalena no. Esce dalla vita di Ottavio, anzi è Ottavio, con la sua incapacità di amare, che la costringe a uscire. 

 

Quello che io penso di Maddalena e Ottavio? per me è una vera storia d’amore, e il fatto di essere un rapporto meretricio non ne ha toccato la forza sentimentale, ma sottolineato come tu ben descrivi la passività di Ottavio Tondi, che mi è sembrata la sua cifra e felicità introspettiva. Ottavio è passivo, immobile, a tratti inamovibile. Però alla fine si ritrova ad amare, anche se è troppo tardi perché l’amore si trasformi in una relazione “classica”. Ma non è lo stesso anche con Ligeia? Perché forse tra le due è quella che ancora di più si allontana dalla definizione canonica di storia d’amore, mutuata e legata com’è alla sfera “virtuale” dei social network. Anche con Ligeia Ottavio è fermo, racconta di sé più che scoprire dell’altra, si innamora della sua immagine allo specchio, non si dona se non attraverso i libri. Non aveva fatto così anche con Maddalena? E non fa così anche con il pubblico delle sue letture? Non è questo il modo d’amare di Ottavio, imperfetto autoreferenziale letterario?

Verissimo, Ottavio Tondi è una figura statica, passiva, e questa sua natura rappresenta al contempo una forza e una debolezza. Le poche volte che tenta di mutare il corso delle cose, passando a un’azione più incisiva, gli esiti sono fallimentari. La sua storia finisce tragicamente non per passività bensì perché, in quello che è forse il suo unico scatto di furioso orgoglio, dà sfogo a quel che ha dentro. Quel fuoco covava da tempo però. Lo dimostra il mancato investimento di Loretta Buia e del direttore editoriale. Tendo quindi a vedere Ottavio come una figura irrisolta che non ha vissuto in totale serenità la sua scelta di vita passiva. In effetti, sappiamo assai poco di cosa si siano scritti Ottavio e Ligeia nei loro quattro anni di corrispondenza, e sappiamo ancora meno del modo in cui Ottavio intendeva quel rapporto. È comunque facile immaginare che molte cose siano andate represse. Del resto, è anche l’opinione che la voce narrante si è fatta di Ottavio e delle sue relazioni amorose. Non mi piace giudicare i miei personaggi, ma credo che Ottavio sia una di quelle persone che si decidono a volere realmente una cosa soltanto quando diventa irraggiungibile. È questo che pesa in negativo sul personaggio di Ottavio: l’essere passato direttamente dalle promesse della gioventù all’appassimento nostalgico di una vecchiaia in avvicinamento, senza mai conoscere quella fondamentale terra di mezzo che è la maturità.

 

Mi incuriosisce molto questa sfumatura che tu tracci tra scomparsa e uscita. Cos’altro è scomparire se non uscire dalla vita di qualcuno? e la vita di Ottavio Tondi non è contrassegnata dalle scomparse, includendo in esse anche la morte che è la scomparsa definitiva? e di fronte a ogni scomparsa significativa, soprattutto quelle femminili che segnano di più il protagonista che non quelle maschili, Ottavio Tondi deve in parte reinventarsi, ritrovare parti di sé, riscrivere il proprio destino, perdersi persino e perdere i libri e la lettura.

Visto che parli di morte in termini di scomparsa definitiva, mi tocca rivelarti che la mia ossessione per l’idea della sparizione nasce proprio da come unissi le due cose quand’ero bambino. «Il tal dei tali è scomparso» sentivo spesso dire alla radio o in televisione; qualche volta pure dagli adulti che mi erano intorno. Il senso era quello definitivo ovviamente, ma io prendevo la parola alla lettera. Pensavo che quando una persona scompariva in un incidente automobilistico si dileguasse dai rottami della sua auto per nascondersi in un luogo misterioso. Le cose che mi lasciavano interdette erano due. La prima era il gran numero di scomparsi, la seconda il fatto che nessuno dava l’impressione di volersi impegnare per cercare queste persone e io mi domandavo angosciato perché, anche se qualcosa mi diceva che fosse meglio non dare voce alla mia perplessità. Com’era naturale che fosse, in seguito ho capito qual era la realtà, nondimeno l’eventualità che una persona potesse sparire è restata in me, prendendo altre forme, trasferendosi al mio immaginario femminile e amoroso. E siccome siamo condannati a rivivere più volte il nostro destino, mi è anche capitato che una persona alla quale volevo molto bene sia sparita da un giorno all’altro dalla mia vita. Non entro nei dettagli perché si tratta di faccende personali, ma sto parlando di un grande amore, forse il più grande che ho conosciuto. Senza nessun preavviso, lei ha deciso di risolvere certi problemi sparendo, non facendosi più trovare. È stato un colpo dal quale non mi sono mai davvero ripreso, ed è con questo trauma che probabilmente si spiega il successivo turbamento per la sparizione della ragazza che ha ispirato Panorama. Ripeto, siamo condannati a rivivere il nostro destino. In Tondi, nel suo modo di essere e perfino nel suo nome, è espressa questa idea di circolarità.

Ancora una domanda legata alla tua risposta: mescoli personaggi reali e personaggi fittizi, dietro alcuni dei quali è facile, o sembra facile, rintracciare persone concrete. Che gioco è? o non è un gioco?

Non è un gioco. È il mio cervello, è come funziona la mia testa. Come molte persone solitarie, passo gran parte del tempo nei miei pensieri. Restandovi a lungo in compagnia di me stesso, fatalmente fantasia e realtà vengono a contatto e generano una dimensione ibrida. Per quanto, non parlerei neppure di fantasia e realtà, perché anche la fantasia e i fantasmi sono reali seppure a modo loro. Limitiamoci dunque a una distinzione tra un mondo interiore e uno esterno, ma comunque vogliamo chiamare queste entità, il loro mischiarsi è la dimensione nella quale trascorro la maggior parte della giornata e le sue logiche non possono non avere la meglio quando scrivo. C’è tuttavia un metodo nel modo in cui certi aspetti del mondo esteriore si impongono sul mondo interiore o viceversa; per esempio il fatto che il giornale per cui lavora Gnoli sia Il presente e non La repubblica. Può sembrare un capriccio ma è invece una questione di rapporti, di equilibri. A un certo punto, nella mia testa, La repubblica ha cominciato a stridere col contesto del romanzo, a diventare inverosimile rispetto alla storia che andavo costruendo. Detto ciò è possibile anche fare tanti bei discorsi sul rapporto tra realtà e finzione. Discorsi legittimi, per carità, ma del tutto secondari, dalla mia prospettiva.

Panorama è ricco non solo di riferimenti letterari, ma di critica ed esegesi, di grande fascino e non prive di una sottile vena polemica e provocatoria.

La letteratura questo è, pettegolezzo.

E ancora

Non era morta la letteratura, erano morti loro, i letterati.

Questa è l’illuminazione che colpisce Ottavio Tondi come una verità alla Poe: più in bella vista di una lettera in un posacarte. A svelargliela indirettamente la Buia, che tu citi.

Che rapporto ha Tommaso Pincio con l’idea di letteratura che in Panorama viene attribuita a Ottavio Tondi? e con la definizione di lettore che si riflette nel personaggio?

Ottavio Tondi era un lettore puro, non sfiorato da alcuna ambizione letteraria.

Oppure Tommaso Pincio si ritrova maggiormente nella missione poetica di Mario Esquilino che consiste nel discernere la voluta primaria nella vita di ciascun individuo dalla quale si modellano tutte le altre che sostanziano le singole esistenze?

 Posso sbagliarmi, ma mi sembra di intravedere nell’ordito narrativo un filo che collega Loretta Buia con il poeta Mario Esquilino. Sono due facce diverse della stessa medaglia oppure tra di loro la differenza è sostanziale? e cosa rappresentano nella vita di Ottavio Tondi?

Dovrei rifletterci su. A dire il vero, non ho mai pensato a Esquilino e Buia come a due manifestazioni diverse di uno stessa temperie. È però un’ipotesi interessante. Non so quanto esatta, ma interessante.  Li accomuna una certa spietatezza, questo sì, ma mentre in Buia emerge una spietatezza gelida, un riflesso dei tempi, Esquilino è spietato per vendetta. Dicono che non ci sia animale più pericoloso dell’animale ferito ed Esquilino questo è, un uomo ferito in ciò che ha di più caro e vitale, la poesia. È inoltre un uomo che scompare misteriosamente in Messico, in circostanza che possiamo presumere avventurose e sconsiderate. Di Buia sappiamo poco invece. Anche lei potrebbe odiare il mondo per via di qualche delusione, ma è un odio piccolo il suo, meschino ed effimero, come lo è il tempo in cui vive. Non me la immagino andare incontro a una bella morte. Al massimo può finire sotto un’automobile, ma gli viene risparmiato anche quello. Quanto al rapporto con Ottavio, direi che in Esquilino riconosce un suo simile malgrado lo disprezzi, e può anche darsi che in parte lo disprezzi proprio perché scorge il lui una somiglianza che non gli piace. Buia è invece per Ottavio la brutalità del nuovo tempo, un tempo rozzo che non sa più che farsene dei libri e li ridicoleggia. Pur detestandola, Ottavio giunge a provare per Buia quasi un senso di ammirazione. I suoi sentimenti  per lei sono molto più contrastati e complessi di quelli che prova per Esquilino. Il fatto che Loretta Buia sia una donna ha certamente un peso, ma c’è anche dell’altro. Per quanto deprecabile possa essere, Buia ha in sé qualcosa che a Ottavio manca, qualcosa che è all’origine del suo dolore, del suo fallimento come uomo. Se dicessimo che questo qualcosa è il contatto con realtà semplificheremmo forse troppo le cose ma non  sarebbe neppure sbagliato.

E infine come chiusa: cosa rappresenta la letteratura e la lettura per Tommaso Pincio?

Non si dovrebbe mai rispondere a domande di questo tipo. Diciamo che la letteratura, un po’ alla maniera della vita secondo John Lennon, è ciò che mi è capitato mentre ero impegnato a sognare altro. Contavo di diventare un pittore e mi sono ritrovato a scrivere. Dal fallimento del mio sogno di gioventù è scaturita una vocazione letteraria. Dovrei dunque dirti che per me la letteratura è il lascito di una sconfitta? Non so, in parte è così. Per il Pincio scrittore sarebbe il modo più onesto di porre la questione. C’è poi il Pincio lettore, ma è altra faccenda. Terrei cioè distinte letteratura e lettura. Per quanto intimamente connessi, sono mondi diversi.  

Io parafrasando Flaubert mi sento di affermare per tanti versi “Ottavio Tondi c’est moi” e Tommaso Pincio potrebbe dire lo stesso?

Anche in questo caso distinguerei. Non sono Ottavio Tondi, come non sono nessuno dei personaggi che ho creato negli anni. Non sono neanche il protagonista di Cinacittà, che pure vantava una biografia palesemente modellata sulla mia vita. Voglio bene ai miei personaggi, ma non sono loro. Credo sia più giusto pensarli in termini di uno specchio e l’immagine che vediamo riflessa in uno specchio può somigliarci moltissimo ma è altro da noi. Per cominciare è ribaltata rispetto alla realtà, ma su questo potremmo anche sorvolare. Il vero problema è che il riflesso restituisce un’immagine fatalmente in posa. Quando ci guardiamo in uno specchio difficilmente siamo naturali: assumiamo un tono, cerchiamo di migliorarci, a volte facciamo delle smorfie. Molte persone stentano a riconoscersi nelle foto proprio perché si sentono più somiglianti al riflesso ingannevole degli specchi. Ma come dicevo, bisogna distinguere. Che io non sia Ottavio non significa che non possa esserlo tu. L’empatia che il lettore stabilisce col personaggio di un romanzo o di un film è sentimento a parte, molto più puro di quelli che può provare un autore. Spesso il verbo rispecchiarsi è inteso come sinonimo di identificarsi, ma è un errore. Sono due processi di natura opposta. Il lettore può dire c’est moi, lo scrittore no, ed è proprio per questo che la lettura è una dimensione speciale, ai limiti del sacro, la sensazione che io stesso avverto fortissima quando leggo. Tutto ciò può far di me un Gregor Samsa, un Raskol’nikov e naturalmente una signora Bovary, ma non un Ottavio Tondi. C’è inoltre una ragione ancor più specifica che mi rende estraneo a Ottavio Tondi. Nelle intenzioni iniziali Panorama avrebbe dovuto essere un racconto sulla «mia» Ligeia e proprio perché il centro delle mie preoccupazioni era lei, decisi che non dovevo comparire e di affidare il ruolo di corrispondente a un personaggio inventato.  In un primo momento pensai che un buon modo per allontanare Ottavio Tondi fosse quello di farne un critico letterario, ma era una scelta che portava a sviluppi troppo scontanti. Volevo che Ottavio fosse qualcosa di più del mio contrario. Così ha preso forma la figura del lettore professionista, anzi del lettore puro. In fin dei conti parliamo di un mestiere impossibile, del più irrealizzabile dei sogni e dunque anche il più bello. Leggere per mestiere non si può. Leggere soltanto, voglio dire. La lettura o è un passatempo (e in questo caso non è mestiere perché nessuno ti paga) o implica attività collaterali quali lo studio, l’insegnamento, la scrittura di recensioni, cessando quindi di essere pura lettura. La lettura pura è una forma di beatitudine, una condizione simile alla santità ed è proprio in questi termini che ho inteso il personaggio di Tondi: l’incarnazione di un’impossibilità, una specie di santo fallito. E io non sono un santo, anche se posso sembrarlo.

Tommaso, sei stato eccezionale e ti ringrazio davvero tanto di queste illuminazioni che mi hai regalato su Panorama, sulla scrittura, e ancora di più sulla lettura e la santità. Ho notato che su fb hai ritrovato Ligeia Tissot!

Eccezionale è stata soltanto la mia lentezza. Ma io sono così, mi prendo tempo. Per quanto, sono diventato così. In gioventù facevo tutto di corsa, stavo sul pezzo. Ora il contrario. Forse è meglio, forse è peggio. Comunque sia sono io che ringrazio te, per la pazienza e per la sensibilità con cui ti sei avvicinata al mio mondo. Il piacere è stato mio.
Eh, ma ritrovarsi su Facebook così non vale.

Ma non ho perso le speranze. Sento che un giorno la ritroverò.

Chiacchierando con… Tommaso Pincio