Ci vediamo all’American bar del Grande Albergo di Potenza . Ti preparo io stesso un martini cocktail ben secco.

Gaetano passa dall’altra parte del bancone. Carica un boston di ghiaccio. Ci versa dentro del martini dry. Mescola con uno  stirer. Poi tappa il boston con un passino e  versa  il vermut… nel lavabo.

– ma come, lo butti?, gli chiedo.

Essì, il vermut deve solo lasciare il suo sentore sul ghiaccio. Adesso  verso sul ghiaccio

un buon gin – questo è il beefeater, si trova dappertutto ed è ottimo. Sennò  il tanqueray, il plymouth, il gordon, o i più aromatici bombay e monkey 47 – anche se io preferisco i gin secchi.  E adesso attenzione: con buona pace di sir Jan Fleming e del suo elegante 007, il martini cocktail si beve stirred non shaken. Mescolato non shakerato. Agitarlo rompe la molecola del gin, lo rende meno cristallino come invece deve essere. Il  fascinosissimo

William Powell non a caso diceva  un Dry Martini lo si deve mescolare solo, al tempo di un valzer! adesso, ecco una classica coppa da gin – quelle piccole. Va tenuta nel ghiaccio, prima. La  temperatura è essenziale in questa preparazione! Ci verso dentro il gin. Ci gratto la buccia di un limone biologico: ed ecco il meravilliouso Martini ben secco, il re dei cocktail.

Questo sarebbe stato l’invito di Gaetano Cappelli per chiacchierare del suo nuovo, spumeggiante romanzo “Scambi, equivoci eppiù torbidi inganni” (Marsilio, 2015) con tanto di sceneggiatura. I calici sono in alto per brindare al libro, alla scrittura, ai lettori dello scrittore potentino.

Per “Scambi, equivoci eppiù torbidi inganni”, per quegli strani sincretismi che sono uno dei tic da lettrice, mi è venuto da pensare a Federico De Roberto, che dalla Sicilia dei “Viceré” pensava di portare Consalvo a Roma, per indagare attraverso di lui dal di dentro l’ambiente politico romano. Niente di più diverso dalla tempra austera e accigliata del siciliano, lo sguardo sornione e scollacciato del lucano, però il disegno mi pare lo stesso. Abbandonare la terra natia  per portare altrove lo stesso metodo di analisi con cui hanno descritto la propria realtà mostrandone al lettore nevrosi, tic e costumi.

Ed ecco che in “Scambi, equivoci eppiù torbidi inganni” Gaetano Cappelli usa l’abituale scrittore, protagonista di tanti suoi romanzi con diverse identità,  per introdurci nell’ambiente della capitale e dei nostri tempi.

Neanche un briciolo di “lucanità ” ma lo stesso cinismo come chiave per rappresentare il nostro tempo, con quel piglio divertito e scandalistico che è diventata una chiave personale e caratteristica dello scrittore.

Da lucana di recente adozione, la prima domanda non può che partire di lì. Roma meglio della Basilicata? Ogni tanto è opportuno cambiare aria oppure quello che c’era da dire sui tuoi concittadini l’hai ormai detto? Oppure il cambio di prospettiva non è altro che un essere oltre, che ti ha sempre contraddistinto? Quando gli altri scrittori lucani vincevano premi con storie di briganti, tu scrivevi un romanzo giallo come “Floppy disk”, per poi tornare a raccontare la provincia come un tassello della nazione, senza folclore, e ora che tutti tornano alla provincia come rappresentazione ed emblema del tutto, tu te ne torni nella capitale?

Dici bene, per “Scambi, equivoci eppiù torbidi inganni” si tratta solo di un ritorno a Roma, dove il mio romanzo d’esordio era ambientato. Ma non solo quello. “Baci a colazione” (2010) per esempio, era stato addirittura scritto per  “Il Messaggero” come romanzo estivo a puntate, e prevedeva di conseguenza un’ambientazione tra Roma, Sabaudia e Saturnia. Tutto questo per dire che la mia fuoriuscita dai “confini patri” ha solo una motivazione: avevo in mente una storia e questa storia non poteva che essere ambientata a Roma, una Roma pre-Mafia Capitale,  popolata da personaggi che, per comodità potremmo dire alla Grande bellezza, ma che in realtà erano individuabili nell’Urbe ovviamente prima del capolavoro di Sorrentino; basta dare un’occhiata a  Dagospia!

“La grande bellezza”, anche a me era venuto in mente, ma più forte ancora nei tuoi romanzi mi sembra l’influsso della Commedia all’italiana che ha fatto grande il nostro cinema e che dietro il sollazzo nascondeva un’analisi impietosa dell’attualità.

Il torbido del titolo in questa torrida estate: il sesso è un ingrediente ormai connaturato alla tua narrazione. Mi è sembrato che in questo, più che negli altri romanzi, tu ne ricalcassi l’ossessione, la forza ricattatoria, il gioco delle parti. Il sesso nei tuoi libri non è mai solo pruriginoso, ma è sempre una lente deformata per osservare da una angolazione pruriginosa, ma non giudicante, le caratteristiche del nostro tempo, con i suoi equivoci ma più ancora con i suoi inganni.

L’erotismo, dunque, chiave privilegiata con cui analizzare la realtà o mezzo più consono per descrivere al lettore certi meccanismi attuali o ancora semplice gioco ed espediente narrativo? Forse un mix di tutti e tre questi elementi e altri diversi?

Massì, io penso, all’erotismo in tutt’ e tre gli aspetti che tu individui. Ma poi, soprattutto, c’è l’idea di avventura, di trasgressione dalla normalità che all’erotismo continua ad abbinarsi e che ne fa un vettore di storie e io, fondamentalmente racconto storie, dunque…

Un’altra caratteristica della tua scrittura è senza dubbio la lingua. Ho trovato particolarmente felice il modo in cui negli ultimi romanzi hai riprodotto i tic della lingua lucana, la percezione del suono, le fisime linguistiche, ricorrendo in modo innovativo al dialetto, intercalandolo all’italiano come di fatto avviene spesso, mescolandolo agli anglismi in salsa italese, rendendo la lingua uno specchio dei costumi. In “Scambi, equivoci eppiù torbidi inganni” mi sembra che si conservi questa attenzione alla lingua, ovviamente non più il lucano, non completamente il romanesco, per una lingua smiagolante, che è soprattutto gioco erotico, un linguaggio che attraverso la voce si fa corpo, scimmiottando un certo tipo di sensualità.

C’è cura e attenzione linguistica nei tuoi romanzi e di conseguenza in questo nuovo un suo utilizzo narrativo inventato per la trama, oppure è un gioco a cui ti abbandoni, senza ricercarne altri significati?

Direi che questo è un aspetto presente da sempre nei miei romanzi e che è andato via via accentuandosi. Senza voler arrivare a citare la petit music di Celine, posso però dichiarare il mio amore per la musicalità del parlato – una musica non facile da riprodurre. C’è il grande pericolo di stonare, svisando nella… sciatteria. Più che un dialetto preciso, i miei personaggi parlano una specie di pidgin meridionale, una lingua che è un ibrido degli slang delle tribù elettroniche – affettano accenti televisivi, web, modaioli. Essì, si divertono molto a parlarlo e io con loro.

Insieme alla lingua, sembra che ti diverti a complicare le trame, a intrecciare storie e personaggi, a creare scambi ed equivoci. Però la tua narrazione quanto più è complicata da strani intrecci del destino tanto più sembra affondare nella realtà, forse a tratti distorta dalla potenza dell’affabulazione, ma eppiù vicina all’attualità.

Dove trovi ispirazione per le tue storie nella vita vera o nella letteratura? Chi delle due ti sembra più intricata e intrigata? E nel caso specifico di “Scambi equivoci eppiù torbidi inganni” c’è della cronaca sottesa alla tua narrazione?

Nel termine stesso di “trama” c’è l’idea dell’intreccio, delle complicazioni, dell’arrivare attraverso tanti fili a un nodo finale. Naturalmente per tessere una trama c’è bisogno di una tecnica. Puoi far credere al lettore qualsiasi cosa se la conosci. Ecche poi di più gratificante della sospensione dell’incredulità? Te ne sarà grato come se potesse tornare a credere a babbo natale!  detto questo, io assorbo dalla realtà vivendo e scrivendo restituisco con gli interessi. In questo “Scambi, equivoci eppiù torbidi inganni”, c’è un generale che finisce nelle intercettazioni di un pm. Ho letto una notizia simile forse un mese fa. Come si dice? la fantasia che supera etc

Il protagonista del romanzo è uno scrittore che ha scritto un quasi capolavoro ed è alla ricerca dell’ispirazione per togliere quel quasi.

E tu, come scrittore, l’hai scritto il tuo capolavoro? Coincide con quello amato dai lettori?

Io amo raccontare storie di scrittori – trovo che col loro egocentrismo, il loro desiderio di gloria e  successo e le conseguenti crisi depressive da fallimento, siano  un comico irresistibile concentrato di umanità. Lorenzo Dalré è dunque solo l’ultimo, ma certo non ultimo, scrittore  a comparire in un mio romanzo. Lui ha scritto “Navi alla deriva”, un quasi capolavoro. Io,  pare, ne abbia pubblicato uno  senza il quasi: “Parenti lontani”… Essì, è sicuramente il mio più grande romanzo: capirai,  500 pagine!

In realtà, molti di quelli che a ogni mio libro mi dicono: eh però, “Parenti lontani”, dai,  era un’altra cosa, poi quello è l’unico che hanno letto!

Lorenzo Dalrè è tentato dal cinema, sfiora il successo per poi rimetterci le penne e i risparmi.

E Gaetano Cappelli? Mai tentato dal cinema? Quale suo titolo proporrebbe per una riduzione cinematografica e a quale regista lo affiderebbe?

Io tentato dal cinema? chi non lo sarebbe? Anche se, ti confesso cara Giuditta, che in passato ho rifiutato di lavorare come sceneggiatore. Ma il problema è che deve essere il cinema ad essere tentato dalle cose che scrivi. E certo di occasioni ne abbiamo avute… perdendole ahahah Battiato dice bene! tante opzioni sui miei libri. Dal  primo – Floppy disk – era addirittura già stata tratta una sceneggiatura: poi niente. Ma ai miei lettori che, a ogni mio libro, mi dicono: oh, ma questo è già un film! oh, ma dai, io mi già mi vedo questo o quell’altro attore. Io rispondo: ma non è più bello che te lo immagini solo, e mentre leggi te lo giri datté il tuo film personale, mio caro lettore, ma mia cara lettrice soprattutto, che poi, diciamocelo, il più delle volte i film tratti dai romanzi sono delle ciofeche autentiche.

E diciamolo pure!

Scrive sul “Corriere della sera”, “Il Messaggero”, “Panorama”, Facebook e Twitter – si legge nella biografia in quarta di copertina di “Scambi, equivoci eppiù torbidi inganni”.  I social network  aiutano a trovare ispirazione o sono solo una distrazione? Come li usi, da scrittore o da privato cittadino?

Mah, i social sono tutto quello che hai detto. Ogni tanto, mentre sto scrivendo mi prendo una pausa – è come scendere al bar sottocasa, ma più comodamente senza uscire da casa, a farsi un caffè e quattro chiacchiere con gli amici. Certo puoi trovarci anche roba interessante, che magari ti serve proprio a quello che stai scrivendo o che scriverai. Eppoi sono un test notevole per le cose che pubblichi.

Per concludere, Gaetano, ci diamo alle facezie, anche perché nei tuoi romanzi la vocazione al dilettevole e al divertimento è molto forte.

Hai una passione per le scarpe, o mi sbaglio?

Tu ti riferisci al piccolo corso di cirage, l’antica arte francese di politura delle scarpe presente in “Scambi, equivoci…” sissì, in questo sono molto femminile, se è vera come è vera la passione di voi donne per questo accessorio. In realtà, io amo tutto quello che abbia a che fare con la locomozione. Le macchine, per esempio.

E, naturalmente, il romanzo, che più d’ogni sfrecciante vettura, può portarti dappertutto senza  che tu ti sposti nemmeno di un millimetro… certo, lo confesso,  mi diverto assai anche sulla mia vecchia Leopard convertible!

Non ci resta, Gaetano, che augurare sulla vecchia Leopard convertible buon viaggio a te e ai tanti personaggi di  “Scambi, equivoci eppiù torbidi inganni”: lo scrittore Lorenzo Dalrè,  il padre Anacleto generale in pensione, il fratello missionario in Nigeria, Riccarda, l’avvocatessa Sandra Bonsanti, il di lei marito Filippo Torregrossa, e ancora altri e ancora, sulle strade dei loro destini intrecciati e incrociati.

Chiacchierando con… Gaetano Cappelli