Non ci resta che ridere, o perlomeno sorridere…sembra essere questa la vera “morale della favola” suggerita da Silvia Lombardo, nel suo agile e divertente La ballata dei precari. Guida di sopravvivenza per trentenni (Miraggi Edizioni, 2011).

Non un sorriso aperto, né una risata liberatoria, ma un’ultima spiaggia, un antidoto alla frustrazione e alla depressione, l’unica strada, quella dell’ironia, per quanto amara e spesso acida, da percorrere per la generazione dei trentenni con i loro passi incerti e instabili, i famigerati nati negli anni Settanta, che non possono neanche più rivolgersi a S. Giuseppe, patrono dei lavoratori, ma devono ricorrere per la loro condizione di disperati direttamente a S. Rita.

Lombardo ci avverte subito che non di una vera e propria guida si tratta, e infatti è piuttosto un quadro tra il divertito, l’amaro e lo stereotipato di una generazione in caduta libera (come suggerisce l’icastica copertina del libro). Lo sguardo è necessariamente quello femminile della scrittrice e questo forse priva il quadro d’insieme della universalità, per rivestirsi di genere. Un genere perfettamente delimitato e decifrato: trentenne, femmina, precaria, single, figlia e nipote. La situazione precaria che viene descritta non è solo quella professionale, ma anche sentimentale e affettiva che è l’obbligatorio corollario della prima.

In una prosa agile che per essere brillante, forse, tende troppo al parlato e al colloquiale, in una narrazione che si apre a brevi scene drammatizzate, in cui a tratti abbondano i clichè, secondo la moda delle sit-com americane, con uno sguardo diretto e partecipato, nella Ballata si mettono sulla pista tutti i meccanismi, i comportamenti, le idiosincrasie di una generazione allo sbando e in volo senza paracadute. Una generazione che, però, non ha voglia di piangersi addosso, che sa e vuole sfruttare le occasioni di realizzazione in un’ottica completamente diversa da quella dei genitori, che era volta al guadagno e alla stabilità. Elementi questi ultimi che per i trentenni non possono che essere “miraggi”, idoli di un’epoca irrimediabilmente passata (caustico il glossario in calce al volume, in cui si evince la differenza profonda tra il lessico dei padri e quello dei figli che è sostrato di una profonda divergenza sociologica). Eppure nel racconto della realizzazione del film, dell’incredulità per l’entusiastica adesione di tanti collaboratori gratuiti, nell’officina creativa di idee e di pensieri che ne è nata, nell’appoggio di chi come Geppi Cucciari il suo sogno lo ha realizzato, lì La ballata si fa guida, o almeno testimonianza di cosa nessuno può togliere a questa sfortunata e disgraziata generazione: la voglia di crederci, di esserci, di resistere!

La ballata dei precari. Guida di sopravvivenza per trentenni
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