Valeria Parrella                                                            Lettera di dimissioni

Per onestà intellettuale devo subito professare la mia istintiva simpatia per Valeria Parrella, una scrittrice e soprattutto una donna che sento vicina per una serie diversificata di elementi dagli studi alla maternità, dalla comune origine campana alla passione per il teatro, e che mi appassiona per le reazioni, così diverse dalle mie, dei suoi personaggi a sentimenti ed eventi. Se questo non mi fa essere completamente oggettiva e imparziale nella valutazione delle sue opere non lo so, ma come per Lo spazio bianco, trovo che Lettera di dimissioni (Einaudi 2011) sia un romanzo che con la leggerezza e felicità di penna lancia un grido di rabbia e frustrazione per la situazione generale, e in particolare culturale, di degrado e decadenza in cui versa l’Italia. Un libro che mi sembra nascere da una necessità storica di crisi e che da questa acquista una propria ineludibile urgenza.

Clelia cresce a Pompei, con lo sguardo sempre rivolto a Napoli e un accesso privilegiato al s.Carlo grazie allo zio Raffaele, rocambolesco ballerino del teatro. Da qui la passione per il mondo teatrale, poi il successo, il riconoscimento istituzionale del suo ruolo, la rovina finale esplicitata nel titolo. Quello che inacidisce del racconto della vita di Clelia è che la “lettera di dimissione” non è volontaria da parte della donna, disgustata ed esautorata dai suoi impegni di dirigente del Teatro Stabile Campano, ma piuttosto la volontà di certe politiche culturali tipicamente italiane, che di culturale non hanno né intenti né interessi.

Con il gusto per le storie familiari, Clelia viene tracciata prima di tutto attraverso le figure della famiglia, a partire dai nonni per arrivare a zii e genitori. Figure straordinarie di cui la Parrella riesce a indicare tratti caratteristici che li rendono emblema di una certa Italia e di un mondo trascorso di intendere la vita, i valori, e il proprio ruolo. Anche la città di Napoli che prepotentemente fa da sfondo alla vicenda, con i suoi innumerevoli problemi, vecchi e nuovi, pur nella sua peculiarità, diventa simbolo dell’Italia intera, di certe consuetudini e atteggiamenti, ormai scontati e disillusi che ne hanno sancito la rovina. La vis polemica, potente e chiara nel romanzo, viene sublimata e frenata dal tono intimistico e personale della vicenda. Una denuncia che appare tanto più acuta quanto più viene indagata nelle pieghe della storia di Clelia, nelle scelte non sempre coraggiose, nel suo farsi prendere la mano dagli agi e dai comfort della posizione acquisita, pur non perdendo mai la consapevolezza che il male minore non è il bene.

Mi aspettavo riscatto e dignità nella lettera di dimissioni, invece vi è frustrazione e rabbia contenuta, ma estrema e vivida esperienza di vita.

Le pagine più intense sono quelle dedicate al teatro: dall’audizione del piccolo Raffaele inesperto per il corpo di ballo del s. Carlo, alla genesi del primo lavoro teatrale di Clelia, le sue prime esperienze in un teatro malandato e indebitato di Napoli, la regia dell’opera lirica a Stoccolma, l’ingresso trionfale nel mondo teatrante partenopeo. Respiriamo la polvere, l’energia, l’entusiasmo degli inizi, il fascino della creazione, l’importanza della partecipazione e poi sfiancati assistiamo all’inconcludenza delle cariche istituzionali, al vuoto di iniziative, alla mancanza di fondi, a scelte necessarie ma superficialmente sofferte.

La Parrella ci conduce per mano in quello che è il suo mondo, di cui riesce a dare un quadro di grande vigore senza patetismi e piagnistei, dove il grido di denuncia è racchiuso nel mero svolgersi degli eventi.

Quello che mi ha affascinato di Lettera di dimissione è proprio il racconto coinvolgente di un personaggio, della sua famiglia, della sua città, della sua esperienza, che diventa però senza forzature la storia di tutti noi, il nostro presente imborghesimento. Il racconto preciso e puntuale, pur declinato nel particolare e circostanziale, di una generazione disillusa, abituata a vivere la decadenza dell’etica professionale e non solo, la velleità delle proprie energie, l’acquiescenza ai fatti, e a scegliere il “male minore” allontanandosi inesorabilmente e consapevolmente dal bene.

Lettera di dimissioni