Fa parte della storia dei nostri giornali, delle nostre università e dei programmi simil-culturali la presenza di ex-terroristi tra le loro file, a cui viene concessa la parola con sussiego e compiacenza.

Eppure gli anni di piombo sono una ferita ancora aperta in seno alla società civile, molte vittime aspettano ancora la verità sulla morte dei loro cari, si respira ancora un silenzio omertoso e carico di sottintesi.

A metà maggio del 2012 Lucia Annunziata ospitò nella trasmissione “In 1/2h” l’ex terrorista di Prima Linea, Sergio Segio, insieme con il deputato del Pd, Sabina Rossa, figlia del sindacalista ucciso dalle Brigate Rosse. Scoppia la polemica.

La pistola sotto il banco

Ecco, ti ho rivisto ancora una volta, dopo cinque anni, in questa apatica domenica di metà maggio 2012. Sono da sola nella mia piccola vecchia casa, e complice la telefonata di Candida: “L’Annunziata sulla terza rete”, dice veloce, “accendi, guarda!”. Accendo, e guardo.

Ti vedo seduto su un alto scranno, elegante, ben pettinato, un aspetto lontano anni luce da quello che avevi dietro il banco.

Ebbene, sei sempre tu: lucido, determinato, forte del tuo credo, del tuo impegno, delle tue passioni , ma anche del tuo passato.

Ancora tu, ciucco di anni di militanza e di esperienza mediatica.

La stessa fermezza di sempre in quel tuo “Se mi permette…” che suona quasi come un imperativo. E la solita lezione magistrale di magnetismo felino.

Tale da riuscire a far dire cose positive per te.

Il tuo carisma è sempre stato quello di un leader, e come tale ti vedo dietro quello schermo, dove con efficace manierismo condisci un’insalata poetica e sviolinante per ospite e interlocutore.

Dai consigli, impartisci lezioni a tutti, anche allo Stato.

Enrica Recalcati in La pistola sotto il banco. Lettera a un compagno di scuola ex terrorista (Miraggi, 2012)con voce chiara e immediata, sente il bisogno, quasi un doloroso pungolo, di scrivere una lettera, a tratti acre e mai compiacente, a Sergio Segio, suo compagno all’Istituto Commerciale “Enrico De Nicola” di Sesto San Giovanni. Uno sfogo fulminante, che parte da un rammarico, quello di non aver avuto il coraggio di denunciare e di parlare quando queste cose accadevano. L’ambiente che Recalcati ritrae è quello di una scuola di periferia, degradata e decadente, in cui si respirava compiacenza e consenso nei confronti di questo giovane leader.

Sergio Segio è indirettamente confrontato con il nonno e il padre della scrittrice, patriota e partigiano. Un confronto perdurante e ripetuto, esplicitato nella diversità di atteggiamenti e comportamenti e riflesso nell’insegnamento che possono vantare a figli e nipoti.

Il quadro della Recalcati è interamente privato, non si prefigge nessuna valutazione storica o politica. Una denuncia civile, che affonda le radici nel proprio vissuto che viene prepotentemente alla ribalta e che traccia anche le coordinate di un’altra strada possibile e auspicabile.

Recalcati, sulla base dei propri ricordi personali di Segio, non crede al suo pentimento, non ritiene che sia intimamente vissuto, dalle parole e dagli scritti dell’ex compagno di scuola riaffora ai suoi occhi la stessa persona di allora, senza sostanziali differenze.

Con il suo libro, sulle onde della testimonianza e del ricordo, Recalcati vuole anche sottolineare che c’erano anche gli altri, che forse non hanno fatto abbastanza, ma non sono rimasti invischiati nella violenza e nell’ideologia. Da loro bisogna ripartire.

I terroristi sono nati sui banchi di scuola, e ce lo meritiamo perché l’abbiamo voluto”.

L’ho letto in un articolo apparso in un quotidiano, e potrei dire che è vero.

Vorrei, però, fare una considerazione.

Quella degli anni Settanta non è stata “la peggio generazione”. C’erano sì fermento, dolore, instabilità, ma esistevano anche i valori.

I ragazzi non erano ancora viziati, non c’erano molti soldi e ci si divertiva anche con poco.

Si era più temprati, anche fisicamente, alla sofferenza e agli imprevisti. Si usavano sempre i mezzi pubblici, e spesso si andava a piedi. Si facevano chilometri per andare al cinema o a un qualche spettacolo e, all’occorrenza, si usava la bici.

Bastava uno con la chitarra e via, tutti intorno a cantare Battisti o De Andrè.

Le discoteche erano quasi delle balere, rispetto a quelle odierne, e si riusciva a dialogare sui divanetti.

Con un gruppo di amici andavo a teatro, senza usare la macchina, ma il metrò e le gambe. Vedevamo gli spettacoli del Piccolo, oppure i cabaret con Paolo Poli.

C’erano amore per la cultura, sensibilità per l’arte, altruismo.

Ecco, forse anche un altruismo un po’ perverso, l’idea che non si dovesse tradire nessuno, per nessuna ragione.

Libertà è partecipazione”, cantava Gaber – fu anche scelto come titolo di un tema di maturità.

L’abbiamo fatto nostro, questo motto, ma forse l’abbiamo interpretato in modo troppo restrittivo, o meglio non l’abbiamo capito abbastanza.

Ab uno disce omnes, da uno capisci come sono tutti, dice Virgilio.

Pace e amen.

Valutazioni semplici e immediate, che danno voce a quella “società civile” di cui Recalcati si sente parte, offesa e tradita da chi crede che alcuni vecchi compagni di scuola abbiamo ancora qualcosa da insegnarci, dopo la spirale di violenza in cui hanno trascinato un’intera generazione.

La pistola sotto il banco