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Sul campo di calcio, infatti, si è tutti uguali senza differenze. L’unica differenza la fa il modo di giocare. E chissà se il merito di tante prerogative future di Camus non sia da ricercare proprio nel personalissimo modo di intendere il gioco del calcio come metafora della vita. Il calcio come veicolo per il mondo, il calcio come gruppo e come comunità. Il calcio come selezione meritocratica e come rispetto delle regole. Il calcio come coerenza assoluta e come limpida onestà intellettuale. Il calcio come unità di misura della statura, dell’intelligenza, dell’estro, della fantasia, della solidarietà, della libertà, della lealtà e dell’arte. Arte come, e lo dirà egli stesso, capacità di trasformare il mondo.

Dalla citazione si evince chiaramente la tesi affascinante sottesa a Il portiere e lo straniero di Emanuele Santi(L’asino d’oro, 2013).

L’eclettico scrittore compie una ricognizione a tutto tondo sull’infanzia e l’adolescenza di Camus, soffermandosi sulla passione del filosofo per il calcio e la sua carriera, stroncata precocemente dalla tubercolosi, come portiere. Occasione, però, che si apre a mille diverse suggestioni. Racconto dell’Algeria, come terra ricca di contraddizioni sociali e esaminata nel periodo forse più tormentato della sua storia, pregna di culture diverse e affascinanti che trovano nel gioco del calcio il campo di azione per esplicare se stesse. Declinazione, attraverso le squadre e le società che rappresentano il calcio algerino, delle aspirazioni e velleità indipendentistiche arabe e dell’incoerenza dell’atteggiamento francese nella colonia. Squarcio attento e ricco di piccole, ma non insignificanti annotazioni sugli elementi biografici, legati all’infanzia, alla famiglia, agli studi e soprattutto alle occasioni formative del calcio, che hanno reso Camus quello che poi è diventato. Brevi ma incisive indicazioni storiche che inseriscono la vicenda dell’Algeria nella temperie dell’epoca in una visione non solo africana, ma più generale e mondiale.

Nella figura del portiere Santi rintraccia tracce importanti e fondamentali del Camus scrittore. Non casualmente nella sua ottica Camus sceglie il ruolo del numero uno, ma in questa scelta è implicito un modo di essere e di sentire che poi troverà piena esplicazione nelle pagine del capolavoro Lo straniero.

Il portiere è solo, lo scrittore è solo. La solitudine del portiere è quella condizione necessaria di chi vuole osservare il mondo da un altro punto di vista: da dietro, dal basso, dall’interno della mischia, da terra, dall’alto di un volo sotto la traversa, strisciando sui gomiti, protetto da un difensore, raggomitolato intorno alla palla, con la terra in bocca, dallo stesso punto di vista del nemico, dell’attaccante, con uno spazio da difendere, a mani nude, le stesse mani dello scrittore, quelle che dovrebbero rispondere agli impulsi del cervello e che, invece, il più delle volte vanno da sole, con la memoria dei movimenti e con l’istinto di sopravvivenza.

Santi conduce il lettore tra le vie bianche di Algeri, lo guida a casa del premio Nobel, percorre itinerari che gli erano soliti, visita luoghi che lo hanno visto liceale, lavoratore, adolescente, giocatore. Forse per una poco appassionata al calcio come me, certe sottigliezze sulla storia del gioco e dei giocatori possono sembrare superflue, ma servono nell’insieme a delineare lo sfondo e a ritrarre l’ambiente in cui Camus svolge il suo ruolo di gioco. Per poi giungere alle pagine finali, in cui Santi con indicazioni precise spiega in maniera convincente e dettagliata l’omaggio che nelle pagine di Lo straniero Camus tributa al calcio e alla sua esperienza di calciatore. Ed è lì che il libro raggiunge il suo acme e il suo splendore, abbagliante e luccicante come gli specchietti che il pubblico della squadra di casa usava per accecare il portiere ospite e come il riflesso drammatico della lama del coltello dell’arabo in Lo straniero.

Link dell’intervista di Emanuele Santi a Rai Letteratura

Il portiere e lo straniero