In Sardinia Blues di Flavio Soriga quello che conta e che cattura non è la trama o la lingua (sfilacciata, piena di anacoluti, con un uso della punteggiatura del tutto originale, con un lessico basico e povero, con la chiara, e in parte funzionale al racconto, intenzione di essere mimesi dell’oralità giovanile), quanto piuttosto il ritmo narrativo, il taglio jazzistico, il dondolio scanzonato e velato di malinconia che la lettura acquista da un inusitato miscuglio dei vari elementi. In sé la trama è semplice, la vita “balorda” di tre giovani sardi della provincia di Oristano che potrebbero essere delle menti brillanti della società, ma che il provincialismo e la noia e l’apatia costringe a vivere in modo limitato e senza ambizioni. Ma con questo non direi della poeticità e della malinconia che ognuno dei tre si porta dentro e che è meglio non svelare per non privare l’eventuale lettore del piacere di scoprirlo lentamente come lo scrittore ha immaginato che fosse. Una lettura che coinvolge e appassiona, leggera ironica demistificatoria parodistica paradossale, ma che al di sotto del sorriso nasconde uno strato amaro di malinconia e di serietà, un modo leggero per far riflettere su una certa condizione esistenziale, che pur nella sua drammaticità (sempre rifiutata nel corso del romanzo), è presentata con grande ironia e un tocco di leggerezza, che finisce per renderla commovente. Il finale l’ho interpretato come un omaggio ricoperto da parodia al cinema americano, il necessario corollario del tono scanzonato con cui il tema della malattia è trattato in tutto il romanzo, l’unica conclusione possibile per evitare il patetico e la commiserazione, banditi e contestati in tutto il racconto.

Pensando all’estate, è uno di quei libri leggeri ma non banali da portare con sé!

Al ritmo di Sardinia Blues
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