Passeggio sotto i portici di via Po a Torino, dove ci sono i banchetti dei libri usati e a metà prezzo, insieme a Giusi Marchetta, con “Lettori si cresce” (Einaudi, 2015) che spunta dalla borsa.

– È un posto simile a Port’alba a Napoli. – mi dice la scrittrice.

Sarebbe stato proprio il luogo perfetto per la bella chiacchierata che segue.

Difficile dare corpo alle parole per descrivere l’emozione legata alla lettura di “Lettori si cresce”. Tu hai questo modo, naturale immediato spontaneo, di raccontarti anche di fronte all’analisi di un problema spinoso, qual è diventata la promozione della lettura, e questo crea una fortissima empatia con il lettore. Tu scegli di trattare il problema partendo dalla tua esperienza di lettrice appassionata, di insegnante e di scrittrice e il ritrovarti nelle pagine del libro rende autentica e sincera la tua testimonianza, ma soprattutto predispone all’ascolto e alla condivisione. Da subito si percepisce che non cerchi di fornire risposte, né ti arroghi la soluzione e la panacea, ma invece ti interessa di fare un percorso con chi abbia a cuore il problema, lettori insegnanti librai bibliotecari genitori e tra tutti i ragazzi, in particolare gli studenti ma non solo. Attraverso Polito tu ti rivolgi ai tanti che non leggono, e a cui non importa sapere quello che si perdono. Affermi la tua parzialità di lettrice appassionata e insegnante, ma nel tuo sguardo c’è attenzione e cura per tutte le proposte che possano venire, da Polito in primis. È sua infatti la proposta a cui si deve una scena che sa di letteratura ma anche di canzoni in cui la Giusi Marchetta di oggi incontra la se stessa tra i banchi di scuola.

C’è un’immagine che mi ronza nella testa, forse prerogativa della nostra comune “meridionalità”: l’andare a braccetto. Se dovessi disegnare il passo di “Lettori si cresce”i tratti sarebbero proprio quelli di Giusi Marchetta che prende sottobraccio i lettori del libro (augurandosi che tra loro ci sia tanti non lettori!) per fare con loro un tratto di strada, di cui si conoscono a perfezione la meta e le difficoltà del cammino, ma per il resto è fondamentale il sapore della sorpresa e dell’essere uniti.

Ma andiamo per ordine.

Tutto è partito da una scelta. Tua madre ti porta davanti a una libreria e ti chiede, trattandoti da grande, di scegliere il libro che ti piace. A lettura ultimata tu scopri una verità fondamentale, a cui solo i lettori possono arrivare.

Si sceglie di essere lettore oppure si diventa?

Sono molto felice che il libro abbia avuto questo impatto su di te. Credo che molta dell’emozione a cui ti riferisci sia dovuta a un certo senso di fratellanza che accomuna i lettori, soprattutto quelli che lo sono da sempre. Nella mia esperienza è probabile che si rispecchino in mille esperienze di bambini che si nascondevano in cortile a leggere mentre gli altri giocavano a nascondino. È parte del nostro passato ed è parte di quello che siamo oggi, qualcosa che ci è caro. Non rinunceremmo alla lettura e ci ferisce che questa passione risulti così difficile da trasmettere. Quello che mi sono chiesta da insegnante e da lettrice è proprio questo: lettori si nasce? Io credo di sì, in molti casi. In altri invece c’è bisogno di un’educazione alla lettura. Qualcosa di difficile ma possibile. E che magari comincia proprio con l’accompagnare un bambino davanti a una libreria chiedendogli di scegliersi una storia.

Polito ti sventola sotto il naso uno degli articoli del Decalogo di Pennac: il verbo leggere non sopporta l’imperativo.

Ti confesso che da lettrice non sono entusiasta del decalogo, ma anche io l’ho usato con i miei allievi, che si dichiarano orgogliosamente non lettori, per provocarli o ironizzare, ma senza risultato.

Forse la differenza tra nascere o crescere lettori è tutta lì, nell’imperativo? Per i lettori nativi non esiste, mentre per i lettori da crescere è fondamentale?

Secondo te, Rosario è poi diventato un lettore?

Penso che ci sia una distinzione importante da fare tra lettura ed educazione alla lettura. Il decalogo di Pennac va probabilmente incontro ai bisogni di chi già legge. Il mio problema, però, è accompagnare Polito alla lettura. E Polito non legge. Mai. Non prova piacere nel farlo, quindi lo detesta. Inoltre non vede il motivo per cui dovrebbe farlo: i libri infatti non gli danno quello che riescono a dare al lettore che li capisce e li apprezza.

Ebbene, lui non lo vede questo motivo, ma io sì. Se sono la sua insegnante, se sono parte di una società che tiene davvero alla lettura come competenza per i suoi cittadini, io devo chiedergli di leggere. Siamo tutti convinti della necessità di imparare a contare: perché per la lettura dovrebbe essere diverso? Capisco che la ribellione alla richiesta dell’adulto sia connaturata all’adolescente. Capisco meno l’adulto che la condivide e anzi la supporta. Continuare a puntare unicamente sul piacere della lettura come mezzo per trasmetterla temo sia fallimentare. Si avranno sempre “ascoltatori” dei libri che leggiamo in classe, felici di sentirsi raccontare le storie, ma tutti questi Rosario non diventeranno lettori.

L’imperativo invece è parte dell’educazione alla lettura. È un patto che lega insegnante e alunno che scelgono insieme romanzi e racconti con una finalità: quella di crescere il lettore. Ed è un imperativo che ha molte declinazioni anche per il docente: scegli letture adatte, proponi libri coinvolgenti, leggi assieme agli alunni, leggi quello che leggono, non discriminare nessun genere, non dare nulla per scontato ecc. Il metodo con cui si propongono le letture a scuola deve essere vario: da quella collettiva, a quella libera, a quella proposta al singolo alunno o a gruppi. Dall’audio lettura, alla drammatizzazione.

Insomma, l’educazione alla lettura è una questione didattica: leggeranno se capiranno cosa c’è scritto nei libri e se ne sentiranno toccati. Cresceranno nelle letture solo se sono “sfidati” con libri che da soli non incontrerebbero.

L’ostilità a qualunque forma di proposta venga dalla scuola mi lascia sempre perplessa perché non considera mai quella percentuale di alunni (la maggioranza) che lasciati soli non leggerebbero mai nulla. Se il problema è trasformare Polito in un lettore, la risposta non può che essere un imperativo modulato come una richiesta ferma e ragionevole.

 

Sai, Giusi, la bellezza di “Lettori si cresce” è nell’aprire mondi. Come in questa tua risposta.

Ci sono dei libri che diventano indispensabili come l’aria che respiri, perché diversamente annasperesti nel tentativo di non affogare.

Per l’inizio di questo anno scolastico appena terminato mi sono fatta accompagnare da “La scuola non serve a niente” (Laterza, 2014) di Bajani, e ora sul finire dello stesso da “Lettori si cresce” (insieme a “Un’altra scuola” Ediesse di Giovanni Accardo). Non solo perché libri capaci di raccontare e indicare quello che vorrei essere come insegnante, ma anche perché hanno saputo tirare fuori da me quello che sono come insegnante, quella parte positiva ed entusiastica di cui a volte ci si dimentica e della quale, però, se ciascuno fosse consapevole, forse saremmo migliori di quello che siamo o crediamo di essere.

Parafrasando il titolo di Bajani: la lettura non serve a niente? oppure alla Polito: la lettura non serve a niente!

Polito direbbe che la lettura non serve a niente. Come dargli torto? In tre modi, direi. Il primo è fargli notare che leggere è una competenza. Chi sa comprendere quello che legge ha una carta da giocarsi in più rispetto a chi non lo sa fare. Questa competenza serve nella vita? Credo di sì. Quindi la lettura serve.

Il secondo modo è rendergli visibile il fatto che leggere di romanzi, racconti, saggi, cambia l’immaginario delle persone e lo arricchisce. Sfama la loro curiosità, le stimola. Serve a qualcosa? Forse no. Ma direi che è utile a tutte queste cose.

Infine, l’ultimo modo è mostrargli che la lettura a un livello alto non serve a raggiungere nessun obiettivo immediato. Non produce, non realizza. Però, a dirla con Houellebecq, “vivere senza leggere vuol dire accontentarsi della vita”. Vivere facendo solo ciò che è utile si può, ma forse c’è di meglio e Polito, che non l’ha mai provato, ancora non lo sa o non lo immagina.

 

In “Lettori si cresce” Giusi Marchetta sfida il tempo e torna nell’aula in cui una giovane se stessa nasconde dei libri sotto il banco che gli insegnanti non avrebbero mai accettato come letture scolastiche.

Cosa è rimasto di quella giovane lettrice nella scrittrice, ma anche nell’insegnante che è oggi Giusi Marchetta? C’è un rimprovero che l’alunna Giusi muoverebbe all’adulta che sei diventata, in tema di letture e libri? C’è qualcosa di te che quella che eri non avrebbe mai immaginato, soprattutto in termini di giudizio su libri che lei non approverebbe?

Direi che quella lettrice è cresciuta e cerca ancora libri che le diano quella scossa. Così nel tempo ho scovato delle storie indimenticabili e così ho maturato l’idea da insegnante che fosse il modo migliore per proporre la lettura ai ragazzi: facendogli assaggiare il fuoco delle storie che bruciano. Non credo avrebbe molto da rimproverarmi per quanto riguarda i libri, tranne forse di aver abbandonato l’horror e di trascurare la fantascienza. Le amava e ammetto di cercarne meno rispetto a prima. E forse mi rimprovererebbe anche perché leggo meno Palahniuk o Sedaris, quegli autori che ho sempre trovato divertenti ma che ultimamente cerco molto meno se ho un libro interessante e che giudico più significativo sul comodino. Penso che le dispiaccia aver perso la libertà assoluta di leggere senza alcun pensiero per lo stile dell’autore e senza farsi il problema di non aver letto ancora quel classico. O forse lo immagino io perché la conosco e so che è una che adora starsi addosso.

 

Lettori si cresce, certo. Ma i Lettori crescono? e crescere come lettori vuol dire affrancarsi dalle guide e dai maestri, oppure riconoscerli?

Quali sono stati i maestri di Giusi Marchetta? Chi deve ringraziare per la lettrice che è?

I lettori crescono, secondo me. Passano da Benni a Pennac, da Bukowski a Carver. Incontrano un autore e se ne innamorano, poi la chiamano “una fase” e non lo leggono più. Oppure semplicemente si spostano da un libro all’altro in modo da essere accompagnati in quel momento della loro vita.

Non c’è niente di male nell’avere una guida nelle proprie letture, anzi, io credo che col tempo i maestri si moltiplichino: riviste, librai, amici, altri scrittori diventano gli sponsor naturali di libri che vale la pena scoprire.

Nel mio caso credo che mio nonno e mia madre abbiano dato inizio a tutto con le fiabe e i primi libri e fumetti. Poi alle superiori con un compagno abbiamo iniziato a scambiarci i libri di Stephen King, a parlarne in continuazione: la lettura di intrattenimento e scoperta. Una cara amica mi ha insegnato che poteva esserci di più, facendomi conoscere Bukowski, Irvine Welsh e Nick Hornby e un’altra mi ha detto che se avessi letto I fratelli Karamazov non avrei mai più trovato un libro alla sua altezza. E infatti lo vedo sempre cercando.

Domanda extra per te!

Quali libri porterai con te in vacanza?

Uno imperdibile da consigliare a grandi e piccoli lettori e uno con cui speri di poter convincere un non-lettore a leggere sotto l’ombrellone. O più d’uno, fai tu.

Cara, porterò una marea di libri e il kindle!

Al Salone di quest’anno mi hanno consigliato “Forse Esther” e non vedo l’ora di cominciarlo (credo che non aspetterò nemmeno le vacanze) quindi rigiro il suggerimento sulla fiducia. Per i piccoli consiglio la mia ultima lettura assegnatami in quanto prof di dodicenni “Le nuvole per terra”, di Nadia Terranova. Divertente, interessante, ben scritto: va giù che è un piacere.

Dire “non lettore” è poco per consigliare un libro. Chi è questa persona? Che gusti ha? Che interessi? Un non lettore adulto che accetti di provare lo accompagnerei direttamente in libreria. Può fare un giro tra gli scaffali e cercare il libro giusto, mentre gliene faccio sfogliare tremila. Se è buono mi indirizzerà almeno verso un genere, così ci resta un po’ di tempo per il mare.

E ora tutti a mare con “Lettori si cresce”.

Chiacchierando con… Giusi Marchetta