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– Birra perfetta, amara e agrumata. Sigaretta della sera. Chiusa in cucina, la mia stanza.

In questo spazio tutto suo mi piace credere di aver incontrato Valeria Ancione, per chiacchierare del suo esordio nella narrativa.

Ho letto “La dittatura dell’inverno” (Mondadori, 2015) e ne sono rimasta profondamente colpita. La disamina che tu conduci sull’amore e sulle relazioni è complessa, meditata, piena di riflessioni, ma soprattutto coraggiosamente aperta e del tutto scevra da stereotipi.
Ti confesso che non tutto mi ha convinto, ci sono dei passaggi che mi hanno lasciato con qualche incertezza e perplessità, ed è anche su di essi che mi piacerebbe confrontarmi con te, perché le vicende di Eva non si possono archiviare nel giro di una lettura, fatta tutta di un fiato.

Mi sono ritrovata in Nina, come si possono ritrovare tutte le donne, madri e lavoratrici. Mai però mi sono innervosita come con lei, per alcune sue scelte, per le sue infinite incertezze, per la piega a tratti insensata della sua ricerca. Anche questo è un tratto della forte presa che la tua protagonista ha su chi legge. Diventa un’amica, una persona cara, a cui non si guarda con indifferenza e distanza. Mi sono innamorata di Michele, e poi di Eva, come lei. Non le perdono però le altre infedeltà. Perché? Cosa voleva ottenere?

Sembra quasi che tu voglia creare uno stridente, a tratti didattico, contrasto tra la passione che la lega a Eva e i rapporti squallidi che intrattiene con gli uomini. Mentre nella relazione con Eva parteggiamo per questo sentimento forte e sorprendente che le travolge, nell’accondiscendenza con il professore e con il direttore del giornale la sua frivolezza è urticante e forse non pienamente in linea con le caratteristiche del personaggio.

A quale esigenza narrativa risponde? A cosa serviva sprecare in tal modo la sua femminilità?

La dittatura dell'inverno

Quando ho pensato a Nina ho pensato a una donna che potesse assomigliare a tante donne che per impegni di lavoro e famiglia si distraggono da se stesse. E tante cose smettono di domandarsi e tante altre smettono di dire.
Nina si riscopre nel corteggiamento degli uomini che le ricordano di essere donna oltre che madre e moglie. Si sorprende di piacere.

Poi nelle sue “prove” ho pensato che anche una donna si potesse interessare a lei e che Nina ci giocasse come giocava con gli uomini. Civettando. Mi piaceva esplorare questo campo. E rendere normale, nel senso di naturale, una storia tra donne. Perché noi donne sappiamo amarci in modo speciale senza sconfinare per forza nel sesso. Forse siamo tutti sotto sotto omosessuali.

Inizialmente doveva essere un percorso di uscita dall’apnea delle maternità attraverso il corpo, la femminilità. Il sesso aveva un significato esplorativo. Scoprire di piacersi piacendo, diventando oggetto di desiderio a 40 anni quando si inizia a vedersi cadenti. Ecco perché gli uomini io non li definirei squallidi. Sono uno strumento piuttosto. Poi è successo che Nina si è innamorata di Eva. Che la loro storia era altro, molto di più di quello che avevo in mente io. Era tanto. La vera scoperta. Una nuova dimensione.

L’amore per Eva è totalizzante. Nina è nuda e senza difesa. Apprezzata e amata fuori dei ruoli.
Le ho guardate e loro mi hanno raccontato qualcosa che non avevo immaginato. Trovarsi senza stoffa, pelle a pelle, senza premeditazione, senza calcoli.  Ho raccontato vedendo quello che succedeva senza che potessi io decidere per loro.
Anche la fine, non ho potuto fare altro che raccogliere le loro immagini, lasciando da parte quello che avevo in mente per loro.
Potrei parlare all’infinito del trovarsi pancia a pancia, del desiderarsi e del negarsi per cercarsi ancora.
Gli uomini sono funzionali. Prima lo sono perché la gratificano. Nina si sente desiderata e ci gioca,  provoca.
Diventano sesso solo quando servono a Nina per dimenticare Eva, per riempire di nulla il vuoto che sente per la separazione brutale. Anche questo riempire il vuoto di nulla per controllare il dolore è una cosa che ho imparato da Nina.
Lei insabbia quella sofferenza svendendosi. Spettatrice si se stessa, si guarda da fuori, perché non si appartiene, è altro da sé.
L’effetto però non è quello sperato. Quel nulla è un contraltare che le fa desiderare ancora di più quell’amore fatto di una intimità profonda, irripetibile. Di una confidenza speciale.
Non risolve niente infatti. Si mortifica. È oggetto. E sminuisce tutto e tutti andando nella stessa giornata con uno e con l’altro. Nina rende tutti oggetto, non solo se stessa. E il vuoto cresce e diventa incolmabile.

Gli uomini sono strumento di sopravvivenza. Ma mai, dirà, “con nessuno dei due ho avuto un orgasmo”. E’ la sua tutela e insieme la difesa dell’amore per Eva e per Michele.  Ed è la linea di confine che stabilisce la diversità delle relazioni.

Studia le loro mosse sul suo corpo. E invece di “guarire”, il nulla la avvolge ancora di più.
Nina è distante da tutto. Soprattutto da se stessa
Non è, perché non vuole essere.
Pensa, non può piangere e disperarsi per l’amore perduto. Non può raccontarlo a nessuno. E deve essere sorridente e nascosta soprattutto per i figli. È sola col dolore e pensa di sfogarlo così. Facendo delle cose senza senso. Torna a essere quello che gli altri si aspettano che sia, non quello che vorrebbe essere. Perché vera come si è sentita vera con Eva è una condizione irripetibile. E la finzione ha il sopravvento.

Nina la ami nella sua fragilità e la odi perché fa una sacco di stupidaggini. La ami perché vorresti che fuggisse con Eva. E la odi quando dice tutto a Michele che lei considera la sua salvezza. E sbaglia ancora. La ami perché le sue riflessioni appartengono a tutte noi e perché nella sua follia la salva un briciolo di responsabilità verso i figli e la famiglia che non mette mai in discussione. E la odi perché si è spinta troppo oltre.
Ma Nina è investita da un uragano da cui pensa di potersi riparare con le sue certezze e la solidità della famiglia e un compagno che ama. L’amore come quello con Eva però non chiede permesso.  E come un uragano appunto la trova impreparata e indifesa.
Difficile negarsi all’amore in qualsiasi forma si presenti. Ma quello che ne esce è qualcosa che non riusciamo con sincerità a dirci. Nasciamo liberi e alla libertà tendiamo e la libertà reprimiamo.
Nina dirà che era un amore che non faceva male a nessuno e che il male sarebbe stato solo per loro. E aveva ragione. Non so Eva cosa fa e cosa pensa,  perché il romanzo è in prima persona, ma so che Nina al male aggiunge la punizione.

Concludo dicendo che Nina per non scappare con Eva (per quanto non ci sia una richiesta esplicita di questo tipo) scappa da se stessa e nella dittatura di un inverno fa tutto il proibito possibile.
Sceglie di fuggire per restare.

Nonostante il personaggio meraviglioso che è Michele tutti parteggiano per Nina ed Eva. E sicuramente anche io visto che la fine è aperta e può succedere di tutto. A ognuno la libertà del seguito…

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Quello che affascina della tua scrittura è senza dubbio la consapevolezza argomentativa, che si evidenzia anche dalla tua risposta. Il modo diretto e senza indugio con cui conduci la storia e i personaggi.

Parteggiare per Eva a svantaggio di Michele? Devo deluderti. Per me non è stato così. Ho sempre sperato che Nina rimanesse al suo posto e se ho sofferto durante la confessione al marito è solo perché mi sembrava eccessivo ed egoistico da parte sua sperare che il marito potesse aiutarla, supportarla o ancora di più decidere per lei. L’amore per Eva è totalizzante e per questo, a mio avviso, non duraturo. Tu lo descrivi con una freschezza e una passionalità che lo condannano ad essere un bellissimo fiore, destinato ad essere colto e quindi a morire.

Michele è un marito perfetto, un compagno pieno di comprensione e di attenzioni. Ha smesso certo di guardare la moglie. Ha cominciato a darla per scontata. Con cinque figli e tre librerie è facile da capire. Un uomo che mostra la propria fragilità, ma che poi sa fare perno sulla sua razionalità per trovare una via d’uscita all’impasse in cui la moglie lo ha ricacciato con la sua confessione. Forse non è del tutto credibile la sua reazione con Eva. Possibile che riesca a rimanere sulla scala mentre la moglie e l’amante si effondono in un saluto appassionato? Possibile che riesca a ricevere Eva a casa sua, pur sapendo cosa c’è stato?

Potrebbe mai esistere un uomo come Michele?

 

Nina non si è mai chiesta se l’amore con Eva fosse tanto perché impossibile, loro sono convinte di amarsi come non ameranno mai più. Ma questo non vuol dire che non saranno più capaci di amare. Infatti Eva si innamora di Francesca ma, come dirà, non vuole che le si chieda lo stesso amore né cerca quell’amore. Nina, invece, immagino che non le capiti più niente che la porti lontana da Michele. Eva è così giovane e ha una vita davanti… Nina è piena della sua vita e potrà accontentarsi di cercarla in una direzione che sarà la stessa di Eva. Io in realtà lo so cosa succede alle mie donne, ma il sequel è una cosa così scontata che è solo un’idea da chiacchiera appunto. Ma loro sono nella mia immaginazione e questo le rende vive.

Michele è una figura eccezionale. Ha svariate manchevolezze tipiche degli uomini. Ma non volevo raccontare una moglie lamentosa per una lavatrice non fatta o cose tipiche delle donne affaticate che condannano i loro mariti. Noi siamo tutte superdonne e i nostri uomini non tengono il passo, sai quante ne sento? E tutte uguali.

Michele ha il suo mondo ordinato come i libri in una libreria. Ha una grande sensibilità. Non è zerbino come qualcuno ha detto, anzi. Lui difende silenziosamente la sua libertà fatta di letture, di lavoro, di partite di pallone. E riconosce la stessa libertà alla moglie. Non invade. Non pretende. Nina gli piace per com’è. Ed è questo che fa pensare a Nina di potergli raccontare tutto, di poter essere capita solo da lui, perché come la conosce lui nessuno. Non vuole essere giudicata né perdonata. Vuole condividere con lui una cosa estrema, che sta al di fuori del loro matrimonio, della loro storia d’amore. Sono distratti entrambi, come molte coppie travolte dalla quotidianità, non dall’abitudine, ma dai figli che – vedrai – diventano sempre più faticosi da gestire quando crescono. E i genitori invecchiano e hanno sempre meno energie.

Gli dice di Eva per essere salvata da lui e dal loro amore. Ti confesso di aver pensato: se fosse successo a me, mio marito avrebbe capito? E mi sono detta di sì. Probabilmente mi sbaglio. E anche Nina si sbagliava. Ma non del tutto. E quello che lui fa a Natale, quello che le dice, ancora adesso se lo leggo mi commuove. No, Nina non doveva dirglielo, ma volevo disegnare un uomo eccezionale e Michele lo è stato. Forse con un atteggiamento paterno. Chissà che travaglio e quanto dolore. Però alla fine, quando non ha più paura di perderla, capisce anche lui che all’amore non si può chiudere la porta in faccia. E capisce anche che è un amore “diverso” e parallelo, con cui smette di competere. L’unica cosa saggia che può fare è far rivivere Eva e non come un fantasma. Aiutato anche da una certa saggezza sua e della ragazza stessa. Nina, alla fine, che forse si comporta come una bambina irresponsabile, ascolta bene Michele la notte di Natale e di lì inizia la sua risalita.

Le cose apparentemente più assurde fanno parte della realtà. Michele resta sulla scala perché non sa che fare. Non è tipo da scenate né è un violento. E sceglie di nascondersi. Poi infatti non vuole sapere quando Nina incontrerà Eva. E’ la paura di perderla forse che lo fa reagire così. Teme che qualsiasi imposizione gli porti via la sua donna. E la lascia ancora libera di essere.

Le sue cadute ce le ha. Ogni volta che tira fuori Eva costringe quasi Nina a fare l’amore per capire se è sua. Una volta quasi la violenta, perde la testa. Fa finta di non vedere, ma vede tutto quel vuoto di Nina che lo spaventa più di una sua vera fuga. E intanto fa le sue riflessioni. Aiutato da una certezza: Eva se n’è andata per sempre.

Quando si incontrano al pub, lui le fa strada, la accompagna addirittura, gliela rimette davanti in carne e ossa. La scena del pub mi emoziona, così come quando l’ho scritta. Ho visto tutto. E ho visto anche la faccia di Michele, che stavolta non sta sulla scala, non si nasconde, ed è felice anche nel vedere la sua Nina pietrificarsi. Ma in quell’attimo pazzesco, nessuno finge più. Nessuno si nasconde. Lui ha smesso di torturarsi chiedendosi cosa starà pensando Nina. Lo vede cosa pensa e cosa sente e questa sincerità rende grandi tutti e tre. In questa scena chi meno sa cosa fare è Eva.

Fa fatica Michele, per carità, ma accoglie Eva perché a quella ragazza vuole bene (ma si può volerle male? Io la adoro :-)) E perché in fin dei conti Nina è con lui, ha scelto lui e la famiglia, non per obbligo ma per amore. E questo amore Michele lo sente vero.

L’amore è egoista. Non è Nina egoista. O lo sono tutti. La sua vita non aveva bisogno di niente, ma la vita è lunga e la certezza che non ci siano deviazioni incontrollabili non le abbiamo. Di certo penso che ci sia un amore supremo, prioritario ed è quello per i figli. Nina quell’amore non lo mette mai in discussione ed è quell’amore il vero ostacolo a tutto il resto. E Michele fa parte di quell’amore perché quell’amore ha generato con lei…

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Quello che di Eva e Nina mi ha toccato profondamente è la ragione e il senso del loro amore. Nina ha una vita felice, soddisfatta, piena di cose e di pensieri. Non sente il vuoto. Mi pare che il vuoto si fa strada in lei perché ha visto il pieno di Eva. La sconvolge di Eva quel mondo così diverso che la donna le schiude e che Michele non può darle. Ma è vero anche l’inverso, che senza Michele lei sentirebbe una mancanza, un’amputazione.

Quello che tu stai dicendo a me e scrivi in “La dittatura dell’inverno” sull’amore ha una forza propositiva e fondativa straordinaria. Tu spieghi l’amore e cosa dovrebbe essere con chiarezza ma senza semplificazioni. La stessa storia di Nina non è semplice. Il suo sentire è contraddittorio, incerto, pieno di ripensamenti e di errori.

Non so se la sua confessione a Michele sia poi così sbagliata. Sì può vivere con un simile segreto? Certo Nina rivendica il suo segreto, e anche questa è un’importante annotazione sulle scelte di indipendenza che la donna cerca per sé.

Veniamo a lui, l’eroe che “salva” Nina imponendole un’indagine su se stessa attraverso la scrittura e la riflessione. Perché c’è anche questo nel tuo romanzo: la casualità di un incontro che ci riporta una persona del passato fondamentale per il nostro presente.

Quanto della luce che Nina riesce a fare dentro se stessa è opera dello scambio epistolare con lo psicologo Alessandro Profeta? La sua figura mi sembra sottolinei la necessità di un terzo, che ci costringa a guardare nelle nostre vite. Senza imporsi con le sue indicazioni. Nina, altro elemento che mi ha colpita, non trova nessuno con cui confidarsi. Di ognuno teme il giudizio o i consigli parziali per il legame che li caratterizza. Alessandro Profeta è lo psicologo o l’amico? O la fortuna è avere uno psicologo per amico?

 

Michele è il mondo di Nina e non è un mondo fittizio, non è costruito sulla finzione. E’ tutto vero. E lei in quel mondo ci sta bene, non lo rinnega. Il senza di lui non è previsto e non è mai pensato. Per questo è contraddittoria. Vuole Eva e la rifiuta continuamente. E se non pensasse di farle male se la vivrebbe senza patemi, finché dura. Vuole liberarla dall’inizio e vuole tornare alla sua normalità. Ma come si fa a chiudere la porta a un richiamo così forte? Eva rappresenta più di quello che ha. E’ un amore puro, bambino, fatto di sogni, di emozioni, di ritorno alla leggerezza dell’adolescenza. Si può a 40 anni impazzire così senza difese? Si può. E l’unica difesa è rifiutarla, cacciarla per poi tornare sempre da lei. La maltratta senza convinzione per poi amarla senza riserve.

Volevo raccontare l’amore tra donne, ma non un amore omosessuale. Un amore fatto di intesa, di feeling, di conoscenza. Di silenzi. Era necessario che una delle due però fosse gay. Perché io ho amori femminili grandi, importanti, duraturi che mai avrebbero potuto sconfinare nel sesso.

Non c’è niente di vero nella mia storia, tranne l’episodio dell’incipit, che deve essermi rimasto dentro da volerlo raccontare. Davvero una ragazza a un matrimonio mi ha detto in quel modo e davvero Massimo mi disse: è lesbica! Ma non mi ha allontanato… Mi aveva divertito molto quella cosa e anche gratificato. Ed è diventato l’inizio del mio romanzo.

Nina si costruisce un mondo parallelo e le fa bene. Perché è un carico di energia. Ama Eva perché è bella e perché è pura, spontanea, vera. E’ giovane e Nina invidia la sua libertà di decidere della sua vita, senza chiedere permesso a nessuno. Con lei si sente bambina. Ho imparato scrivendo che non invecchiamo mai finché siamo capaci di non far morire la possibilità di emozionarci ed entusiasmarci. E che non c’è niente di male se questo avviene fuori delle convenzioni.

Ho fatto un percorso anche io scrivendo. Mi sono fatta domande e data risposte plausibili. Chiunque può ritrovarsi. Ognuno di noi ha un amante, qualcosa o qualcuno che ti distragga dalla quotidianità, dalla fatica, dai pensieri pesanti. La mia amante è la scrittura. La vivo così a volte. Scrivo di nascosto, per non togliere spazio a nessuno. l’ho scritto in situazioni estreme. Alzandomi alle 4 del mattino, lavorando fino alle sette, poi la sveglia della famiglia, alle otto tutti fuori e io un’ora a letto a recuperare. Poi mi sono nascosta a casa di mia madre, senza telefono, senza distrazioni e di mattina, quando non toglievo niente ai figli. Il mio mondo a parte. Assorbita completamente dalla scrittura. Felice.

Ora ti faccio ridere: io dico sempre che Massimo mi ama, ma non potrò mai superare la Roma nel suo cuore. Ridi eh? Allora nella costruzione della storia mi sono domandata ma davvero esistono amori leciti e illeciti? Un amore è un amore, Tutti dovremmo poterci permettere un mondo a parte, anche se piccolo. E ho fatto che Nina avesse il suo. Il segreto è il suo mondo a parte. E non vuole lavarsi la coscienza, ma rendendolo pubblico, al marito, pensa di cancellarlo, di annullarlo e di poter tornare come prima. Lei crede…

Profeta, come avrai letto, è l’unico personaggio vero esistente del romanzo. Ho chiesto al mio amico psico di intervenire con la sua professionalità. Doveva dare risposte alle domande di Nina che potessero anche aiutare chi legge. Lui è stato e lo è tutt’ora, il mio grande motivatore. Uno psico non è un amico, ma quando smette di essere il tuo analista può diventare un amico. Nina sa di poter parlare con lui perché non giudica, ma le apre la mente. Profeta è sulla stessa lunghezza d’onda di Nina, o viceversa, le sue risposte sono una chiave che apre le porte a Nina affinché possa vedere oltre il “comune pensare”. Profeta ovvero Raso è una persona eccezionale, ed è proprio così come raccontato da Nina. E’ venuto con me alla presentazione a Messina e ha preso applausi a scena aperta. Parla e ti incanta. Gli devo tanto di quello che sono. Lui pensa che io sia un genio, e sicuramente esagera, ma se non mi avesse tampinato con un sms al giorno, costringendomi a scrivere, non ce l’avrei fatta. Pensa che il romanzo è iniziato al contrario. Per farlo stare calmo ho scritto prima le lettere… Così poi ho dovuto quasi riscriverle 😉 Ma ti confesso che ha del geniale la crescita del romanzo. Doveva essere ed è stato. La fortuna è trovare chi crede in te. Io sono stata fortunata a incontrare Raso. E sono felice di avergli dato questa “parte” nel romanzo.

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I figli. Nina e Michele hanno “esagerato” con cinque. Certo c’è di mezzo un parto gemellare. Insomma una famiglia bella e numerosa. Questo dato amplifica il senso di vuoto di Nina, che sembra quasi desiderare e temere una nuova gravidanza.

Anche sulla genitorialità tu hai mosso il quadro. Non solo perché Nina non è perfetta (per fortuna!) ma perché ogni figlio le richiede un’attenzione e una reazione differenti. Perché sono diverse le età dei ragazzi, ma anche e soprattutto perché sono diversi i figli, con i loro caratteri e le loro esigenze. Con Benedetta  Nina ha un rapporto conflittuale. Anche con lei dovrà aprire una porta, trovare la chiave giusta, risintonizzarsi. Mi è piaciuto questo tuo modo di raccontare con leggerezza, senza drammi ma con grande immediatezza le difficoltà di essere madre, lasciando nello stesso tempo spazio e spiragli sulle difficoltà di essere figli. Prima degli altri, di Nina stessa con il suo rapporto contrastante con la madre.

Eppure la madre, che sia Nina per Benedetta, o la madre per Nina stessa, rimane un supporto indiscutibile. Quella che ti scruta dentro e sa decifrarti senza bisogno di parole e spiegazioni. Quella a cui puoi chiedere un aiuto e che non ti tradirà.

C’è in parte un conflitto latente tra le figure di madre e amante? Anche la scelta di una famiglia così numerosa serviva narrativamente a creare un contrasto o a evidenziare “rivoluzionariamente” che per una donna moderna e consapevole la passione è più forte della maternità?

 

Nina ha esagerato, ma l’ultima gravidanza è stata un errore. Capita. I gemelli, un colpo di grazia. Nina spiega come sono arrivati i figli. Guido quando lei era molto giovane. Benedetta quasi per sbaglio, molto vicina a Guido, troppo per una coppia giovane che lavora e sta mettendo su le librerie. Alice è quella davvero cercata, quella della maturità, della calma, del godimento, della consapevolezza. Infatti con Alice ha un rapporto speciale. I due piccoli crescono praticamente da soli. Come molti gemelli, o fratelli vicini, si bastano. Cinque relazioni differenti. Guido è fisicamente un uomo, è protettivo, anche se è ancora bambino. Con Nina si capiscano e si parlano con gli occhi. A lei piace da morire il suo ragazzo, lo dice ripetutamente. E’ un aiuto, come spesso accade nelle famiglie con tanti figli, dove i fratelli grandi si occupano dei piccoli. Con Benedetta ho “vissuto” il conflitto madre-figlia: anche questo è venuto scrivendo. E anche questo è stato oggetto di riflessione, supportata dallo psicologo. E’ un conflitto normale, vista l’età della ragazza, forse c’è quello che mi aspetto che succederà con mia figlia. Dove Nina però è anche molto tenuta, si controlla, perché si ricorda come era e dei conflitti che ancora ha con la madre. Nina riconosce alla figlia, che cambia dall’oggi al domani, la libertà di ribellarsi. Interviene con comandi e divieti solo quando è estremamente necessario (l’ora di rientro la sera, il motorino sotto la pioggia). Per Benedetta gli attacchi alla madre non sono dettati  solo dalla crescita, ma anche dalla gelosia. Gelosia che si risolve in un siparietto leggero e senza bisogno di spiegazioni. Alice è un orsetto pulitore, raccoglie le briciole che gli altri seminano per non fare arrabbiare e faticare la mamma. E’ l’artista, a volte malinconica, molto mamma dipendente. Madre e figlia hanno un rapporto fisico, quello che manca con Benedetta che di questo forse soffre. I piccoli a sei anni sono solo un elemento disturbatore, capricci, rumore, disordine, operazioni di messa a letto… fatiche fisiche che a 40 anni sai bene cosa significhino.

Ma Nina è anche figlia. La madre è stupenda e sorprendente, ma pure pesantissima. La giudica continuamente, la critica sempre, non la fa mai sentire a posto, anzi non l’ha mai fatta sentire adeguata, però è la sua complice. Non amica, complice. . Questo riporta al concetto dell’illibatezza, di corpo e anima, delle madri. Una madre non ha pensieri, desideri, distrazioni ecc ecc… Non è così però. La madre spinge Nina a essere, a viversi tutto, senza perdere però la ragione. La capisce. E senza bisogno di dire nulla la invita poi a tornare anche in sé. C’è condivisione. La stessa di Nina con Benedetta, quando questa si innamora. Nina sa cosa vuol dire e vede in Benedetta se stessa, non com’era ma  come ancora è possibile che sia, anche a 40 anni. Certe reazioni, certe pazzie non hanno età.

Madre e amante in conflitto? Direi che Nina lo risolve. Lei è, oltre che madre, un essere umano, e rivendica la sua possibilità di essere altro. Ecco, il concetto di senso di colpa Nina lo elimina. E’ un suggerimento a tutte le donne che diventano madri. Ci si annulla per i figli, ma quanto può durare questo annullamento? Dura finché non succede qualcosa che mette in primo piano la donna come donna, il desiderio di gioire di altro e non soltanto dei figli. Spesso per i genitori i figli diventano trofei. Da esporre, da raccontare continuamente. E loro? Le madri? Smettono di esistere nell’esistenza dei figli? Non è così. Perché proprio come i figli hanno la loro vita, le loro amicizie, i loro segreti, anche Nina rivendica un angolo suo, solo suo. Il condominio estraneo alla sua quotidianità, la spoglia dei ruoli e la fa vivere solo di sé, nuda. Nessun conflitto, piuttosto una rivendicazione dei propri sentimenti, delle proprie emozioni.

Però quello che emerge, come dici tu, è che la madre c’è sempre. E alla fine, sbandamenti a parte, i figli per Nina sono la priorità, anche se si distrae da loro è sempre pronta a rimettersi in piedi e fuggire dal nascondiglio e rispondere presente alla domanda-macigno: ma dove sei?

Una famiglia numerosa mi piaceva da morire. Quando, diventati cinque, la prima volta che siamo saliti in macchina mi sono girata e ho visto tutti i posti occupati, ho pensato che era bellissimo. Una volta da ragazza sono andata a pranzo a casa di un’amica. Erano sette figli, un caos, palline di mollica che volavano, vociare, accuse, botte sotto al tavolo. Rimasi impressionata e affascinata e ho sognato di avere una famiglia così rumorosa. Saprai bene che anche tre fanno un sacco di rumore e noi genitori, già di tre figli, non facciamo che governare il traffico. Almeno ci proviamo.

Nina ama, questo è il commento finale. Ama tutto quello che ha, che ha fatto. Quella è la vita che vuole e infatti non la cambia. Ma Eva arricchisce la sua esistenza.

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Veniamo all’ultima domanda.

Qual è il trucco di Valeria Ancione per superare “La dittatura dell’inverno”?

 

Certi inverni non finiscono mai. Come questo. Sarà colpa di un meteo assurdo. La dittatura dell’inverno è un tunnel, nel quale entro a settembre, di solito con tanti buoni propositi della fine dell’estate. All’inizio penso di poter pianificare tutto, farò, dirò, organizzerò… Poi quel tunnel diventa un frullatore e le cose scappano di mano e tutti i buoni propositi vanno a farsi benedire. Nel frattempo l’inverno si conclama prima nel buio, le giornate che si accorciano mi tolgono il respiro, poi negli impegni familiari, nelle corse appresso alla organizzazione dei figli, alle doppie mangiate, pranzo e cena, alle sveglie col grigio e il freddo, alle colazioni a turno e io sempre seduta ad aspettare il prossimo figlio che arriva assonnato a tavola. Mi copro e non basta mai. Scruto il cielo e anche se piove a Roma tra il motorino e la macchina vince sempre il primo. E allora uno strato e poi un altro e una borsa a parte con dentro un cardigan, una sciarpa in più, perché al giornale la temperatura se per me è buona non lo è mai per il collega che accende l’aria condizionata. Il freddo entra nelle ossa. Quando esco dal lavoro sono passate le dieci di sera. Mi insacco in ogni copertura possibile, ma il freddo che mi investe quando si apre la porta automatica mi fa dire che non ce la posso fare. Impedita nei movimenti e nella vista, chiuderei gli occhi per farmi trasportare senza vedere e senza sentire e penso ma quando finisce? I mesi sono una scala e a gennaio è ancora tutta da salire. Arrivo a casa e non è finita, bisogna convincerli a spegnere i telefonini e andare a letto, un lavoro anche questo che non finisce mai.

Attraverso la dittatura dell’inverno come una imposizione, ma rigorosamente in gonna e scarpa alta, pochi pantaloni, non gliela do vinta. Mi dicono, ma come fai in motorino in gonna, non senti freddo? Lo sento, ma lo sentirei comunque. Faccio quello che devo rispettando le regole, per non essere scoperta rivoluzionaria. Mi ribellerei ogni giorno oziando ma anche questo è il limite di noi donne, sappiamo stare senza fare niente? No. Non mi faccio domande e aspetto la fine. Vivo i mesi invernali solo come qualcosa che prima o poi devono passare e dopo verrà il sole.

I miei inverni sono fatti di passeggiate o corsette. Ho smesso di giocare a basket e andare in piscina perché era diventata una beneficenza alla palestra, non ci andavo mai. Vado a camminare, mi piace. Sola e qualche volta in compagnia di amiche. Aspetto la sera per entrare nel mio momento, quello fatto di nulla, dove nessuno ti chiede niente, dove il silenzio e la solitudine hanno un significato quasi mistico.

In questi ultimi anni ho scritto ed è stata questa la mia cospirazione. Ho scritto il primo e il secondo romanzo e sono stati la mia fuga e la mia risorsa di energia.

Quest’anno niente. Occupata dal lancio del libro non ho scritto né rimesso mani al secondo romanzo. Mi riprometto di farlo presto per darlo alla casa editrice. E’ pronto da mesi. La giuria eletta lo ha già visionato e approvato. Devo ripulirlo. Mi chiama come una setta massonica, come un amante. Ma non ce la faccio proprio. Sono stanchissima e soprattutto concentrata sul primo che deve metter su muscoli per andare avanti da solo. Purtroppo nella selva editoriale è difficile camminare da soli, ci si perde o si è perduti. Se mi mettessi a lavorare sul secondo mi sembrerebbe di distrarmi dal primo: come allatti ancora il primo e già hai in braccio il secondo? Figli. Questi romanzi sono come  figli.

L’unica cosa positiva è che nessun inverno si ripete uguale a quello precedente. Sarà perché cambio io. Sarà perché cambiano le cose e le persone intorno a me. Solo le corse infinite e il tempo che non basta mai non cambiano.

Ogni dittatura dell’inverno la vivo aspettandone il termine e cercando di fare almeno una cosa mia. Nei mesi invernali è sbagliato lasciarsi andare alla corrente. Non fermarsi mai e dire che non c’è tempo per le proprie cose. Tutti intorno trovano il tempo per se stessi. E questo è il trucco. Il mondo cammina anche se ti fermi tu, un attimo, tralasciando i doveri e facendo anche una piccola cosa per te. Una carezza. La birra serale e la sigaretta sono la mia carezza.

Tutte le donne dovrebbero impegnarsi a chiudere gli occhi sulle lavatrici, sulla polvere, sul frigo che si svuota e farsi una carezza. Dirsi ogni giorno, cosa faccio oggi per me? Un angolo di sé che duri un minuto o tre ore non cambia, purché sia.

Nella pesantezza del tutto, cerco leggerezza nelle piccole cose. Per sorprendermi ogni anno allo stesso modo del cielo che schiarisce, le giornate che si allungano e la certezza che un’altra dittatura dell’inverno stia passando, senza pensare mai che un’altra verrà.

 

Ringrazio con lo sguardo Valeria Ancione, più che con le parole, e mandiamo giù gli ultimi sorsi di birra, attendendo la primavera che alleggerisca i nostri animi, spodestando “La dittatura dell’inverno”.

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Chiacchierando con… Valeria Ancione