La riconosco dal sorriso, dolce e determinato, che allarga accogliendomi calorosamente e poi stringendomi amichevolmente in un abbraccio. È Alice Di Stefano, straordinaria ospite di una serata online sul sito per Publisher (Fazi, 2013), incontrata a Matera per il Women’s Fiction Festival. Poteva essere quella l’occasione giusta per chiacchierare come ci eravamo ripromesse su Cesarina Vighy. Invece in quella circostanza ci siamo limitate a saluti affettuosi, come tra amiche che si rivedono dopo lungo tempo. Cifra di Alice è l’immediatezza dei rapporti, la disponibilità all’altro, la generosità del sorriso. L’ha fatto virtualmente sul sito e dal vivo a Matera.

Devo ammettere che, però, dopo averla incontrata dal vivo, le mail hanno assunto un altro sapore e una sfumatura più dolce.

 

Perdere una persona cara, o di più perdere la mamma, è un dolore grande. L’unica consolazione sono i momenti vissuti insieme, le parole e gli insegnamenti che la rendono eterna e immortale nel nostro cuore. In questa consolazione tu Alice hai un vantaggio. L’eredità di tua madre dalla sfera privata è entrata in quella pubblica con la pubblicazione di due libri. L’ultima estate (Fazi, 2009) e Scendo. Buon proseguimento (Fazi, 2010).

Come ti approcci da figlia a queste opere e cosa credi che invece vi trovi il lettore?

Nella sfortuna, se così si può dire, sono stata fortunata. Scendo. Buon proseguimento, in particolare, che raccoglie le mail degli ultimi anni di vita di mia madre, rappresenta un vero e proprio tesoro per me, da leggere e rileggere, specie nei momenti di sconforto. Il libro, che è in tutto e per tutto un testamento spirituale, contiene preziosi insegnamenti al di sotto e al di là della patina di leggerezza con cui sono ammantati i testi: consigli di vita spesso nascosti sotto il velo dell’ironia da parte di una madre che è anche un’amica e soprattutto una donna.

Scendo. Buon proseguimento è un libro intimo ma caldo, vibrante e pieno di energia positiva nonostante sia stato scritto da una persona malata e cosciente ormai della propria fine. Ci sono osservazioni, pensieri, aneddoti che spesso vanno al di là delle riflessioni contingenti assumendo valore universale. Chiunque così vi può ritrovare situazioni conosciute, divertirsi a leggerlo e persino trarne giovamento. I destinatari delle mail, del resto, sono vari e quasi tutti “emblematici”: c’è l’amica d’infanzia, il cugino lontano, il marito, e, appunto, la figlia ritrovata.

Al contrario, L’ultima estate è un vero e proprio romanzo, seppure dai forti spunti autobiografici e dall’andamento quasi diaristico. È un testo che colpisce per la sua crudezza e il tono usato nell’affrontare una storia di sofferenza ripercorrendo allo stesso tempo le vicende di una vita. Tutti dovrebbero lasciare testimonianze scritte sulla propria esperienza in terra e mia madre, paradossalmente proprio perché in fin di vita, è riuscita a costruire il suo personale messaggio in maniera compiuta, in più con la forza espressiva come rafforzata, data dalla condizione estrema. Parole di una donna, nei suoi libri, che, già persa la parola, viveva con la consapevolezza di un dolore destinato a non guarire.

Le due figure di figlia e lettrice possono coincidere o ci sarà sempre una discrepanza nell’essere lettrice del libro della propria madre?

Nel caso de L’ultima estate il problema non si pone. La narrazione, lì, è stata costruita in modo che non ci possa essere immedesimazione. Si tratta di un testo letterario, scritto tra l’altro in un periodo di non accettazione della malattia, che elabora i fatti della vita con atteggiamento distaccato (pur avendo sorprendentemente anticipato quello che poi purtroppo si sarebbe verificato nella realtà). Per Scendo il discorso è diverso visto che si tratta di mail realmente spedite riguardanti fatti specifici e un periodo piuttosto complicato della mia stessa vita. D’altra parte, Scendo è un testo talmente dolce, straziante, che, forse meglio del romanzo, riesce a rendere con più precisione quella che è stata ed era la personalità di mia madre, donna brillante, coltissima e un po’ algida ma anche capace di grande dolcezza e umanità.

In quale aspetto della lettura, se c’è, preferiresti essere una semplice lettrice di Cesarina Vighy e non la figlia-lettrice?

Figlia o non figlia, credo che il tema della malattia (e nello specifico di quella malattia, la SLA), così come quello della vecchiaia, della decadenza fisica, della perdita dell’integrità, della morte siano per tutti argomenti forti e un po’ difficili da affrontare.

Toglie o aggiunge qualcosa alla scrittura di tua madre leggerla da figlia?

Credo che aggiunga. Quella de L’ultima estate penso sia una scrittura con un valore in sé, un libro a volte forse un po’ urticante ma di indubbia forza espressiva, una testimonianza su una malattia come la SLA da parte di una persona vigile, lucida, e senza filtri nella sua visione così particolare, e anche spietata, della realtà. Io, meglio di altri magari, so che quell’atteggiamento, l’immensa cultura e l’ironia spesso esibite erano solo una specie di corazza che inconsciamente metteva su per difendersi dai mali del mondo così come so, d’altra parte, quanto fosse autentico nonché raro lo stoicismo (e la grande signorilità) dimostrati di fronte al destino toccato in sorte.

Qual è stato il tuo ruolo nella pubblicazione dei libri di tua madre?

Sono stata la sua editor, per forza di cose implacabile. Quando mia madre ha iniziato a scrivere era già malata ma non malatissima. Col passare dei mesi però si verificava ogni giorno un peggioramento diverso. Ricordo che le mancavano due soli capitoli alla fine del libro che cadde e si ruppe malamente. Io allora la forzai a scrivere lo stesso, quasi trascinandola al computer davanti al quale, ormai, soffriva anche solo a stare seduta. Non mi sono mai pentita di quella scelta e per fortuna neanche lei.

La scrittura, come poi ha testimoniato lei stessa, è stata la sua salvezza, valvola di sfogo possibile davanti a un male senza scampo e a giorni difficili da far passare. Voglio ricordare le sue difficoltose modalità di scrittura. Potendo stare solo poche ore davanti al computer (essendo impossibilitata a scrivere a mano) e già vittima di una tenace e crudelissima insonnia che si aggiungeva allo strazio quotidiano, passava le notti a pensare a quello che avrebbe scritto il giorno dopo, in cui poi scriveva effettivamente tutto di seguito e senza mai correggere (come sapesse già tutto a memoria), tanto a lungo aveva riflettuto sulle parole e la forma da dare al testo.

 

Qual è l’invito che rivolgi, nella tua triplice veste di lettrice, figlia ed editor, ai lettori che cominciano a leggere i testi di Cesarina Vighy?

Di leggere, senza necessariamente mettere in relazione la storia narrata con quella dell’autrice. L’ultima estate, in particolare, non è un memoir né tantomeno un diario. È la storia di una donna che, giunta alla fine, ripercorre con obbligato disincanto le tappe di una vita. La signora Z, protagonista del libro, è un’osservatrice lucida della realtà che, come in un addio indulgente e definitivo (non senza momenti di nostalgia), ricorda le persone a lei care così come le vicende, belle e meno belle, trascorse negli anni. Ricordi che tornano tornano vividi, insieme agli avvenimenti storici sullo sfondo; episodi non sempre felici che però, visti nella prospettiva dell’oltre, possono finalmente sembrare belli.

Una riscrittura della vita a partire dalla fine, quindi, nell’ottica di una visione finalmente priva di pathos, tra rabbia e nuova serenità, nel momento del distacco dalle cose del mondo. Un atteggiamento dato dal congedo, forse impossibile da ricreare quando si è ancora nel cuore della vita.

 

Da quale dei due un lettore dovrebbe cominciare a leggere?

Dall’Ultima estate, senz’altro. È un romanzo forte, per il tono utilizzato e anche per l’argomento, ma estremamente sincero e (per quanto possibile) ironico. È un libro autentico, scritto senza filtri, che, nel bene e nel male, colpisce al cuore per la schiettezza di certe affermazioni e la visione lucida delle cose data dalla prospettiva “postuma” in cui si pone la protagonista. Infine, non mancano i momenti di tenerezza, rintracciabili anche in Scendo. Buon proseguimento che ripercorre a tappe la condizione fisica e morale dell’autrice tracciandone insieme un ritratto di donna forte, ultimo e definitivo.

La immagino commossa e bellissima, Alice Di Stefano, dopo aver scritto così tante belle parole su Cesarina Vighy, come nella serata alla Fenice mentre ritira il Premio Campiello al posto della madre.

Chiacchierando con… Alice Di Stefano su Cesarina Vighy