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La fabbrica

del panico

di Stefano Valenti 

 Patrizia http://www.leultime20.it/

twitter: @patrizialadaga

 Giuditta

twitter: @tempoxme_libri

1. Dai un voto alla copertina e spiegalo
Voto: 7.

Un’immagine, quella della copertina, che rappresenta fedelmente la descrizione di un luogo citato sul finire del romanzo. Di per sé non rende l’idea della drammaticità della storia, ma una volta terminata la lettura, la si apprezza di più..

Voto: 6

Confesso che la copertina non mi fa impazzire. Mi piace la lucidità e luminosità, nonostante il monocolore, ma l’immagine non rende nè lo spirito nè il contenuto del libro. Al contrario del titolo che è perfetto.

2. L’incipit è …
Angosciante, come tutto il libro. La voce narrante descrive l’attacco di panico di cui è vittima. Una patologia di cui soffre da mesi, originata dalla malattia e dalla morte del padre. Gli incipit sono due. Quello del prologo e quello iniziale. In entrambi i casi il dolore, la fatica, la sofferenza dell’io narrante sono al centro dell’immagine d’apertura e introducono il lettore, senza scampo, nello sconforto della situazione.
3. Due aggettivi per la trama
Documentaristica e ripetitiva. Questa volta preferisco proporre due sostantivi: recriminazioni e lamentele. Il personale e il sociale che si intersecano e confondono nella narrazione delle morti bianche. Non li ho scelti a caso, ma li propone lo stesso autore:

Ho paura di cosa potrebbe dire nel leggere questo elenco di recriminazioni e di cosa potrebbe pensare di queste lamentele, e di me, e del tempo dilapidato ad aiutarmi a raccogliere materiale che tanto poco sono riuscito a metabolizzare.

Il pregio di questo libro è l’incandescenza delle recriminazioni e lo strazio delle lamentele, vive vere brucianti.

4. Due aggettivi per lo stile
Sincopato, tagliente. Nervoso e spezzato, a rendere il pieno del dolore e dell’ingiustizia subita dagli operai e dai loro familiari.
5. La frase più bella

«È arrivata la pittura, diceva mio padre massaggiandosi le cosce doloranti dal troppo far niente. La pittura è arrivata come una mano salda e lo ha sollevato, scuotendolo».

Anche nella vita più tormentata, anche nella sofferenza s’intravede un raggio di luce. Nel caso del padre del narratore, la serenità, da sempre, coincideva con la pittura.

La pittura per il padre nella tortura della vita in fabbrica è l’unico scampo, l’unica via d’uscita, di converso lo diventa anche per il lettore, che con “La fabbrica del panico” è scaraventato nel sistema concentrazionario della fabbrica.

La pittura è un incanto, una meraviglia. La pittura lo porta via dall’inferno ogni giorno e ogni giorno lo riconsegna soddisfatto al sonno. Ogni giorno vissuto è un giorno inventato dalla pittura, e dentro la pittura dimentica il resto.

6. La frase più brutta
Nel romanzo di Stefano Valenti le frasi “brutte” abbondano, non certo stilisticamente, sia chiaro, bensì dal punto di vista delle emozioni che trasmettono. Si tratta di passaggi che trasudano morte e avvolgono il lettore in una spirale di dolore e sofferenza difficile da scrollarsi di dosso anche a romanzo terminato. Ne scelgo una decisamente cruda:

«È il mio primo cadavere. Non c’è stato modo di ricomporlo. L’orrore è ancora visibile, l’ultimo sforzo di afferrare la vita. Il volto di mio padre è di un verde innaturale, ha il colore dei malati, dei defunti, gli occhi in fuori, grandi, fissi, come se vedessero ancora. E anche la lingua in parte è fuoriuscita, in un estremo tentativo di respirare, bluastra e insanguinata».

La scrittura di Stefano Valenti è sorvegliatissima. Tagliente. Chirurgica. Dura. Sono molte le pagine che fanno stare male. Tutto il libro è un grido di dolore, personale e sociale. Forse la frase che più di tutte riassume lo sconforto e l’offesa (intendendo così il brutto della domanda) è questa:

La consolazione è che mio padre sia morto, che non fosse presente al momento della lettura della sentenza. Sapere che è morto senza queste immagini impresse nella memoria, senza aver ascoltato le parole del giudice.

Quale giustizia è mai questa? può essere di consolazione la morte?

7. Il personaggio più riuscito
Parlare di personaggi nel caso del libro di Stefano Valenti è riduttivo. Come lui stesso dice in una nota «Fatti e personaggi citati nel romanzo sono autentici ma trasfigurati dal narratore». Chi legge, comprende sin dal primo momento di trovarsi davanti a una tragedia realmente accaduta, che ha causato immenso dolore a tutte le famiglie degli operai coinvolti.

Tra tutte le figure citate, la mia preferita è quella del padre. Un uomo pieno di dignità, ancorato al sogno della pittura.

In “La fabbrica del panico” non ci sono personaggi romanzeschi. L’autore avverte “Fatti e personaggi citati nel romanzo sono autentici ma trasfigurati dal narratore.” Nella vita non si può scegliere un personaggio. La vita che intride il libro è fatta di persone vere, operai morti per fare il proprio lavoro:

Poichè pretendono che li dimentichiate. Siate fieri di quello che sono stati. Operai.

8. Il personaggio meno azzeccato
Non esistendo finzione, non esistono nemmeno i brutti personaggi. C’è solo la vita con le sue, troppe, ingiustizie. Sarebbe facile dire i padroni della fabbrica o i giudici che li hanno assolti, ma loro sono ombra nel libro, meno che personaggi secondari. Comparse, sia pure responsabili del panico e dell’offesa.
9. La fine è…
Una pallida scintilla nel buio. Rasserenante e speranzosa, ma proprio per questo ancora più forte è il senso di ingiustizia che ne trapela. La poesia di Luigi Di Ruscio, “Ai compagni con cui ho lavorato per quasi una vita” ne è suggello accorato e disperato, pur nella felicità del sogno. Lo stesso che avviene per il sogno dell’io narrante che chiude la vicenda narrativa, ma non risolve quella esistenziale.
10. A chi lo consiglieresti?
La fabbrica del panico ha un messaggio chiaro e doloroso, comprensibile a chiunque e che inevitabilmente suscita sentimenti di umana solidarietà. Il libro di Valenti è una cronaca doverosa che unisce il sociale al personale, ma la reiterazione del concetto di lotta di classe e l’unicità del punto di vista ne fa, ai miei occhi, un libro urticante. Se la lotta al capitale è il vostro credo, questo è il vostro libro. A tutti, di ogni età. Perché è la vita vera, e purtroppo la morte, che ruggisce e graffia nelle pagine di “La fabbrica del panico”.

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