Storie scritte sulla sabbia

Copertina estiva per la raccolta di racconti con cui Gaetano Cappelli torna in libreria, e anche il titolo ammicca a una declinazione stagionale, come indica con stilemi boccacciani anche la dedica dello scrittore al suo pubblico,

ma poi leggi e comprendi che Storie scritte sulla sabbia (Marsilio, 2014) strizzano l’occhio anche alla letteratura o meglio al fare letteratura.

Nessuno dei racconti presentati nella raccolta è un inedito in senso stretto, sono tutti già stati pubblicati su riviste e quotidiani, cartacei o online. È proprio l’occasione della loro pubblicazione che li rende “storie scritte sulla sabbia” come postilla l’autore al racconto La vedova perfetta. Ed è sempre nelle postille, brillanti e frizzanti, che accompagnano ciascun racconto che troviamo la motivazione che ha spinto Gaetano Cappelli a dare a questi suoi scritti una veste tradizionale:

Ma, tutto sommato, che sia difficile da reperire è meglio: c’è forse qualcosa di più bello che trar fuori storie dalle pagine fruscianti di un delizioso libriccino, come voi state facendo?

Un tema comune, come un fremito, mi sembra percorra e sostanzi le pagine dei vari racconti, una linfa fertile e vitale. Un gioco sottilissimo e brillante, metaletterario. Si interroga sullo scrivere e sul leggere, con un sorriso sarcastico, ma mai mordace, perché lo sguardo di Cappelli non è mai al di sopra dei suoi personaggi, ma sempre dentro. C’è commedia e c’è satira, nella scrittura di Cappelli, non quella cinica e aggressiva, ma quella bonaria e indulgente di Orazio. Già nella scelta di racconti in prima persona, l’empatia che lo scrittore prova per i suoi personaggi è chiara, sottolineata ulteriormente dalla circostanza che spesso questo io narrante è, a sua volta, uno scrittore.

 foto presa qui

La prima persona è un altro elemento di continuità tra un racconto e l’altro. Una prima persona che, come in climax, trova nell’ultimo racconto la sovrapposizione perfetta, perché uno dei personaggi che entra in scena, nonché si scoprirà voce narrante, deus ex machina della vicenda esistenziale del povero protagonista, archeologo questa volta, è lo stesso Gaetano Cappelli. L’irresistibile potere dell’ametista è uno dei più riusciti. Vi confluiscono tutti i temi della commedia umana che lo scrittore potentino va sommando nella sua ricca produzione, miscelati insieme con arguzia, ma è al guizzo metaletterario che conclude la vicenda che va tutto il mio plauso:

Già, ma non eri proprio tu che mi disprezzavi perché non sarei uno scrittore di libri che cambiano la vita… quando basterebbe pensare al Mein Kampf o a Das Kapital, e a quali disastri hanno combinato. Invece, i lettori più esigenti, alzando il ciglio, richiedono proprio quelli, i libri necessari, àh-àh-àh, quelli che cambiano la vita: ecco, adesso, vedi, io ci sono riuscito, a cambiartela, e con un semplice racconto, dovresti essere felice, no?” gli ho risposto togliendomi finalmente un sassolino che mi faceva male nella scarpa – anche se oggi, di fatto, indosso i miei sandali nepalesi.

Di sassolini nella scarpa, con finezza e arguzia, Cappelli se ne toglie altri anche più diretti. Felice quello contro Carlo Petrini, nella postilla al raccontoSalvato dal vino, in cui con fierezza Cappelli rivendica per lo scrittore il “giusto” prezzo:

Ma il mondo è pieno di persone, anche sante come Carlin, che mentre regolano, com’è giusto, il conto dell’idraulico trovano disdicevole pagare invece il lavoro degli scrittori.

Anche Salvato dal vino è un divertente gioco di specchi tra vita e opera, che sottolinea ulteriormente come la scrittura di Cappelli sia specchio dei tipi umani che incontriamo nella vita e se guardati con occhi ironici e con una certa bonaria condiscendenza possono, pur nella loro grossolanità, strapparci un sorriso.

I racconti spesso hanno una stretta dipendenza con i romanzi già pubblicati. Salvato dal vino, ma anche Fallimenti e vendette con perdono finale e La vedova perfetta, solo per citare i casi più lampanti, sono un felice incontro concesso al lettore con personaggi già amati o da amare nella narrazione più distesa del romanzo.

Un continuo gioco di specchi, che la natura del racconto frammenta e alleggerisce.

Un altro elemento di continuità tra i vari racconti è la Basilicata,

solitamente descritta come una terra isolata e fuori dalla storia

in cui l’immagine cristallizzata della terra descritta e disegnata da Levi fa i conti con le spinte, non tutte positive, del presente. L’ombra del falco obesoLa figlia di Dracula che aprono la raccolta sono due quadri divertenti e grotteschi sulla visione magica della Basilicata e su come questa immagine stereotipata si innesti nel presente e ne diventi interprete.

Infine la lingua. L’attenzione di Cappelli è sempre volta al parlato, allo slang, alla nota di colore. Sia nel ritmo della prosa, che nei dialoghi in cui lo scrittore si lascia andare alla piena creatività linguistica di riprodurre ora l’impasto tipico degli italoamericani tra dialetto e americano, oppure l’icasticità del dialetto lucano con la sua concretezza vivida:

Vuoi meet Hollywood co’ Bollywood, vuoi meett; contr au maiour u minour è cess!”

fino ad arrivare ad un’esilarante traduzione poetica in dialetto lucano dei più noti versi shakespeariani, e mi dispiace per quanti, non avendo nelle orecchie la musicalità dell’accento lucano, che nessuna scuola di recitazione avrebbe potuto minimamente scalfire, né avendo familiarità con il prototipo del soggetto recitante, non possono godersi in pieno la verve linguistica di Cappelli:

O Romeio, Romeio! Pecchè si tu Romeio? Rinneig a padrat; e rifiuta lu noom tuo: o, si non vuò, legaat’ sul in giuramend all’ammor mio, e io nun ge sarò chiù, na Capuleeit!

 

Storie scritte sulla sabbia
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