Naturalmente a Lisbona. – mi dice Andrea Bajani, quando gli chiedo un appuntamento per poter parlare della sua scrittura, che tanto mi affascina, a partire dal nuovo libro, “La vita non è in ordine alfabetico” (Einaudi, 2014), di cui ho parlato QUI. Letto d’un fiato e con il cuore in gola, dopo aver amato “Ogni promessa”.

Con l’emozione che si prova ad incontrare uno degli scrittori che più toccano corde profonde, parto con la prima domanda. Ma confesso subito che anche questa volta Lisbona è scenario ideale. Perchè Lisbona? Chi conosce la bibliografia di Bajani saprà bene il perché, gli altri lo scopriranno continuando a leggerci!

foto di Ornella Orlandini

Quanto è importante per te, o non lo è, incontrare i tuoi lettori, presentare i tuoi romanzi al vivo di una platea? Non sei uno scrittore “social”, se non sbaglio. Niente Facebook, niente twitter. C’è una ragione o è solo mancanza di tempo? Infine cambia la percezione che hai della tua opera pubblicata nell’incontrare le impressioni di lettori o critici?

In effetti non sono uno scrittore social. O meglio non uno scrittore da social network. Potrei dire che preferisco vivere nel mondo reale, e suonerebbe come una posa snobistica. Ma è vero. Potrei dire che impiego il tempo in altro modo, e anche questo suonerebbe snob. Ma pure questo è vero. Credo che in realtà dipenda dal fatto che per me scrivere è covare parole. C’è un tempo per fare la cova, e un tempo per lasciarle andare. Lasciarle andare via prima del tempo vorrebbe dire buttarle nel mondo premature, settimine. E allora preferisco aspettare, covare, e quando son pronte scrivere. I social, per come sono fatto io, uccidono la cova. In tutto questo sono però uno scrittore molto social nel senso che amo molto incontrare i lettori, confrontarmi con loro, farmi raccontare il mio libro così come è diventato dopo che ci hanno messo dentro la loro biografia.

Covare le parole. Non avrei saputo trovare un’espressione più incisiva ed efficace. Perché è proprio l’uso che tu fai della lingua che mi ha subito colpito nella tua scrittura, già in “Ogni promessa” e che poi ho riscontrato anche leggendo le tue recensioni ai libri altrui. Una lingua senza orpelli, ma ricca di pathos, che nel tuo nuovo libro diventa fondamentale sin dal titolo. Perchè una lingua comincia appunto dall’alfabeto.

Una lingua cesellata, pregnante, limata su racconti rarefatti, in cui prendono il sopravvento sensazioni ed emozioni, che solo parole come le tue possono descrivere e ritrarre.

Cosa viene prima nella tua scrittura: la parola giusta che cova il sentimento e l’emozione che poi si fa racconto, oppure è la trama che evapora successivamente nella ricerca di una forma linguistica perfetta?

In che modo la tua attenzione alle parole in quanto scrittore si è coniugata con il lavorio sui neologismi nei seminari legati al Salone del libro di Torino con i ragazzi delle scuole superiori?

Della lingua mi piace la magia. La magia prevede che soltanto alcune parole facciano succedere la cosa. Ci sono alcune parole che, messe in sequenza, danno vita di colpo al prodigio. Basta sbagliare una parola, però, e la cosa non succede. Se invece le parole sono quelle giuste, e la sequenza è esatta, l’incanto avviene. La differenza è che io, in quanto scrittore, sono un mago alle prime armi: non so mai quale sarà la magia. So che sta per succedere qualcosa, so che quel qualcosa è un’emozione, ma non la conosco esattamente. Per cui vado per tentativi: certo, seguo la linea della storia che sto raccontando, ma so anche che per scoprirla devo aprire quegli scrigni magici. Così, appunto, vado per tentativi, e quando trovo le parole esatte, succede e arriva l’emozione. E’ una specie di fuoco che divampa all’improvviso. Non è mai come mi aspetto, e questo è anche il suo bello. Quando l’incanto avviene – e l’incanto sorprende sempre -, allora ci devo fare i conti. E magari la storia stessa, in conseguenza di quello che è successo in una frase, prende tutta un’altra piega. A quel punto faccio un sospiro, e se ho ancora abbastanza energie vado avanti. Altrimenti aspetto il giorno dopo.

Mago, allora, più che cesellatore di parole, anche se le tue immagini hanno nitidezza plastica e ricchezza di dettagli. Sulle ginocchie dei lettori tu consegni un cuore vivo e palpitante.

Un altro filo rosso che da lettrice mi pare di scorgere nella tua scrittura è il tema della partenità: come assenza in “Ogni promessa” (confesso che sono state per me le pagine più belle) e come gioiosa naturalezza nel racconto che apre “La vita non è in ordine alfabetico”, “Amore”, motivo che poi ritorna in varie altre occasioni del libro. Paternità e amore, intrecciati e interconnessi. È un tema che senti particolarmente tuo o solo uno dei tanti, che pure sono presenti nella tua opera?

La paternità significa – o dovrebbe significare – prendersi cura dei propri figli. Proteggerli qualsiasi cosa succeda. A differenza della maternità, la paternità è sempre una scelta, è sempre in qualche modo adottiva. Ecco, c’è quell’assunzione di responsabilità e quell’amore – quella cura – che in qualche modo hanno a che fare con lo stare al mondo. Ed è quello che si fa con le parole, quando si scrive. Le si accompagna nel mondo, le si vede prendere forme anche impreviste (persino non volute, a volte!) si cerca di avere cura di loro, e poi bisogna avere la forza di lasciarle andare.

La tua scrittura ha uno stile personalissimo, una voce riconoscibile e lirica. Scrittore si nasce o si diventa? Andrea Bajani ha questa voce da sempre o essa si affina con l’età l’esperienza e la tecnica? E infine cosa rappresenta per te il lavoro di editing sui tuoi scritti?

Credo che si passi la vita prima di tutto a tentare di sentire la voce che si ha. Non sentirla, inventarsene un’altra è una mistificazione e insieme una violenza che si impone a se stessi. Ho fatto questo, semplicemente, e credo di farlo più o meno ogni giorno. E’ successo, credo, con la scrittura di “Se consideri le colpe” (Einaudi, 2007). Ho accettato che nella mia vita ci fosse anche il dolore, e ho cercato di usare quei pezzi di vetro rotti per provare a guardarci attraverso. Se possibile senza tagliarmi troppo.

 

“La vita non è in ordine alfabetico”, eppure, nel tuo nuovo libro (raccolta di racconti, se volessimo definirlo in un genere?) tu usi il metodo alfabetico per ordinare sentimenti e sensazioni. In quale dei due è la verità, secondo Andrea Bajani?

La verità non saprei dire dove sta. Però a volte senti che succede, semplicemente. Che c’è un’aderenza tra te e le cose che stai vivendo. Quella è una specie di verità, una specie di manifestazione, di epifania. Questi racconti li ho scritti andando a cercare quel momento di manifestazione, che avviene nei momenti più imprevisti. Si capisce una cosa di sé mentre magari si sta parlando con qualcuno, e allora si fa finta di niente. Ma all’angolo della bocca parte una specie di sorriso…

La curiosità per il titolo allora aumenta. Da dove nasce? è volutamente antifrastico rispetto al contenuto o semplicemente ironico?

Il titolo in realtà è una citazione da “Tristano muore”, di Antonio Tabucchi. Mi piaceva l’idea di metterla lì come una specie di occhiolino fatto a un amico lontano. Come se quell’amico lontano, così amante del paradosso, potesse dare ancora un suo piccolo contributo: sabotare dall’interno tutto il disegno. Diciamo che mi piaceva l’idea di costruirgli un castello di carte da buttar giù ridendo. Volevo dire che la vita era in ordine alfabetico – a piccoli tratti – e che non lo era – nel complesso. Ho voluto che quel ‘non’ ce lo mettesse lui.

Antonio Tabucchi. Sono contenta che sia uscito fuori in questa nostra chiacchierata. Una figura importante per te tanto da dedicare al vostro rapporto un libro, “Mi riconosci” (Feltrinelli, 2013). Cosa preservi più gelosamente dello scrittore a livello di insegnamento e monito?

L’allegria e la ferocia, direi. Due atteggiamenti che possono sembrare opposti ma che in Antonio Tabucchi convivevano. L’allegria per il mondo che si manifesta sempre contro i pronostici, che scarta dalla strada segnata, che allarga lo sguardo quando meno te lo aspetti. E la ferocia – senza timori, senza compromessi – di fronte alla sciatteria, al fascismo e alla violenza sotto cui vedeva accartocciarsi la lingua italiana.

Mi fermo qui altrimenti troverei sempre un’altra curiosità da proporti.

Grazie, Andrea. Da lettrice il Chiacchierando è sempre un azzardo, soprattutto con gli scrittori più amati. So che non è corretto ma tendo sempre a cercarlo tra le pagine, lo scrittore, nelle righe, nelle sottigliezze delle frasi. Scoprirlo dal vero, non nel giro di botta e risposta, ma nel dialogo, seppure virtuale, può essere un’emozione o una delusione. Tu sei stato un’emozione!

Chiacchierando con… Andrea Bajani
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