Per quelle strane sincronie della nostra mente, mentre leggevo con piacere e diletto “Correva l’anno del nostro amore” di Caterina Bonvicini (Garzanti, 2014) mi ritrovavo a canticchiare “La storia siamo noi” di De Gregori.

La storia siamo noi, nessuno si senta offeso,
siamo noi questo prato di aghi sotto il cielo.
La storia siamo noi, attenzione, nessuno si senta escluso.
La storia siamo noi, siamo noi queste onde nel mare,
questo rumore che rompe il silenzio,
questo silenzio così duro da masticare.
E poi ti dicono “Tutti sono uguali,
tutti rubano alla stessa maniera”.
Ma è solo un modo per convincerti a restare chiuso dentro casa quando viene la sera.
Però la storia non si ferma davvero davanti a un portone,
la storia entra dentro le stanze, le brucia,
la storia dà torto e dà ragione.
La storia siamo noi, siamo noi che scriviamo le lettere,
siamo noi che abbiamo tutto da vincere, tutto da perdere.
E poi la gente, (perchè è la gente che fa la storia)
quando si tratta di scegliere e di andare,
te la ritrovi tutta con gli occhi aperti,
che sanno benissimo cosa fare.
Quelli che hanno letto milioni di libri
e quelli che non sanno nemmeno parlare,
ed è per questo che la storia dà i brividi,
perchè nessuno la può fermare.
La storia siamo noi, siamo noi padri e figli,
siamo noi, bella ciao, che partiamo.
La storia non ha nascondigli,
la storia non passa la mano.
La storia siamo noi, siamo noi questo piatto di grano.

A ripensarci ora che rifletto sul romanzo di Bonvicini per scriverne, mi sembra che ci sia una profonda affinità tra la canzone di De Gregori, che veicola sulla leggerezza orecchiabile del pop una riflessione politica ed etica, e l’esperimento letterario della scrittrice, che servendosi di una storia d’amore tra le più classiche, fatta di separazioni e ritrovamenti, peripezie e peripateia come nella migliore tradizione del romanzo greco antico, conduce una riflessione approfondita e meditata sugli ultimi anni della nostra vita.

Olivia e Valerio, i protagonista di “Correva l’anno del nostro amore”, sono la nostra Storia, almeno di quelli che come me sono nati negli anni Settanta, come la scrittrice Caterina Bonvicini, del resto.

Al di là delle inevitabili forzature letterarie delle loro storie e in particolare dei loro modi di essere, Valerio e Olivia incarnano un pezzo di ciascuno di noi, che siamo nati degli anni del Terrorismo e con l’ingenuità dei piccoli e un sorriso gentile potevamo rispondere di giocare a mettere le bombe sotto i treni, o giovani e spensierati potevamo crogiolarci nell’infelicità degli amori in bilico tra l’adolescenza e la maturità con in sottofondo il discorso agli Italiani di Berlusconi del 26 gennaio 1994. Siamo mai diventati adulti? A guardare Olivia, la nostra parte lasciata nell’immaturità delle scelte non fatte, delle strade sbagliate, dell’inconsistenza delle passioni o volgendoci a Valerio, emblema degli sprechi delle velleità, della costruzione di un potere effimero basato sulla ricchezza frutto di corruzione, con amarezza siamo tentati di dire che siamo ancora adolescenti, senza più l’ingenuità anagrafica, ma con il peso delle responsabilità che non aiutano a crescere. Sarà per l’assenza di padri? Perchè anche questo è chiaro nel romanzo della Bonvicini. I padri non sono stati d’esempio né tantomeno di guida. Le madri troppo prese dal loro senso di rivalsa e di riscatto. La vera generazione in cui abbiamo trovato rifugio e conforto, come Olivia e Valerio, è quella dei nonni. Non perché non abbiano commesso errori o non abbiano avuto difetti. Ma perché mostrano un sostrato di valori condivisi, di memoria storica e di senso del dovere su cui faceva perno anche il loro porsi accanto ai nipoti. Manon e Giovanni, i nonni di Olivia, che dal nulla sono ascesi alla ricchezza della loro posizione, sono delle figure straordinarie, la cui perdita rappresenta la fine inevitabile di un mondo, dalle cui ceneri è nato il mostro del berlusconismo.

La Storia, quella con la lettera maiuscola, così vicina a noi che valutarla sotto l’aspetto storico e critico non è impresa da poco, entra nel romanzo senza edulcorazioni, con uno sguardo limpido. La Storia siamo noi, appunto. Perché gli eventi tragici e non, dell’ultimo quarantennio sono raccontati attraverso la percezione dei protagonisti, come la strage di Bologna di cui è testimone la madre di Valerio, in stazione per spedire le biciclette nella casa al mare dei signori per cui lavora. L’era di Mani pulite è osservata dall’interno come quella berlusconiana, alla prima strettamente connessa, attraverso la famiglia Bernasconi, con cui Valerio finirà per imparentarsi sia sul piano familiare che professionale, in barba al suo sogno, anche questo tipico della nostra generazione, di diventare magistrato. Persino la Banda della Magliana, triste protagonista di una certa storia criminale ancora da scoprire in tutte le connessioni che furono, è descritta da un’ottica particolare che è quella del patrigno di Valerio, Max, piccolo usuraio che si troverà invischiato in traffici più grandi di lui, che lo lasceranno senza scampo.

Due mondi paralleli, di cui Olivia e Valerio, in qualche misura, si fanno anello di congiunzione: la collina bolognese in cui vive l’alta borghesia, con le feste sfarzose e le guardie del corpo, e la borgata romana, in cui Valerio si trasferisce seguendo la madre. Queste diverse ambientazioni, entrambe fortemente connotate, dilatano il romanzo, ne allungano lo sguardo, ne inspessiscono i contorni.

Chi siamo? Dove siamo? Dove andiamo? Non si tentano risposte preconfezionate in “Correva l’anno del nostro amore”. Caterina Bonvicini si lascia trascinare dai suoi personaggi. Ne segue le tracce con passione e con invisibile ma perspicace partecipazione. Io, nata nello stesso anno di Valerio e Olivia, con una mia storia che non è la loro, mi trovo a rivivere insieme a loro la Storia, intrecciata ai miei anni, che sono i loro, e alle mie esperienze, diverse dalle loro.

Correva l’anno del nostro amore