Era stata la connessione con la poesia greca classica a richiamare la mia attenzione su l‘estremamente magico di Rolando Alberti (Miraggi, 2013), raccolta poetica curata da Enrico Medda e Guglielmo Fiamma. Enrico Medda, docente di Letteratura greca all’università di Pisa, come racconta nella prefazione al volume, è lo scopritore del poeta montanaro, fin dalle sue prime prove infantili. Destino di un incontro segnato dalla passione del filologo per le Alpi Apuane.

Il lavoro alla costituzione della raccolta di Alberti è condotto da Medda con il piglio del filologo classico, con la straordinaria occasione di poter confrontare il lavoro interpretativo e organizzativo sul testo insieme all’autore. Lui stesso in una nota finale conferma quale tipo di “intromissione” è stata da lui approntata nel pubblicare le poesie che Alberti scrive su fogli di fortuna durante i momenti della sua vita e poi trascrive su quaderni con errori ortografici e spesso senza scansione tra i versi.

Rolando Alberti è una figura del passato: pastore come suo padre e i suoi antenati, alterna la vita in paese a quella in quota con il suo gregge. Vita di stenti e sacrifici, soprattutto durante i mesi in alpeggio, che però gli hanno concesso la percezione più intima e vera del legame strettissimo tra la propria vicenda di uomo e quello della natura brulla e misteriosa delle Alpi Apuane. In questo si può dire che è profondamente un poeta arcaico. La sua vita ruota intorno alle stagioni, si sostanzia del rapporto con i pascoli e con il gregge, trova amica e confidente la montagna sia quando è vista dalla casa di Forno che quando è vissuta nei ricoveri alpini.

Natura e vita in inscindibile simbiosi. Questo è il fascino alle mie orecchie del versificare di Alberti:

Amore mio

te ne sei andato prima che giungesse l’alba

fuggendo dal buio della vita

che dimorava in me,

rifugiandoti come offeso nel buio della morte.

Come i poeti arcaici Rolando Alberti si serve di immagini naturalistiche e concrete, intrise di mistero e del senso più profondo del suo sentire. Attraverso la percezione della realtà che lo circonda il poeta si fa portavoce dei sentimenti universali che lo animano.

Una voce aguzza come le vette delle montagne che gli danno il sostentamento; uno sguardo infantile ai misteriosi abitatori di boschi e alberi; una capacità sferzante di attingere nei dati concreti e paesaggistici il mistero della vita e della morte.

Come i poeti arcaici Alberti ha un’ingenuità immediata nel raccontare, che non scade mai nel sentimentalismo, ma che nell’appiglio sempre teso al mondo reale trova vigore e consistenza. I sentimenti, propri, sono universali, brillanti nella propria essenza. Il lettore non può che specchiarvisi come in un gelido e terso lago di montagna.

Nella frenesia del vivere

trovo l’innocenza che a me non serve.

Giungete a me miei servi,

divorate la mia carne,

in cambio avrete lo spirito.

Ma fugir li vedo

verso orizzonti oscuri

che del passato sono fatti.

Vengono a me oscure ombre,

facendo fuggire il mio pensiero

sul breve foglio.

Lecito sono perché solo sono,

dimora vorrei trovare in un altro essere,

ma nell’eseguire questo

solo mi sento come un Adamo senza Eva.

E soltanto l’eco intorno a me udisco.

l’estremamente magico
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