E io, che non l’avevo mai sentita, mi trovai immobile a seguire le evoluzioni incredibili di queste goccioline di metallo che scorrevano sferiche e perfette, indifferenti alla gravità del mondo fisico, che si rompevano e si riunivano di continuo per ritrovarsi alla fine in un’unica goccia. Una goccia senza difetti, con la perfetta lucentezza del colore di un metallo e la perfetta regolarità della superficie di un liquido. Perfezione cromatica e perfezione morfologica, unite ad una dinamica solo apparentemente caotica, ma che alla fine riconduceva con la propria logica miracolosa tutte queste piccole gocce ad un singolo ente, che tutte le comprendeva, e di tutte conservava la bellezza, ingrandendola ed esaltandola. E tutte queste evoluzioni io le seguivo rapito, nell’assoluta consapevolezza che alla fine si sarebbero riunite e nell’assoluta incapacità di comprendere come potesse succedere.
La definizione dell’argento vivo che si trova nel romanzo di Giacomo Mancini, inserito in Argento vivo di Marco Malvaldi (Sellerio, 2013) si presta con precisione assoluta (da qui il titolo, immagino!) a descrivere questo ultimo, piccolo capolavoro di divertimento e intrattenimento, del chimico toscano. La mia reazione di lettrice combacia perfettamente con quella di Carlo, il matematico protagonista del romanzo perduto. Non si può smettere di leggere Argento vivo, con il suo brio e la scoppiettante serie di equivoci che puntualmente contraddicono le intenzioni iniziali, fino a che con una logica miracolosa, che non presenta nessuna sbavatura, tutto si riunisce in una conclusione positiva e articolata.
La trama di questo romanzo, cesellato minuziosamente come una coppa pregiata, si muove come fluido nel bicchiere con un moto rotatorio, quasi ipnotico.
Non c’è assassino, non c’è mistero. Nulla da scoprire. Eppure Argento vivo si legge come un giallo, appassiona come un thriller, non ti lascia tranquillo come un noir. Fino alla compattezza del finale, in cui il “vissero felici e contenti” soddisfa pienamente, senza ripensamenti.
Uno scrittore alla prese con una crisi di ispirazione che perde il romanzo che dovrebbe riportarlo in libreria.
Un ingegnere che viene licenziato perché perde il computer della società.
Un trio di bassotti, che si improvvisano ladri, unico modo per sfuggire alla crisi.
Due mogli, che cercano di porre rimedio ai caotici errori e malintesi dei mariti.
Una poliziotta, intenta a dipanare la variopinta matassa delle responsabilità di ladrocini e furberie.
Girano in tondo, si intersecano con altri personaggi, come il ragionier Birigozzi, e questo vorticare è più appassionante di qualsiasi enigmatico e irrisolvibile mistero.
Il romanzo perduto di Giacomo Mancini rappresenta il momento di pausa e riflessione, che Malvaldi con sapienza e ironia ricama con notazioni ontologiche che sono il tessuto meditativo e concettuale della magmatica realtà messa in campo nel vero romanzo. Non rispondono alla legge dei frattali anche le pedine che Malvaldi poggia sul terreno narrativo di Argento vivo? O meglio anche loro non sono la dimostrazione che non si può calcolare, così come Carlo non è riuscito ad applicare la dimensione frattale di una sequenza all’analisi della musica?
Come molti dei lettori di Malvaldi sono affezionata al BarLume e ai suoi personaggi. Irritata quasi ogni volta che Malvaldi non ci regala una loro avventura. Come avviene ai lettori che amano parlare di libri, illuminante è stata la mia amica Teresa che mi ha svelato con lucidità e passione quale atto di coraggio ci sia dietro la scelta di Malvaldi a percorrere altre vie, a non fossilizzarsi in ciò che di certo riscuoterebbe il successo e la felicità dei suoi lettori più fedeli. Con questo nuovo spirito mi sono apprestata a leggere Argento vivo, e alla fine dello spettacolo non posso che alzarmi in piedi in un’ovazione sincera e ammirata.