Giro per le vie di Pineta alla ricerca del Barlume dove, senza far dispiacere il barista Massimo con richieste che non considera adatte al momento e all’occasione, prenderò un caffè con Marco Malvaldi, nella speranza che i quattro vecchietti, frequentatori abituali del locale, non origlino le nostre chiacchiere immaginando che chissà quali delitti si nascondano dietro di esse.

Questa volta non devo confessare che sto fingendo, che la chiacchierata con Marco Malvaldi è consistita in uno scambio di mail, eppure a me è sembrato di essere proprio là, con l’emozione di trovarmi di fronte uno degli scrittori italiani che mi ha conquistato con la sua immediatezza e la fine, boccaccesca ironia che pervade le pagine dei suoi romanzi.

Ho molto amato un ringraziamento (ma devo confessarti che adoro il tuo modo di scrivere i ringraziamenti e quando compro un tuo nuovo romanzo sono lì che divoro la trama, pregustando e fremendo di leggerli, tanto da non poter fare a meno di citarli nelle mie riflessioni sul romanzo): ringrazi i tuoi amici perché è dalle loro chiacchiere, quando ancora non erano interrotte continuamente e bruscamente dalle richieste dei figli (e qui è scattata automatica l’empatia per una situazione che conosco fin troppo bene!) che nascono i motivi e i temi della tua scrittura. Mi è sembrato uno straordinario laboratorio narrativo. Me lo descrivi?

La verità è che i romanzi hanno una gestazione piuttosto lenta: in primo luogo, ne parlo con i miei amici (Virgilio, Serena, Mimmo e Letizia) dopo averne parlato con mia moglie Samantha. Ci troviamo a cena, si cazzeggia un attimo, e poi dopo il dolce racconto la storia. E lì se ne chiacchiera: chi approva, chi ha dei dubbi, chi propone migliorie.

Soprattutto, se vedo che la storia li prende so che ha qualche possibilità di funzionare.

In secondo luogo, ho la fortuna di avere amici che, ognuno nel proprio campo, hanno una gran cultura, e sono vere e proprie miniere di competenza: se nella storia ci sono aspetti non plausibili, o forzature, o palesi assurdità, ognuno di loro è in grado di captarle e di dirmi cosa non funziona, e perché.

Io, alla fine, sono la punta di un iceberg: sono quello che assembla, e che ha abbastanza competenza linguistica per scrivere in modo dignitoso e abbastanza spudoratezza da mettere in piazza le proprie manie, i propri tic, i propri gusti (se hai letto le descrizioni di Tiziana, saprai che di una donna non guardo esattamente gli occhi, come prima cosa…).

 

È bello scoprire che uno dei propri autori preferiti è proprio così, la tua voce è la stessa dei romanzi e questo per una lettrice è quanto mai emozionante!

Quanto Marco Malvaldi c’è in Massimo, oltre alla predilezione per un certo tipo di donna? La sua formazione scientifica fa scattare subito una superficiale sovrapposizione con la tua di chimico … mai pensato di aprire un bar o aspetti di vincere alla Lotteria?

Bah, Massimo in realtà è il mio alter ego che si sfoga. Tutti noi ogni giorno subiamo delle piccole angherie, vere o presunte, e tutti noi troviamo una risposta perfetta per chi ci fa irritare o ci manca di rispetto. Peccato solo che di solito ci venga in mente due ore dopo rispetto a quando servirebbe. Ecco, io nei libri ricreo la situazione che mi ha fatto girare le palle e metto in atto la reazione che mi è venuta.

Massimo è un Malvaldi con licenza di sfogarsi con gli sconosciuti: cosa che io nella vita, per molti motivi (educazione, pigrizia, consapevolezza del codice penale ecc.) di solito non faccio.

 

Per la verità è il paladino di tutti i lettori, l’eroe che ci riscatta dalle piccole angherie quotidiane e dai sorprusi di chi ci circonda. Da lettrici non gli abbiamo perdonato, però, la misoginia con cui ha letto e commentato i curricula delle aspiranti bariste. In questo speriamo che Malvaldi sarebbe stato più clemente!

C’è anche un nonno Ampelio nella famiglia Malvaldi? Da dove hai ritratto i formidabili vecchietti che sono la cifra più originale della “saga” del BarLume? e scrivendo il primo romanzo pensavi già che se ne potesse fare una “serie” o l’idea è scaturita dal successo e dalla simpatia dei lettori? Il BarLume ha la magia di mettere d’accordo i palati più diversi, quale credi che sia l’incantesimo?

Trilogia del BarLume

Ampelio nasce da mio nonno Varisello: socialista storico, discreto ciclista e notevole bestemmiatore, che per contrappasso abitava con suo figlio, don Piero, parroco di Forte dei marmi. Mio nonno era sincero: se lo pensava, lo diceva. Come quando vide passare l’arcivescovo in canonica, lì per benedire il figlio: puntò il dito verso la croce d’oro e pietre preziose che il porporato aveva al collo e disse “ó, ma ‘un c’era il voto di povertà?”

I vecchietti hanno origini composite: il Rimediotti e il Del Tacca vengono direttamente dai “caratteri” di Teofrasto, e cioè il cinico e lo sputasentenze. Quanto ad Aldo, è un augurio: perché Aldo, ristoratore amante della musica barocca e delle donne, è come mi auguro di essere io a ottant’anni.

L’idea della serie un pochino l’avevo, ma quando scrivi il primo libro è già tanto se te lo pubblicano. Secondo me, per finire, il BarLume piace perché è intrattenimento: sano intrattenimento senza pretese. Se viene fuori qualche discorso serio, è quasi sempre involontario… Il mio scopo principale è far passare qualche ora piacevole a chi mi legge. Non voglio convincerlo che sono bravo, voglio che rida.

 

Posso testimoniare che ci riesci in pieno. Quando ho un tuo libro in mano, leggendo spesso in luoghi pubblici, sono oggetto di sguardi sorpresi e sbigottiti perché sembra che rida da sola, invece sono in tua compagnia e dei fantastici vecchietti che hai creato e che dopo questa presentazione diventano ancora più simpatici.

Il ristoratore Aldo mi dà l’occasione per un’altra curiosità, da dove nasce il tuo amore per la cucina? Non solo Pellegrino Artusi, protagonista di Odore di chiuso, ma anche in Milioni di milioni, la tua ultima fatica, la descrizione del prosciutto offerto nella cena di benvenuto ai due studiosi da cui prende avvio la vicenda narrativa rivelano non un semplice buongustaio, ma un vero e proprio chef!

Milioni di milioni

L’amore per la cucina nasce da curiosità: mi è sempre piaciuto vedere la materia che si trasforma, e sono sempre stato un grande utente di quello che viene dopo aver cucinato (intendasi mangiare, non pulire i fornelli). Purtroppo il numero di pasti di cui abbiamo diritto nella vita è limitato, e quindi è necessario che siano i migliori possibile…

 

Come già con Odore di chiuso, anche in Milioni di milioni, oltre ad abbandonare l’ambientazione del BarLume, mi è sembrato che strizzassi l’occhio visibilmente al giallo classico e in particolare a uno dei capolavori indiscussi del genere: Dieci piccoli indiani di Agatha Christie con l’assassino da cercare in un comunità chiusa e isolata. Potrebbero i due libri “fuori serie” essere considerati due variazioni sullo stesso tema? cosa ti ha stuzzicato, se ho indovinato il modello, a ripetere con varianti, che ne fanno due libri assolutamente e originalmente del tutto differenti, lo stesso motivo?

I due libri sono in effetti gialli classici, entrambi: Odore di chiuso era nato proprio come giallo inglese, doveva essere ambientato in Inghilterra ed essere un apocrifo di un grande umorista inglese di fine ‘800. Dato che avrebbe dovuto intitolarsi “Tre uomini a caccia”, lascio a te indovinare come si chiami il tizio in questione. Poi l’editore mi ha suggerito di ambientarlo in Italia, e così è nato tutto.

Il fatto è che io adoro i gialli classici, e li considero la letteratura di intrattenimento per eccellenza. E la cosa che più mi piace sono i gialli in cui è il movente la cosa difficile da indovinare, e tutto il resto ne consegue.

 

Pineta, un borgo della Maremma toscana, infine le altitudini di Montesodi Marittimo (che di marino ha ben poco, visto che lo viviamo isolato a causa di un’ingente nevicata!). Come li trovi questi luoghi? Fanno parte del tuo sfondo personale o sono cercati con qualche criterio, quando nasce la storia?

I paesi sono funzionali alle storie: essendo gialli, ovvero storie in cui l’interconnessione tra personaggi è necessaria, il paese è molto più adatto della città. Poi, il paese nasce da paesi esistenti: Pineta è un mix tra Tirrenia, Marina di Pisa e San Vincenzo, mentre Montesodi Marittimo è un miscuglio interrazziale, essendo un cocktail di Monteverdi Marittimo (in toscana) e San Buono (in Abruzzo); entrambi si inerpicano lungo una salita terrificante, ed entrambi sono posti, diciamo così, un po’ chiusini…

 

Ultima domanda, te lo giuro e poi la smetto!

 La carta più altaI classici latini e greci: evviva! Tu stesso per i vecchietti hai citato Teofrasto, in La carta più alta (per me il tuo capolavoro! come si può leggere QUI) un bellissimo brano esegetico su Lucrezio, in Milioni di milioni persino una filologa che in parte risolve il mistero (come sempre ho letto i ringraziamenti, la bella figura che svolge nel plot narrativo lo dobbiamo a te o a tua moglie Samantha?, perché all’inizio sembrava che volessi imboccare per Margherita la strada della spocchia e dell’antipatia). Avvertendoti che sei nella tana del lupo, perché la maggior parte del gruppo di Tempoxme è formato da insegnanti di lettere, con una formazione classicistica, svelaci da quale cilindro tiri fuori una passione così leggera e rincuorante per la classicità, che per chi come me è imbevuta di quel mondo suona come un’armonia profonda.

 I classici li conosco (e li ho letti, in alcuni casi) grazie a mia moglie; se un libro resiste per duemila anni, deve esserci per forza un motivo. In letteratura, così come in tutte le forme di arte, è il tempo che svela la verità.

Mi ha sempre stupito vedere come il pensiero umano si sia focalizzato da subito su certi tipi di problemi, che ancora oggi ci attanagliano (penso a Seneca) e di come nell’antichità uno potesse essere contemporaneamente uomo di scienza e uomo di poesia (penso a Lucrezio).

Ancora oggi seguiamo le linee guida dei pensatori greci e latini, quando dobbiamo usare il cervello: autentica curiosità unita a senso del bello. Il segreto di ogni ricercatore, che si occupi dell’uomo o dei bosoni non importa. Si dovrebbe solo, forse, far leggere questi testi, invece di insegnarli. Sfido chiunque a leggere L’asino d’oro e a dirmi che è noioso: a parte il fatto che scopano più lì che in cinquanta sfumature di grigio, ci sono due storie l’una dentro l’altra al cui cospetto Harry Potter diventa scontato…

 

Posso barare e chiederti ancora un’ultima cosa? Massimo e i vecchietti andranno in televisione: quali rapporti hai con la produzione della fiction tratta dai tuoi romanzi? Che effetto ti fa? Cosa ti incuriosisce e cosa temi?

Sui film sono piuttosto curioso: da quello che ho visto la qualità è altissima, a partire dagli attori (Filippo Timi è un Massimo notevole). La cosa più bella è che, quando scrivo i romanzi del BarLume, la fisionomia del Del Tacca la immagino identica a quella di un attore di teatro pisano, Atos Davini. Indovina un po’ chi hanno preso, a mia insaputa, per intepretare Pilade… Stiamo a vedere, ma spero bene. Non ho timori particolari, ma non si sa mai. Mi sembra già irreale vedere una troupe da un centianio di persone affannarsi per girare un film su roba che ho scritto io.

 

 

 

Adesso ho veramente finito!

Che dire? È stata una grandissima, grandissima emozione rivolgerti le mie domande su una scrittura che mi ha conquistata ed entusiasmata. La lista delle domande e delle curiosità sarebbe ancora lunghissima, ma mi autocensuro, con la speranza che ci sia un’altra occasione per chiacchierare ancora con te!

Per tutti i lettori fedeli di Marco Malvaldi una buona lettura con Milioni di milioni, il suo ultimo, intrigante, invernale romanzo, e per quei pochi che pur frequentando il nostro sito ancora non lo conoscono, beh!, hanno solo l’imbarazzo della scelta da quale romanzo cominciare e questa circostanza per ogni lettore è sempre ricca di sorprese. Posso affermare con una certa sicumera che “non ve ne pentirete!”

 

Il gioco delle tre carte Link scheda Sellerio

Il re dei giochi Link scheda Sellerio

Chiacchierando con… Marco Malvaldi
Tag: