Se-ti-abbraccio-non-aver-paura_webNon mi fido mai delle quarte di copertina e al limite le leggo dopo aver terminato il libro, per trovarle quasi sempre lontane e fuorvianti dalla mia impressione di lettura, ma la bandella di Se ti abbraccio non aver paura di Fulvio Ervas (Marcos y Marcos 2012) è un’eccezione, vera e concreta, tale da meritare una citazione nella sua integrità, perché il libro non si comprenderebbe fino in fondo nella sua genesi senza di essa:

Con otto romanzi pubblicati, finisce che ti chiamano scrittore: e può capitare che un bel giorno sia una storia a cercare te. Un personaggio in carne e ossa che ti colpisce come uomo, come padre, come insegnante di liceo. Il protagonista di un viaggio straordinario. “Ascoltami” ha detto Franco Antonello a Fulvio Ervas davanti a uno spritz “la storia che ti voglio raccontare ha la forza della vita vera e la bellezza di un sogno”. Fulvio l’ha sentito forte e chiaro: questo è un padre che ama veramente suo figlio, che cerca di fare qualcosa di importante per lui. Per suo figlio, che è autistico. Sul divano, davanti ai manicaretti di Paola, sotto la pergola dell’uva fragola, il loro dialogo è durato un anno intero. Finchè Fulvio non ha sentito tra le dita il romanzo di questa storia. Fulvio Ervas vive nella campagna di Treviso con la famiglia e una squadra compatta di animali domestici. Franco Antonello vive a Castelfranco Veneto e dalla finestra della casa in cui è nato vede le mura merlate di un castello.

Una storia vera, disarmante nell’immediatezza con cui viene raccontata, intensa nella pacatezza di sentimenti contrastanti, avventurosa e profonda. Una storia che ti scava dentro con la sua genuinità, con la semplicità di una prosa che ottiene la piena immedesimazione nella voce e nei sentimenti di un padre di fronte alla prova più difficile, ma carica di un amore insopprimibile e devastante, che è la convivenza con l’autismo del figlio, nella speranza velleitaria e disillusa che un giorno possa scomparire:

…”Ti abituerai”.

Certo, ma la vita di Andrea scivolerà in un mondo che potrà solo sfiorare. Dove non riesci a parlare con nessuno e difficilmente puoi scegliere da solo. Non hai relazioni, un lavoro, una fidanzata. Mi tornano alla mente le ultime strofe di una piccola poesia scritta sulla parete di un ospedale per bambini: “D’accordo malattia, questa notte fammi soffrire e se vuoi anche domani, e dopodomani. Un mese, un anno, divertiti un po’ ma per sempre, per sempre no”.

Vaffanculo.

Ma un giorno, alla fine di un anno scolastico, quando la differenza tra l’adolescenza di Andrea e quella dei coetanei si fa lancinante, quando bisogna affrontare le complicazioni di una routine quotidiana per nove mesi affidata alla scuola e fare i salti mortali per coprire il lungo intervallo estivo che per gli altri ragazzi è di divertimento e riposo, nella mente del padre prende idea un progetto folle, folle a tal punto da diventare grande, e come tutte le cose grandi da spingere alla sua concretizzazione: un viaggio, lui e Andrea, in America, in un percorso da definire sulla strada, seguendo i suggerimenti del momento. Un viaggio che porterà i due eroi da Miami in Florida fino a Arraial d’Ajuda in Brasile, seguendo desideri e incontri e trasformandosi nell’ultima tappa in una missione di speranza e di conforto. Come ogni racconto di viaggio, anche questo diventa il percorso di un’anima, anzi di due anime, del loro mutare e crescere, rafforzarsi e conoscersi. I luoghi stessi vengono raccontati con particolare perspicacia in quello che sanno donare ed essere per un ragazzo autistico e nella percezione sentimentale ed emotiva che ne ha il padre. Traspare una grande forza d’animo, la fierezza del proprio coraggio, la consapevolezza di vivere un momento magico, fondamentale per la vita di entrambi, formativo e che lascerà delle tracce indelebili nel cammino dei due protagonisti. Non c’è posa o vittimismo, ma una forte immediatezza che riesce a toccare senza infigimenti, che commuove perché vera e come tale sempre presentata. La scelta della prima persona, difficile e coraggiosa, risulta vincente, perché Ervas riesce con l’attenzione del testimone di parole che veicolano immagini e sensazioni, a essere credibile ma nello stesso tempo a razionalizzare e “lucidare” gli eccessi e l’enfasi tipici delle prove importanti vissute sulla propria pelle.

Scuotono il lettore le parole digitate a computer da Andrea, il metodo telematico e mediatico con cui lui riesce ad entrare in comunicazione con i genitori e che rivelano una consapevolezza di sè e della propria condizione che è assolutamente inedita nel panorama narrativo. Anche questa immagino non sia stata una scelta facile e spedita, ma il risultato è dei più riusciti. Andrea è sempre guardato dagli altri, perchè il suo mondo è un altrove, in cui qualsiasi incursione pecca di approssimazione e falsità. Il libro si fa carico attraverso i brandelli della comunicazione reale e concreta di Andrea di aprire un porta, uno spiraglio per poter intravedere nella loro reale essenza i sentimenti, le emozioni, le frustrazioni, i malesseri, le gioie di un ragazzo autistico. La scelta è però parsimoniosa e delicata, non pecca di invadenza o di morbosità, c’è dietro la cura e l’attenzione, la consapevolezza e l’amore per un materiale pregno e carico di vita, che deve essere centellinato per conservarsi integro e prezioso.

foto presa qui

Le ultime tappe del viaggio sono le più suggestive e fascinose, sia per i luoghi visitati, riccamente contradditori, che per l’umanità colorata e complessa degli incontri, per la vicinanza corale e schietta nei confronti di Andrea, più tangibile e incisiva di quella incuriosita o politicamente corretta dei civilizzati Stati Uniti. Sarà proprio nell’ultima tappa del viaggio, nello sperduto villaggio brasiliano in cui Andrea e il padre sentiranno il calore e l’accoglienza di una comunità intera e di persone eccezionali nella loro originalità, che Andrea potrà dare un senso vero al viaggio per la sua crescita fisica ed emotiva, filtrata attraverso la commozione e l’imbarazzo del padre.

Fulvio Ervas riesce a trovare uno stile semplice e discorsivo, che ha il vantaggio di amplificare l’impatto emotivo, di frenare i facili patetismi in cui una storia così intensa può sconfinare, di mantenere una leggerezza di toni scanditi da un’ironia stemperante senza per questo edulcorare la verità di fatti e i sentimenti, ma declinando le modalità giuste anche per narrare la frustrazione, la stanchezza, lo scoramento, la rabbia che sono parte indissolubile e ineludibile di questa meravigliosa storia d’amore.

No, mi dico, non posso usare il metro con lui, la scienza esatta. Ci vorrebbe, piuttosto, una teoria dell’errore. Accettarne tanti, assorbirli davvero.

Impreco, ma lo amo. Non so di cosa sia fatto questo amore. Credo che nessun genitore possa rispondere facilmente a questa domanda. A volte è sepolto. A volte è indifferente. A volte è solo amore per se stessi. A volte è semplicemente sentire la vita che ti attraversa: è partita da un punto, tu la prendi in consegna e la passi a qualcuno.

Se ti abbraccio non aver paura