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Non posso dire, non essendo milanese, quale fedeltà ci sia alla topografia vera della città e quanto vi si specchi un abitante reale, ma la sensazione più forte dalla lettura di “Per legge superiore” di Giorgio Fontana (Sellerio 2011) è quella di passeggiare concretamente nelle strade della città, di stupirsi con il protagonista, il magistrato Roberto Doni, alla scoperta di un volto inedito e sconosciuto della stessa, nell’introdursi nelle vie colonizzate dall’emigrazione, rese diverse colorate multietniche cosmopolite dalla presenza degli stranieri. Non si edulcora la situazione della città, ma la si guarda obliquamente, con maggiore attenzione e senza pregiudizi. Attraverso la topografia di Milano Fontana rende in maniera suggestiva e non pregiudiziale il problema dell’emigrazione, dell’emarginazione, del razzismo. Con un’ottica diversa, anche Igiaba Scego in “La mia casa è dove sono” aveva trattato il problema dell’emigrazione e del razzismo in Italia attraverso le vie, le strade, i luoghi di Roma. In entrambi i casi l’esperimento narrativo è perfettamente riuscito.

A passeggiare nelle vie della città, passando osmoticamente e con grande sorpresa dalle vie centrali e borghesi a quelle della zona di Loreto, via Padova e dintorni, è il magistrato Doni, sostituto procuratore a Milano, in attesa di una promozione che lo porti in una piccola provincia a terminare tranquillamente la carriera. Doni rappresenta la generazione dei padri di una certa fattura, sobri, integri, moralmente ineccepibili, in cui l’essere conservatori è segno di una nobiltà di spirito e di valori. Ma anche un limite, quello di non mettersi in discussione, di arginare gli errori con lucidità e freddezza, di rispettare la legge con intransigenza, senza compromessi, senza flessibilità, senza attenzione al volto umano della situazione. Fontana riesce a tratteggiare la figura del magistrato con abilità, senza cadere nel caricaturale, mantenendo sempre alta la soglia della rappresentazione, virando alla larga dagli stereotipi. Una sola caduta di stile, la poca considerazione della vita sessuale di una donna ancora piacente e di un ultra sessantenne: 

Poi fecero l’amore, male come da anni, ma stringendosi forte. Chiusi nel centro fragile e delicato del loro abbraccio, la sola cosa che rimaneva davvero a entrambi.

Devo dire che questo è l’unico passo in cui lo sguardo del giovane Fontana mostra la sua età nel guardare al protagonista, mentre nel resto del racconto quello che appassiona è proprio la forte immedesimazione nei comportamenti e nei gesti di Doni, che lo rendono non solo un personaggio pienamente credibile, ma anche molto ben riuscito.

La routine quotidiana e borghesemente asettica di Doni viene sconvolta dalla visita inattesa di una giovane giornalista, Elena, idealista, animata di coraggio e forza d’animo, caparbia come sa esserlo la meglio gioventù in un periodo di forte crisi economica e morale. Elena chiede a Doni di mettersi in discussione come magistrato ma anche come uomo, di interessarsi al caso di un immigrato, Khaled Ghezal, accusato ingiustamente di tentato omicidio. Non c’è da scoprire il vero colpevole, Fontana è interessato ad altro, il suo proposito è di calare una questione morale, come quella del rapporto tra legge e giustizia, in un caso particolare per renderla più icastica e concreta. I dialoghi tra Doni e la giornalista hanno una pregnanza ideale potente, la posizione dello scrittore rimane di lucida imparzialità, non vuole insegnare o ammaestrare, tanto meno entrare in urto con la generazione precedente, ma vuole solo mostrare, con la competenza della propria formazione filosofica, il problema nella sua dialettica. Così Doni ed Elena sono lo specchio moderno dei filosofi della classicità ateniese, che passeggiano non tra i portici dell’Accademia, ma tra le vie inusuali di una contemporanea agorà. Difficile dire chi tra di loro sia il maestro, ma forse il fascino delle loro figure risiede proprio nell’assenza di un maestro, nell’incertezza che nel mondo contemporaneo permea sia la generazione dei padri che quella dei figli. Negli uni il cinismo, anche bonario come quello di Doni, che porta ad una frustrazione aprioristica di raggiungere un obiettivo ideale e che spinge a rimanere indissolubilmente legati al terreno, negli altri il velleitarismo tipico della giovinezza, quando non si hanno legami o interessi personali da proteggere, ruoli da conservare, e si possono combattere con una certa eroica indifferenza le proprie battaglie ideali, non avendo nulla da perdere.

Eppure in entrambe le figure di Doni e di Elena risiede un carisma emblematico che Fontana sa rendere dosando in egual misura luci e ombre, incertezze e ambiguità, naturalezza e finzione, ingenuità e coraggio.

Un romanzo che denota una prepotente lucidità di pensiero e di analisi, che non cede a compromessi e a facili ammiccamenti (come rendere il mistero del colpevole più intrigante e lusingare in questo modo i tanti lettori appassionati del genere giallo), che corre spedito per la propria strada senza tergiversare, in cui la nota caratteristica è la pregnanza dei dialoghi, sempre di grande spessore. Un romanzo da assaporare lentamente, a cui concedere lunghe pause per poter riflettere con attenzione sui temi e le considerazioni proposte con una punta di dubbio che solletica il lettore a interrogarsi e a porsi domande.

Dal blog dell’autore il word cloud del romanzo

 Per legge superiore

Per legge superiore